Oggi torniamo agli anni 80, ai tempi della gestazione della Cadillac Allanté. La roadster americana venne sviluppata in collaborazione con la Pininfarina, in questo articolo ne ricostruiamo la storia partendo dalle memorie dell'Ing. Dario Trucco.
Il ricordo della Cadillac Allanté, di cui trent’anni fa si decideva il magro destino, muove sentimenti contrastanti. Ma i “mixed feelings” - per dirla all’americana- degli esperti dipendono anche dalla sponda dell’oceano sulla quale vengono espressi. Per Pininfarina la commessa della General Motors fu sicuramente un successo, fece guadagnare bene, permise lo sviluppo di nuove esperienze, aggiunse ulteriore prestigio all’azienda. Non altrettanto brillante fu, come noto, il bilancio per il gigante di Detroit, che vendette poco più di ventimila esemplari, quando le aspettative erano di almeno cinque volte tanto.
La Allanté fu complessivamente lodata dalla stampa americana, mentre in Europa, dove peraltro non mise quasi piede, fu criticata per la modestia delle prestazioni, che non reggevano il confronto con le sportive vere e nemmeno la ricchezza dell’involucro. Lo stile, che negli Usa era sicuramente esotico (più nella firma che nel risultato ultimo, castigato dal management GM), da noi fu giudicato di scarso fascino, anche se equilibrato e sobriamente chic.
Primo contatto. Ma perché val la pena, allora, riprendere il filo del racconto di questa convertible, che non vide le strade d’Italia negli anni ‘80 e sicuramente continuerà a non vederle (a parte qualche infatuazione tardiva) mezzo secolo dopo?
Emergono, dalle memorie dell’ ingegner Dario Trucco, allora membro del “direttorio” Pininfarina e responsabile del prodotto, due particolari poco noti e di rilievo. Uno riguarda la pecca maggiore della Allanté, e cioè il motore. Appena consegnati i primi prototipi la GM organizzò una sessione di test di guida con i torinesi sul “proving ground” aziendale. Partirono dall’Italia Sergio ed Andrea Pininfarina, Leonardo Fioravanti e lo stesso Trucco. Sull’asfalto aspettavano, accanto alla nuova Cadillac, un Porsche 928, una Mercedes-Benz SL (la vera concorrente che GM intendeva provare a sfidare), una Corvette e addirittura una 308 GTS. “Iniziammo a girare” scrive l’ingegnere nei suoi diario “il circuito non permetteva grandi velocità, ma era caratterizzato da brevi rettilinei e curve larghe. Io non sono un gran pilota, ma fui sorpreso dal fatto che con la 928 dovevo continuamente frenare, mentre con la Allanté andavo sempre a tavoletta. L’auto si comportava bene in curva, ma era evidente che la potenza del motore non era assolutamente sufficiente...”
Il via libera di Pininfarina. Trucco aggiunge che sulla Ferrari nemmeno salì, mentre era impaziente di confrontare le sue impressioni con i colleghi e decidere cosa lasciare trapelare di fronte agli ospiti-clienti. L’ingegner Fioravanti, però, sottolineava che la paciosità della nuova spider era secondo lui adeguata al modo di guidare americano. D’accordo con Pininfarina, abile negoziatore, si decise quindi di non sollevare il problema, e nessuno fece parola della guida deludente. Peraltro manager e tecnici della Cadillac sembravano più che soddisfatti. E allora, perché svegliare il can che dorme?
Understatement. Scriviamo questo perché le cose, come noto, andarono diversamente. Il pubblico a cui era diretta la Allanté (che costava quasi il doppio di una Eldorado) non aveva voglia di guidare una Eldorado (di cui condivideva sostanzialmente il motore). E anche se lo speed limit di 55 miglia e lo stile moderato di condurre, negli anni 80, erano ancora rispettati, chi si sedeva su una Mercedes o una Porsche aveva eccome desiderio di sentir galoppare i cavalli, anche solo ai semafori. Quindi la qualità costruttiva della macchina - obbiettivamente molto alta -, i contenuti tecnologici e i gadget, lo stile votato all’understatement ma assai diverso dagli standard di Detroit, non bastarono a convincere gli automobilisti colti: i tanti che aspettavano con curiosità la nuova Cadillac, sulle strade della California, della Florida e del New England.
Ponte aereo. Il secondo dato interessante di cui siamo veniti a conoscenza è che il famoso “ponte aereo” Torino-Detroit che trasportava, in ogni volo, 56 scocche ultimate a cavallo dell’Atlantico, non fu la follia economica di cui si dice. Nessuno, alla Pininfarina, aveva inizialmente pensato a spedire le automobili con l’aeroplano. Era consuetudine farlo via nave e i piani logistici iniziali prevedevano 20- 30 giorni di viaggio in mare (con ottimismo) e una movimentazione di 700-1000 scocche per giro di lavorazione. Ma poi qualcuno fece il sogno e buttò giù due calcoli. Computando la riduzione del capitale immobilizzato e gli interventi onerosi per la messa a punto delle carrozzerie dopo il lungo trasbordo, il viaggio con i 747 cargo di Alitalia e Lutfhansa diventò (quasi) conveniente.
Volo omaggio. Un’operazione a suo modo spettacolare, che comportò persino alcune modifiche agli impianti di atterraggio dell’aeroporto di Caselle, e che permetteva a gruppetti di manager delle due aziende (4 o 6 a seconda dei casi) di viaggiare gratis al seguito del loro prezioso carico.