Bugatti Veyron, la genesi del mito - Ruoteclassiche
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17/04/2020 | di Paolo Sormani
Bugatti Veyron, la genesi del mito
Bugatti Veyron: l'idea e lo sviluppo di una leggenda dell'automobilismo contemporaneo.
17/04/2020 | di Paolo Sormani

Anche se fu presentata nel 2005, la storia della Bugatti Veyron era iniziata negli ultimi anni del secolo precedente intorno al prodigioso motore W18 immaginato da Ferdinand Piëch. Quando ancora la Bugatti era un marchio in cerca di autore.

Non è un’auto d’epoca, forse neppure una youngtimer, ma certamente una instant classic. Anche se il primo esemplare uscì nel 2005, la genesi della Veyron, la prima ipersportiva Bugatti, cominciò nel 1998 a Palma di Maiorca, durante le vacanze di Pasqua di Ferdinand Piëch. In un negozio di souvenir, il figlio Gregor chiese se poteva comprargli un modellino di Bugatti Type 57 SC Atlantic. Lui ci pensò su un attimo e ne chiese due. Tornato in Germania, alla prima riunione direttiva del gruppo Volkswagen lo diede a Jens Neumann, all’epoca suo direttore strategico, finanziario, legale e organizzativo. Piëch domandò di verificare i diritti del marchio Bugatti e, nel caso, assicurarseli. “Che divertente segno del destino”, scriverà più tardi nella sua “Auto. Biographie”. Quel modellino fu un’epifania per il progetto che l’ingegnere tedesco stava covando da qualche mese intorno al motore aspirato di serie più potente del mondo. Un mostro da 18 cilindri a W di 60°, 6.24 litri e 555 cv destinato a diventare l’elemento essenziale, il cuore pulsante di un’auto di lusso che offrisse il massimo delle prestazioni, del comfort e della precisione di guida. Nel 2001, la visione “soprannaturale” si sarebbe materializzata al Salone di Ginevra nella Bugatti EB 16.4 Veyron. Cos’era accaduto in quei tre anni?

Dalla 917 alla Bugatti. Il pallino del motore definitivo, l’ingegner Piëch l’aveva fin dai tempi della leggendaria Porsche 917, che per la prima volta in 50 anni aveva portato a Zuffenhausen il trofeo della 24 Ore di Le Mans. Grazie anche al suo V12, la 917 aveva fatto segnare una velocità di punta di 406 kmh sul rettifilo delle Hunaudières. All’inizio degli anni Settanta Piëch aveva alzato l’asticella progettando un 16 cilindri per la 917 PA, poi scartato dopo i test al centro sviluppo Porsche di Weissach. Poteva aver vinto la sfida del W16, ciò che ancora mancava però era un’auto più veloce dello Shinkansen vestita di un marchio all’altezza, con un nome esclusivo e un passato glorioso. Un simbolo di potenza associata alla tecnologia, al design e al mondo del lusso. Già nel ‘98 il boss del Gruppo Volkswagen aveva valutato l’acquisizione di Bentley e Rolls-Royce, poi finite alla BMW. Così, dopo una breve negoziazione Piëch colse l’occasione di rilevare il marchio Bugatti succedendo all’italiano Romano Artioli, che aveva chiuso i battenti dello stabilimento di Campogalliano tre anni prima. Per prima cosa, chiese all’amico Giorgetto Giugiaro di mettersi al tecnigrafo.

I primi studi, poi i tre prototipi. Anziché disegnare un’auto retrò, Giugiaro scelse di modernizzare elegantemente il genio di Jean Bugatti. In tempo record, al Mondial de l’Automobile di Parigi 1998 apparve un primo prototipo di berlina quattro porte, la Bugatti EB 118. La sigla indicava le iniziali di Ettore Bugatti e lo studio numero uno per un motore a 18 cilindri di 6.25 litri. La EB 118 vantava la trazione integrale, il telaio a struttura spaziale in alluminio e sospensioni multilink. Pochi mesi dopo, al Salone di Ginevra del ‘99 apparve un secondo prototipo in blu metallizzato, la Bugatti EB 218. Al “pacchetto” preesistente aggiungeva la leggerezza della carrozzeria quasi interamente in alluminio e delle ruote in magnesio, più gli interni in pelle e radica di pregio. Con la terza EB 18/3 Chiron, si passò per la prima volta dall’idea della berlina di lusso alla supercar sportiva. Tratteggiata sempre dalla Italdesign in collaborazione con il direttore del centro stile VW-Audi dell’epoca, Hartmut Warkuss, la EB 18/3 ruppe con le linee precedenti. Per la prima volta apparve il nome Chiron in omaggio a Louis, il pilota monegasco ufficiale Bugatti attivo fra gli anni Trenta e Cinquanta. Fu al Salone di Tokyo che la Casa di Molsheim scelse di presentare il quarto prototipo, stavolta uscito dalle matite di Warkuss e del giovane e talentuoso Josef Kabaň. L'EB 18/4 ebbe un’ottima accoglienza da parte di addetti ai lavori e appassionati, ormai gli elementi fondamentali della futura Veyron erano definiti. A Ginevra 2000, Piëch annunciò che la Bugatti avrebbe costruito una vettura da mille e un cavallo di potenza e più di quattrocento orari di velocità di punta. Una supercar sensazionale, la più veloce al mondo. E immediatamente riconoscibile, nel credo di Ettore Bugatti: “Se la si paragona, allora non è più una Bugatti”.

2001: odissea nella Veyron.La prima EB 16.4 Veyron quasi di serie fu svelata nel settembre dello stesso anno a Parigi. Nella sigla c’era la novità del motore di 16 cilindri a V di 90°, compatto e leggero, oltre sette litri di cubatura e sovralimentazione a quattro turbine. Nel nome, il pilota Pierre Veyron che vinse la 24 Ore di Le Mans nel 1939 proprio su Bugatti Type 57. Confermate sia la potenza, sia la velocità massima con accelerazione da zero a cento in due secondi e mezzo. L’annuncio definitivo della Veyron in serie limitata giunse nel 2001: finalmente Piëch aveva trovato l’erede straordinaria della “sua” 917 e la Casa di Molsheim l’auto della rinascita, prevista in produzione per il 2005. Probabilmente solo Ettore Bugatti sarebbe stato capace di un’operazione in grande stile come quella. C’è il precedente della Type 41 Royale, che nel 1926 era l'auto più grande, più cara e più potente al mondo, con il suo 8 cilindri in linea da 12,8 litri e qualcosa come trecento cavalli. Per l’epoca, un capolavoro tecnico di grande opulenza. “La Veyron ha catapultato la Bugatti in una dimensione nuova, che prima non era mai esistita” ha dichiarato il suo numero uno Stephan Winkelmann. “Con l’ipersportiva Veyron, la rinascita del marchio ha raggiunto lo spirito di Ettore Bugatti, che aveva fatto dell’ingegneria un’arte sforzandosi di raggiungere la perfezione in tutto ciò che faceva”.

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