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25/03/2025 | di Laura Confalonieri
CulturAlfa, chi era davvero Nicola Romeo
Colto, curioso, amante dell’innovazioni. Così era colui che ha legato il suo nome a quello dell’Alfa Romeo, raccontato da testimonianze e ricordi familiari in un nuovo appuntamento del format ideato da Elisabetta Cozzi e Axel Marx
25/03/2025 | di Laura Confalonieri

Il suo nome è tra quelli più pronunciati della storia dell’automobile, ma forse pochi oggi si soffermano a ricordare chi è stato e quanta importanza abbia avuto Nicola Romeo nella storia dell’Alfa. Ecco perché assume particolare rilievo l’incontro “I Romeo, racconti di famiglia”, organizzato il 23 marzo da CulturAlfa, il “laboratorio culturale” nato dalla passione di due figure di riferimento dell’universo Alfa Romeo, Elisabetta Cozzi, presidente del Museo Cozzi di Legnano (MI), e Axel Marx, titolare di una delle più importanti collezioni di Alfa Romeo del mondo.

Decennio decisivo

Proprio la sede della collezione di Marx a Mezzovico, alle porte di Lugano, ha ospitato l’evento, che ha permesso di scoprire aspetti poco noti della figura di Nicola Romeo, il cui ruolo nella vicenda dell’Alfa è stato temporalmente limitato, ma fondamentale. Non bisogna dimenticare, infatti, che l’ingegnere campano acquisì la proprietà dell’Alfa nel 1915, salvandola in un momento di grande difficoltà grazie anche alle commesse belliche derivanti dall’impegno dell’Italia nella Prima guerra mondiale, e ne guidò le sorti fino alle soglie degli anni 30 del secolo scorso, prima di venirne di fatto estromesso. Poco più di un decennio, dunque, ma decisivo, sia ai fini della sopravvivenza economica dell’azienda, sia in tema di produzione automobilistica, visto che negli anni 20 videro la luce alcune delle Alfa più importanti di tutti i tempi, da competizione (è del ’25 la vittoria nel primo Campionato mondiale Grand Prix con la P2) e stradali (si pensi alle 6C 1500 e 1750).

Ingegnere eclettico

Le testimonianze che si sono alternate nell’evento di CulturAlfa hanno permesso di delineare un ritratto inusuale e approfondito di Nicola Romeo, a partire dalle poco conosciute origini lucane. Le radici della sua famiglia, come raccontato da Edvige Cuccarese, ingegnere e autrice di un libro dedicato proprio alla storia iniziale dei Romeo, risalgono a Montalbano Jonico, località della Basilicata celebre per i suoi Calanchi, formazioni modellate da vento e acqua: è lì che vide la luce, nel 1844, Maurizio Romeo, padre di Nicola, che successivamente si trasferirà nella campana Sant’Antimo per svolgere il proprio lavoro di maestro di scuola. Maurizio, che dunque aveva avuto la possibilità di studiare, sognava per Nicola un futuro da ingegnere e venne accontentato, grazie alla laurea conseguita da quest’ultimo all’Università di Napoli: ma Nicola fece molto di più, come ha voluto ricordare Matteo Sartori, che ne è pronipote. Romeo, infatti, perfezionò il suo percorso all’estero, specializzandosi a Liegi, in Belgio, in una sorta di “Erasmus ante litteram”; dalle parole di Sartori emerge la figura di una personalità “colta e curiosa, eclettica, ma al tempo stesso tradizionalista”, pronto a sposare una nobildonna portoghese, chiedendole però di rinunciare alla propria attività di pianista per assumere il ruolo di moglie e madre (peraltro, di sette figli). Della testimonianza di Sartori è interessante sottolineare un altro aspetto, ossia la descrizione di un Romeo non particolarmente appassionato di auto e della velocità, quanto piuttosto amante della tecnologia, dei treni, degli aerei e dei loro motori. Dal suo racconto sembra quasi che l’uomo che ha associato il proprio nome all’Alfa, del prestigio di quest’ultime e dei loro successi nelle competizioni, finanziati con il denaro ricavato da altre attività, si servisse per questioni d’immagine e di marketing; il suo merito era comunque la capacità di circondarsi di uomini di valore, da Merosi a Jano, indispensabili per ottenere i risultati di cui aveva necessità.

Nascita di un impero industriale

Il quadro del Romeo industriale è stato completato da Stefano Salvetti, segretario dell’Alfa Blue Team (altro prestigioso sodalizio consacrato al marchio del Biscione), intervistato in video da Axel Marx. Dal suo racconto emerge un’Alfa che, all’epoca della sua acquisizione, costituiva un solo tassello, e non il più importante, dell’impero industriale di Romeo, che spaziava dalle locomotive all’importazione di compressori dagli Stati Uniti, per arrivare alla produzione di trattori su licenza americana, agli impianti industriali, al commercio di macchinari e a molto altro ancora. All’eclettismo culturale dell’ingegnere napoletano, insomma, corrispondeva quello delle attività professionali, di cui il Portello e l’Alfa Romeo costituivano solo uno degli aspetti: questo, però, nulla toglie al suo ruolo nella nascita della “vera” Alfa, quella che, una volta consolidata, avrebbe sfornato via via vetture sempre più prestigiose e vincenti, come le sei cilindri 1500, 1750 e 2300, a cavallo tra gli anni 20 e i 30.

La parabola e l’uscita dall’Alfa Romeo

A questo percorso di successi è stato dedicato il racconto di Domenico “Mimmo” Magro, già direttore del Museo Alfa Romeo di Arese: un cammino fatto di gioielli della meccanica e di trionfi sportivi, dell’epopea degli Ascari, dei Nuvolari e Varzi, ma anche di difficoltà e di congiunture economiche drammatiche (si pensi alla crisi del ’29). Magro ha descritto anche un Romeo “un po’ stanco e deluso”, messo in secondo piano e costretto a uscire di scena; l’Alfa, com’è noto, nel 1933 entrò nell’orbita statale dell’Iri e Romeo, dopo l’esperienza da senatore del Regno d’Italia, si ritirò nella villa di Magreglio, sulle colline del Lago di Como, dove si spegnerà il 15 agosto del 1938. Della dimora di famiglia è importante però fare cenno, perché ancora oggi vi si ritrova l’intera famiglia Romeo, a partire dalla nipote Daniela Maestri Romeo e dal pronipote Matteo Sartori; ma non è l’unica abitazione legata a questa storia affascinante perché, come ha ricordato Claudio Bonfioli, anche l’abitazione milanese dell’imprenditore è degna di nota. L’edificio, acquistato da Romeo nel 1919 e oggi adibito a clinica, è un capolavoro liberty dell’architetto Giuseppe Sommaruga e conserva ancora uno degli ambienti dell’epoca, la prestigiosa Sala della musica.

Dna sportivo

Parlare di Alfa Romeo senza parlare di corse, però, è impossibile e a incaricarsene, nell’occasione, è stato Gippo Salvetti, presidente dell’Alfa Blue Team, il cui ricordo è andato a Giovanni “Giannetto” Sartori, nipote di Romeo e padre di Matteo. Un driver capace di andare “veramente forte” con la sua Giulietta SZ, tanto da meritarsi il soprannome di “Prima guida”, ma anche un vero gentleman, dai tratti signorili. Quei tratti che, del resto, compongono il ritratto dell’intera famiglia Romeo, riunita sul palco dell’evento, con Daniela affiancata da Giulietta (nome quanto mai evocativo), Edoardo, Chiara ed Elena, figlia della spesso citata “zia Pierina”. Tutti uniti dall’amore per un nome che ancora oggi, a 115 anni dalla sua nascita, suscita passione in ogni angolo del mondo.

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