E se le classiche non fossero un buon investimento? A buttare il sasso nello stagno un articolo di Bloomberg che, pur non negando la rivalutazione di alcune auto e marchi, sostiene che in questo mercato ci siano più luci che ombre, allontanandosi dal coro dei facili entusiasmi e invitando a guardare oltre gli annunci di valutazione record.
Auto classiche, rivalutazione continua, investimento sicuro e pezzi contesi a colpi di rilanci milionari nelle aste ai quattro angoli del globo. E ancora: concorsi di eleganza sempre più affollati, fondi di investimento specializzati nelle classiche e mercato frizzante anche per chi, magari, ha solo qualche decina di migliaia di euro, vedi il recente caso dell'Inghilterra dove in molti starebbero investendo una quota dei fondi pensione in auto vintage o youngtimer di sicura (sulla carta) rivalutazione (leggi qui).
Eppure, in barba a statistiche che provano la rivalutazione delle auto d'epoca con percentuali superiori alle opere d’arte piuttosto che all'antiquariato, e con rivalutazioni ben oltre la doppia cifra negli ultimi dieci anni (ne è un esempio la Ferrari 365 GTC/4 del 1972 battuta a 500.000 euro a Pebble Beach questo fine settimana e acquistata nel 2008 a 100.000 euro) c'è chi predica “attenzione!” ed esce dal coro. In termini finanziari si definirebbe come "contrarian", ovvero colui che relativamente ad un investimento esce dal sentiero più seguito e dal pensiero dominante sfidando convinzioni e modi di agire consolidati.
Ad alzare la mano e sollevare il dubbio, un articolo ferragostano di Kyle Stock di Bloomberg che, proprio partendo da una prevista asta su una Ferrari 365 che in 7 anni avrebbe triplicato il proprio valore, approfitta della notizia per mettere in guardia dai facili entusiasmi e, soprattutto, dalle generalizzazioni. Ovvero, meglio fare dei distinguo e non dare per scontato che investire in auto storiche garantisca sicura e ricca rivalutazione nell'arco di poco tempo.
Secondo l'autore dell'articolo, infatti, sarebbe ora di dire la verità e ammettere che, difficilmente, le auto classiche sono un buon investimento. Primo equivoco sarebbe proprio il fare di tutta l'erba un fascio: le auto superstar di nobili casati leggasi Ferrari piuttosto che Porsche, contese nelle aste e che poi finiscono sui titoli di giornali specializzati, e non solo, sono le migliori e le più costose e quindi anche le più ricercate ma sono, appunto, una sparuta selezione del meglio del meglio, per di più all'interno di una già selezionata minoranza: solo il 3% degli scambi di auto classiche passerebbe attraverso le aste.
Fuori da questi picchi, quindi, la realtà è ben diversa ed evidenzierebbe, secondo i dati riportati, una tendenza alla stabilità se non ad una crescita molto lenta. Con molte differenze in base al genere di auto e al singolo modello. A supporto della tesi vengono forniti alcuni schemi basati su dati Hagerty Insurance relativamente alle quotazioni nell'ultimo decennio di muscle car americane piuttosto che di auto classiche alla portata di normali portafogli.
Altro mito da sfatare sarebbe poi la resilienza delle storiche alla crisi come classico bene rifugio. D'accordo, difficile che tutto l'investimento si vaporizzi come se si trattasse di un derivato ma, nel corso dell'ultima crisi sistemica a livello globale, sia le Mercedes pregiate come la 300 SL "ali di gabbiano" piuttosto che le Ferrari più quotate hanno comunque segnato ribassi a doppia cifra, in alcuni casi superiori anche al 20%. Non proprio bruscolini considerando valutazioni nell'ordine di diversi milioni di euro. Insomma, se si investe nel momento sbagliato poi ci possono volere anni a recuperare, ma c'è anche da dire che il concetto del "timing" dovrebbe essere ben chiaro a ogni investitore aggiungiamo noi.
La posizione esplicitata nell'articolo diventa poi perfino provocatoria arrivando addirittura a sostenere che, in fondo, le prestazioni di una sportiva purosangue d'epoca sono eguagliate, se non superate, da una qualsiasi compatta sportiva come potrebbe essere la Ford Focus.
Ma dopo questo passaggio quasi da "Bar Sport", per quanto inoppugnabile fermandosi alle aride cifre dello "zero-cento da fermo", l’articolo di Bloomberg poi torna terribilmente serio nella conclusione, con tanto di grafici basati sempre su dati Hagerty Insurance a supporto della tesi: se proprio dovete investire nelle classiche meglio andare sul sicuro. Ovvero su marchi italiani e tedeschi e dove i numeri relativi alla produzione sono più bassi.
Ancora meglio focalizzarsi sulle icone degli Anni '80 e '90 che risplendevano nei poster della "generazione-x" oggi adulta e che potrebbe essere interessata a mettersi nel proprio garage proprio i miti dell'adolescenza. Un esempio fra molti la Lamborghini Countach. E soprattutto, se si parla di investimenti e non di pura passione, nell'ammirare, guidare e coccolare una classica, ricordarsi dei costi di gestione non indifferenti.
Che si condivida o meno la provocazione estiva il dibattito è aperto e solo nei prossimi anni sapremo se avevano ragione i “contrarian” o gli ottimisti ad oltranza, ognuno con valide ragioni al proprio arco. Sono graditi commenti.
Luca Pezzoni