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Chaparral: una storia americana

Lo scorso 23 luglio Jim Hellis Hall, l’ingegnere texano fondatore della Chaparral, ha compiuto 80 anni. La sua piccola casa automobilistica, nata nel 1961, è vissuta circa un decennio ma ha introdotto nel Mondiale Marche e nella Can Am novità tali da destabilizzare casate ben più esperte e agguerrite. Ecco la sua storia

Jim Hellis Hall è un tipico ingegnere–pilota. Classe 1935, malato di motori fin dalla giovinezza, pose le auto in cima alle sue priorità. Nato in una famiglia di petrolieri, il giovane Jim fu indirizzato negli studi (geologia) al proseguimento dell’attività famigliare. Eppure covava in lui qualcosa di diverso, un ardore incontrollabile per benzina e motori, per corse e meccanica. Una passione sempre crescente e ormai inattaccabile da qualsiasi “ragion di stato” lo convinse ad abbandonare gli studi naturalistici per iscriversi a ingegneria meccanica al Cal Tech di Los Angeles.

Dopo la laurea si dedicò immediatamente alla concretizzazione del suo amore verso le auto e iniziò a frequentare gli asfalti dei circuiti per competizioni, covando il sogno di diventare campione del mondo di F1. Nel ’54 partecipò alla sua prima corsa con un Austin Healey, poi una Maserati 450S, quindi una Lister. Si iscrisse al GP degli USA del ’60 a Riverside con una Lotus a noleggio (un onorevole 7° posto assoluto).

Contemporaneamente, conobbe Tom Barnes e Dick Troutman, i boss della Scarab (un valido costruttore di auto da corsa attivo fin dal ’57), alla continua ricerca di clienti. I due costruttori non gli rimasero per nulla indifferenti ma, anzi, agirono da sprone per aggiungere, alla sua carriera di pilota, quella di imprenditore. I due californiani gli proposero il progetto per una nuova auto da corsa e Hall, molto ricco, sposò l’idea. Il nome scelto era Riverside Sports Racer ma i due della Scarab lasciarono a Hall la libertà di chiamarla come volesse.

Pilota o costruttore, F1 o Chaparral Cars: da che parte andare?
Così, mentre continuava a tentare l’avventura in F1 (Hall corse ancora nel ’60 e in parte della stagione ’63 in Europa con la British Racing Partnership) Jim Hall, insieme all’amico James R. “Hap” Sharp, un ingegnere petrolifero proprietario di due aziende di perforazione, fondò nel ’61 la Chaparral Cars.

Stabilirono il quartier generale a 6 miglia a sud della città di Midland Texas. L’obbiettivo dichiarato dai due nuovi esordienti, non fu semplicemente quello di sviluppare auto da competizione ma attuare un deciso sviluppo tecnologico per creare macchine vincenti! La Chaparral poteva contare su una dotazione infrastrutturale moderna e funzionale. Fiore all’occhiello dell’azienda era un tracciato, due chilometri di lunghezza, molto tecnico e dotato anche di un impianto di irrigazione per la simulazione dell’asfalto bagnato.

Nasce la “1”
Troutman e Barns a Los Angeles furono i primi padri putativi delle Chaparral: diedero alla luce una prima piccola serie di esemplari della “1”, il primo modello del marchio dello Struzzo. Il concetto era fortemente debitore dei contenuti delle Scarab: telaio tubolare, motore anteriore-centrale V8 Chevrolet da 5,4 litri, carrozzeria tipo barchetta, design del tutto somigliante. Tuttavia era più piccola, bassa e leggera, presentandosi così con un potenziale molto più elevato in ragione di maggiori prestazioni e agilità.

Hall e Sharp ordinarono cinque esemplari e mantennero per sé i telai 001 e 003 come vetture ufficiali con cui correre nel campionato nazionale SCCA. Nel ’61 Jim Hall e la Chaparral 1 conquistarono un ottimo secondo posto a Laguna Seca e un terzo posto a Riverside. Nel ’62: secondi ancora a Riverside, primi alla Road America June Sprints e alla Road America 500.

Fine ’63, la decisione definitiva: lo Struzzo!
I discreti risultati in F1 e l’ottimo feedback ottenuto con le auto che portavano il suo marchio convinsero Hall, alla fine della stagione di corse ’63, a decidere l’abbandono delle monoposto per dedicarsi all’attività della sua azienda. Le Chaparral 1 avevano ottenuto buoni risultati, anche in mano ai team privati, ma con la diffusione della filosofia del motore posteriore divennero immediatamente obsolete e dopo un’ultima apparizione a inizio ‘63 (tra cui una grande gara a Sebring, anzitempo interrotta da un ritiro) furono messe in pensione.

Chaparral 2 e 2C
Hall, infatti, aveva nel frattempo già iniziato lo sviluppo di un’auto completamente nuova, la Chaparral 2 a motore posteriore – centrale. Per questo nuovo progetto mise in campo una prima grande innovazione: l’utilizzo della fibra di vetro come materiale strutturale per il telaio. La monoscocca della 2, infatti, fu realizzata completamente in materiale plastico con due indiscutibili vantaggi: grande leggerezza e facilità di modellazione.

La Chaparral 2 fu sviluppata senza sosta durante tutta la sua carriera agonistica, venendo continuamente aggiornata con novità tecniche fondamentali per accrescerne l’indice di competitività: nuove appendici aerodinamiche, telaio scatolato in alluminio, nuove forme di carrozzeria e, sulla cosiddetta “2C”, l’introduzione di uno spoiler posteriore mobile comandato da un pedale posto in abitacolo.

Per ottenere un risultato così elevato dal punto di vista tecnico, Hall aveva potuto contare su un importante accordo di partnership con la General Motors, che gli fornì un fondamentale supporto ingegneristico e tecnico per lo sviluppo della macchina e della trasmissione. La carriera della Chaparral 2, tra la fine del ’63 e il ‘65 fu sfolgorante: Jim Hall vinse il campionato United States Road Racing Championship (USRRC) del ’64 e quello del ’65 (16 vittorie in 21 gare) portando a casa, tra l’altro, una vittoria straordinaria alla 12 Ore di Sebring, ottenuta contro una concorrenza ben più esperta e in condizioni meteorologiche proibitive.

Chaparral 2D e 2E
Nel 1966 nacque il Campionato Can-Am Challenge series, un calendario completamente nuovo e con un regolamento particolarmente libero, che seppe attrarre gli interessi di molti marchi europei. Jim Hall mise in campo un nuova evoluzione della Chaparral 2. Nello stesso tempo, il texano si interessò al Mondiale per vetture Sport, la formula più di successo al mondo in quegli anni, con la nuova Chaparral 2D, concepita con abitacolo chiuso secondo i regolamenti della FIA.

Alla scocca in fibra di vetro, ulteriormente evoluta e irrobustita con elementi metallici, abbinava un motore V8 Chevrolet da 327 pollici cubici e cambio automatico a 3 rapporti. Nel Campionato Mondiale Marche di quell’anno si diede molto da fare ma ottenne risultati molto scarsi: sei partecipazioni, cinque ritiri (tra cui la 24 Ore di Le Mans, al 111esimo giro, mentre era il settima posizione). L’unico risultato, per altro eccezionale, fu la vittoria alla 1000 Chilometri del Nurburgring con Phil Hill e “Jo” Bonnier.

Per le gare Can Am lo spirito innovatore di Jim Hall si spinse ancora più lontano e trovando concretizzazione nella Chaparral 2E. La barchetta americana, con scocca in alluminio derivante dalla 2C, portava con sé un nuovo corredo di novità tecniche degne di attenzione: tra esse innanzitutto lo spostamento dei radiatori di raffreddamento di acqua e lubrificante dal frontale all’area posteriore ai lati del motore. Ma, soprattutto, l’introduzione di una gigantesca ala a incidenza variabile sopra il pilota, sostenuta da due possenti bracci e imperniata sui montanti delle sospensioni. Agendo su un pedale posizionato al posto della frizione (il cambio era il classico automatico a 3 marce), il pilota poteva posizionare l’alettone in configurazione “piatta” sui tratti veloci o aumentarne l’incidenza su quelli misti per schiacciare la coda al suolo e aumentare la tenuta di strada.

La 2E, motorizzata con un V8 Chevrolet da 5,3 litri, ottenne solo una vittoria a Laguna Seca, un bilancio negativo e che, di fatto, era dipeso soprattutto dalla scelta del motore, decisamente sotto tono rispetto ai propulsori da 6 o 7 litri della concorrenza.

Chaparral 2F
L’arma della Chaparral per il Mondiale Marche ’67, recava con sé, migliorandole, soluzioni già viste sulla 2D (il telaio in fibra di vetro e i radiatori in posizione posteriore) e sulla 2E (la grande ala attiva sopra il corpo vettura). Per ovviare all’inferiorità subita dalla 2E, la 2F fu equipaggiata con un nuovo motore 8 cilindri a V di 7 litri, dotato di una potenza molto maggiore ma fonte anche di non pochi problemi alla trasmissione (la medesima a 3 marce della 2D), continuamente sottoposta a rotture. Così per tutto il campionato la 2F visse continui lampi di superiorità, poi fatalmente risoltisi in un nulla di fatto.

Prende il largo: e vince!
Il regolamento FIA, modificato alla fine della stagione del ’67, decretava per la stagione ’68 un’omologazione obbligatoria di 25 esemplari per ogni auto che volesse competere nella categoria oltre i 5 litri. Troppi! E le Chaparral furono escluse dal Mondiale Marche. Jim Hall decise di dedicarsi unicamente alla Can-Am e ai campionati nazionali.

Chaparral 2G
Mentre la 2F cercava di lottare contro l’intransigenza GM ad equipaggiarla con un cambio decente, per le gare americane del campionato Can-Am e dell’USRRC Hall mise in campo la Chaparral 2G, evoluzione della 2C in chiave ancora più estrema. Il telaio monoscocca in alluminio ospitava un V8 General Motors da 427 pollici cubici, sempre in abbinamento alla trasmissione automatica 3 marce della General Motors.

La 2G, sempre con Jim Hall al volante, si comportò sempre molto onorevolmente, riuscendo a correre per il podio in molteplici occasioni: quarto posto assoluto a Road America, secondo posto assoluto al Monterey Grand Prix di Laguna Seca, seconda al Los Angeles Times Grand Prix. Nella stagione ’68 fu nuovamente schierata nella serie Can-Am con alcune modifiche, tra cui ruote maggiorate. A partire dal mese di maggio fu terza a Laguna Seca, quinta a Road America, seconda a Bridge Hampton, terza a Los Angeles.

Chaparral 2H
Fu progettata per la stagione Can-Am del 1969 e segnò l’avvicendamento di nuovi risultati nella ricerca della migliore forma aerodinamica per una vettura Chaparral. Caratterizzata da una forma molto allungata, era basata strutturalmente sull’ultima versione, in ordine di tempo, della monoscocca in fibra di vetro, coadiuvata da un sub telaio per stabilizzare il carico del motore (8 cilindri a V da 7 o 7,6 litri con 650 – 680 Cv a 6.800 giri) e della trasmissione (la sagace infrastruttura automatica a 3 marce).

Per produrre ulteriore carico verticale, furono elaborate ulteriori soluzioni per il posteriore, con differenti tipi di alettoni, posizionati ora in coda, ora al centro del corpo vettura. Questa soluzione, per altro, aveva richiesto la soluzione della consequenziale esigenza di mantenere il giusto assetto a seconda della spinta dell’aria sulla macchina. Per la 2H fu quindi inventato un sistema automatico di regolazione degli ammortizzatori, che manteneva costante l’altezza da terra e “annullava” l’effetto schiacciamento prodotto dall’aria.

Durante un test Jim Hall rimase vittima di un grave incidente, che lo costrinse a un lungo periodo di riabilitazione e lo convinse a chiudere la sua carriera di pilota/sviluppatore. Conclusa, in ritardo, la messa a punto, fu ingaggiato John Surtees ma questi non fu mai capace di valorizzare la 2H, continuamente scontento di quel progetto così poco ortodosso e del suo stile di guida molto differente dalla maggior parte delle auto da corsa del periodo. A fine anno la 2H fu anzi tempo messa in pensione e le speranze della Chaparral furono riposte nella nuova auto per la stagione 1970: la 2J.

Chaparral 2J
L’ultima Chaparral che prese parte a un campionato Can-Am, la 2J del 1970 è, forse, la più sconcertante di tutte. Per lei Jim Hall si pose l’obbiettivo di creare la maggior forza verticale dell’aria possibile, indipendentemente dalla velocità.

La sua caratteristica tecnica più importante e innovativa era stata elaborata per la coda: un piccolo motore 2 cilindri indipendente da 55 Cv comandava due grandi ventole da 43 centimetri ciascuna che, letteralmente, aspiravano aria dal fondo vettura e creavano una zona di bassa pressione sotto la macchina che avvicinava la coda al suolo aumentando in misura determinante la tenuta di strada nelle curve di qualsiasi raggio.

Si pose, in tal senso, il problema di “mantenere” quest’area tra macchina e asfalto. Furono così applicate una serie di minigonne in plastica che, grazie al sistema di regolazione idraulica dell’assetto, mantenevano sempre una costante distanza dal suolo (circa 1 pollice, pari a 2,54 centimetri).

La 2J corse una stagione in sordina: paradossalmente realizzava tempi in qualifica stupefacenti, mediamente 2 secondi sotto quelli dei concorrenti. In gara, tuttavia, si affacciavano costantemente problemi meccanici. Nondimeno a fine stagione la 2J fu messa fuori gioco dalla SCCA (la FIA americana): nonostante fosse stata perfettamente approvata a inizio anno, progressivamente la 2J iniziò a incontrare varie proteste (tra cui quelle di molti piloti che si scagliavano contro le ventole aerodinamiche, colpevoli di sparare contro i loro caschi tutto quello che aspiravano dall’asfalto). Fu allora bandita dal campionato con la motivazione che le minigonne violavano le regole dei dispositivi aerodinamici mobili.

Che il principio delle ventole aerodinamiche in coda fosse un’ottima idea lo dimostrò qualche anno più tardi la Brabham, che montò due dispositivi analoghi sulla BT46B di F1. La vettura vinse il Gran Premio di Svezia del 1978 ma le eliminò subito dopo per le accese proteste dei team concorrenti. Non solo. Anche le minigonne laterali flessibili erano state una grande invenzione ed infatti furono di grande aiuto alla Lotus nella progettazione della 78, iscritta al mondiale di F1 del 1977.

Formula Indy, Chaparral 2K e il ritiro dalle corse
Jim Hall fu di nuovo in gioco nel 1979 allorché iniziò un nuovo progetto per una monoposto Formula Indy. Per la nuova Chaparral 2K, iscritta al Campionato CART, fu incaricato un giovane e talentuoso John Barnard (progettista della McLaren Mp4, la prima al mondo con scocca in carbonio) che ideò una struttura costituita da un sandwich di alluminio e abbinata a un motore 8 cilindri a V Cosworth DFX da 780 Cv con cambio Weissmann a 4 marce. Ancora una volta il tocco di Hall non mancò: la carrozzeria della 2K aveva una forma molto particolare, ottimizzata per i flussi, e una speciale conformazione del posteriore e della grande ala.

Fin dall’esordio, all’inizio della stagione ’79, la Chaparral 2K, una delle prime auto al mondo con aerodinamica ad “effetto suolo”, si dimostrò subito l’auto da battere e, nonostante un clamoroso ritiro alla 500 Miglia di Indianapolis (corse in testa fino a metà gara quando dovette ritirarsi) vinse la stagione con Al Unser sr. al volante. Nel 1980 vinse ancora il campionato con Johhny Rutheford e anche la Indy, ma, dal 1981, iniziò a dimostrare un certo ritardo rispetto alla concorrenza. La stagione ’82 fu l’ultima: dopo alcune gare iniziali fu ritirata.

La Chaparral Cars, rinominata in Jim Hall Racing, corse nell’Indy fino al 1996, anno in cui Jim Hall si ritirò definitivamente dalle competizioni. Oggi l’ottantenne Jim Hall segue il business petrolifero di famiglia ma resta sentimentalmente legato alle sue Chaparral, che di tanto in tanto partecipano agli eventi di auto storiche. Ma la storia del marchio dello Struzzo, delle sue macchine e delle sue imprese non è ancora conclusa definitivamente: è raccontata nelle sale del Petroleum Museum di Midland, Texas, dove è esposta la collezione delle vetture Chaparral.

Alvise-Marco Seno

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