Questa è la cronaca di un amore. Un lento corteggiamento. Poi la folgorazione. Linea straordinaria, ritoccata il giusto nel 2006 (E85), sportiva, aperta e persino parca e di buon carattere coi suoi 150 CV e 200 Nm. E lasciate perdere i luoghi comuni: i quattro cilindri della BMW Z4 2.0i Roadster vanno benone.
Un po’ perché scrivo della mia macchina e quindi non sarà mai un articolo come gli altri. Un po’ perché sono metodico di mio e metto in ordine tutta la scrivania prima di cominciare a lavorare e dopo aver finito. Un po’ perché non volevo fare un pezzo impersonale, ho deciso di raccontarvi com’è andata tutta ’sta storia sin dall’inizio. E allora mi sono chiesto: ma come mi era venuto in mente di comprare la BMW Z4? La risposta me la sono ricordata, ed è pure molto precisa: quell’idea è nata alla 1000 Miglia del 2014.
Avevo preso parte, da allora giovane “padawan” del sito di Quattroruote, al Mercedes Tribute, una delle due carovane di auto moderne che fanno da apripista (l’altra essendo il Ferrari Tribute) alla corsa, per raccontare da dentro il suo spettacolo itinerante. La sorte, il caso, il destino, mettetela come vi pare, mi aveva assegnato una SLK 350 terza serie, la R172. E fu proprio quello l’ingrediente-innesco di un brodo primordiale esplosivo, che aveva già dentro qualche migliaio di euro da buttare in un giocattolo. E una domanda, bellissima, che mi ronzava per la testa: in che cosa li spendo? Sì. Era andata proprio così.
“Il curioso caso di Fabio Sciarra”, il film in cui c’era quello che più guidava la spider più ringiovaniva (oh, magari è tutto un film mentale, eh), era iniziato con un “plot twist”: innamorato di un’auto, il protagonista aveva finito per comprare la sua esatta nemesi. Ma io devo tantissimo a quell’SLK. Mi ha aiutato a restringere il cerchio. Mi ha fatto capire, e galeotto fu lo sbalordimento di fare su e giù per l’Italia nel mese di maggio a tetto aperto, quello che contava per me nella vita (automobilistica): luce e aria. Quindi mi serviva prima di tutto qualcosa che si aprisse (niente coupé dunque, berline ciaone proprio) e che avesse un briciolo di piglio sportivo (quindi escluse pure le cabrio). I tratti di base erano delineati e quest’oggetto assomigliava, senza più dubbi, a una spider.
E lì è partito il censimento: MX-5, ok, ma troppo inflazionata. SLK, sì, ma le prime due serie non erano quello che cercavo in termini di guida (l’ho “friendzonato” così l’amore della 1000 Miglia). Boxster, certo, ma la “986” non mi è mai andata a genio (per le stesse ragioni, estetiche, per cui non apprezzo la “996”). Z4… oh! Illuminazione. Folgorato sulla via di Spartanburg. Così. Di botto. Ma come avevo fatto a non pensarci? Era proprio il mio tipo. Primo: non ce l’avevano in tanti. Secondo: era reattiva, bella di comandi (sterzo, cambio, tutto: provando qualche esemplare, ho definitivamente perso la testa) e non rigida, proprio “gnucca” (#sapevatelo: se avete dei dissuasori nel parcheggio condominiale lasciate stare cerchi da 18” e assetto M Sport). Terzo: la “E85” restyling, perché solo quella ho considerato, portava la sensualità conturbante del suo design originale (se non vi emoziona il suo contrasto tra nervature tese e superfici sinuose avete un cuore di pietra) al livello della perfezione. Grazie a pochi, semplici ritocchi: paraurti e fendinebbia davanti più armonizzati con lo stile complessivo, gruppi ottici posteriori dall’aspetto più ordinato e moderno, grazie all’introduzione dei led.
E l’esemplare? Beh, bel colpo di fulmine pure quello. Dopo un paio di mesi di studio matto e disperatissimo, tra le valanghe dei vari Silbergrau, Sterlingrau e Sapphirschwarz, salta fuori (mi stavo vestendo per andare a un matrimonio e intanto setacciavo il web: so che mi capirete) questa 2.0i del 2007 con 26 mila chilometri e una combinazione cromatica folle: interno Montego Blau, carrozzeria Alpinweiss. Mia, subito. Il primo acquirente l’aveva voluta così per replicare l’abbinamento cromatico dell’Elica. Un pazzo, direte voi. Ecco, adesso pensate al proprietario attuale, che si è fatto il film di ringiovanire guidandola. Ma i pazzi, in fondo, hanno sempre ragione.
testo di Fabio Sciarra