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Ferrari 250 GTO: 60 anni da leggenda

Considerata come una delle auto più belle di sempre questa sportiva Made in Maranello venne progettata con il preciso intento di trionfare nelle competizioni. Venne costruita in soli 39 esemplari e, con un glorioso palmarès sportivo, è ad oggi l’auto più preziosa al mondo. Nel 2018, il miliardario americano David MacNeil, fondatore di Weather Tech, se ne è aggiudicata una per la cifra record di 70 milioni di dollari.

A volte basta un nome per regalare un’emozione, sono sufficienti tre lettere per sentire un brivido (di piacere) attraversarci la schiena.  L’acronimo “GTO” (Gran Turismo Omologato) ci riporta all’età aurea delle granturismo italiane, vetture meravigliose nelle linee e dalle prestazioni elevatissime: auto da sogno per gran parte degli appassionati, protagoniste assolute delle pagine più importanti nella storia del motorsport.
Sessant’anni fa Ferrari 250 GTO si spingeva oltre, confermandosi come una delle vetture più straordinarie mai prodotte dalla Casa del Cavallino. Scopriamo insieme perché.  

Il sorpasso delle GT. Al lancio della Jaguar E-Type, il Commendator Enzo Ferrari la definì “l’auto più bella del mondo” ma, ovviamente il Drake non sarebbe rimasto a guardare: nel mentre aveva già radunato i suoi migliori progettisti per dare vita a una nuova e specialissima vettura. Questa avrebbe corso nel nuovo Campionato Internazionale Gran Turismo, divenuto quello della “Classe Regina” a scapito della categoria Sport. Nel corso degli anni 50 la Ferrari aveva infatti profuso gran parte delle sue risorse nelle vetture Sport e monoposto, lasciando ai privati il compito l’onere di tenere alta la bandiera Ferrari con le GT. Ma, nel 1960, dopo i tragici eventi di Le Mans ’55 e Mille Miglia ’57, anche in Ferrari era chiaro che nel Mondiale Marche la Classe Gran Turismo sarebbe stata implementata a scapito della Sport.
L’avvento di vetture GT particolarmente agguerrite spinse il Drake a implementare la 250 SWB, mantenendo le specifiche “classiche” delle Ferrari del tempo: ovvero il motore con architettura V12 (montato anteriormente) con cilindrata di tre litri.

L’epopea 250. In quel periodo era stata la Ferrari 250 GT, nelle sue numerose iterazioni, a dettare legge nella sua categoria con un palmarès ineguagliabile anche da vetture di grande caratura: dalle rivali nazionali come l’Alfa Romeo 1900 Sprint, la Lancia Aurelia B20 GT e la Maserati A6 a quelle estere come le Aston Martin DB2, Jaguar D-Type e Mercedes-Benz 300 SL.
Le quattro vittorie consecutive della Berlinetta Competizione al Tour de France, tra il 1956 e il 1959, valsero alla 250 l’acronimo “TDF”(Tour De France), facendo eco al debutto della Berlinetta Passo Corto nel 1960. Anche quest’ultima, declinata nelle versioni stradale (con carrozzeria in acciaio) e “Competizione” (con carrozzeria in alluminio) si rivelò tanto vincente quanto affascinante. Con Stirling Moss conquistò due podi al Tourist Trophy, nel 1960 e ‘61, perpetuando così la tradizione della precedente generazione con altre tre vittorie al Tour de France del 1960, ’61 e ’62. Alla 24 Ore di Le Mans, invece, concluse terza assoluta.

Il primo prototipo. Il geniale progettista Giotto Bizzarrini venne incaricato di sviluppare la nuova Berlinetta Sperimentale. Il primo step fu la realizzazione del prototipo, noto come “Il Mostro”, con numero di telaio “2463 GT”. Il motore era derivato da quello della Testa Rossa mentre il telaio, di origine SWB, venne opportunamente adattato, infine la carrozzeria ripresa dalla Super America.
C’è una discrepanza riguardo al numero di telaio della vettura donatrice su cui è venne costruita. Giotto Bizzarrini in alcune interviste ha ricordato che gli studi vennero condotti sul telaio 0523GT di una Ferrari 250 GT Boano del 1956 ma i registri di fabbrica riportano che il prototipo venne realizzato su quello, più recente, della Ferrari 250 GT Passo Corto Berlinetta Competizione (numero 1791 GT).

Verso la GTO. L’auto venne ulteriormente perfezionata in vista della 24 Ore di Le Mans del 1961, dove venne affidata a Giancarlo Baghetti e Fernand Tavano, ma fu costretta al ritiro.
La 250 GTO, intanto, si configurava come un’estremizzazione della “Passo Corto” e per questo la linea perfettamente armonica della 250 SWB venne pesantemente rivista, in funzione della maggior efficienza aerodinamica possibile. Scaglietti, tuttavia, riuscì a tradurre i diktat del Commendator Ferrari e i vincoli tecnici di Bizzarrini in una berlinetta con scocca in alluminio dalle proporzioni molto seducenti, caratterizzata dal muso basso, i passaruota flessuosi e la coda tronca, sormontata da uno spoiler.
Quella che oggi indichiamo come Ferrari 250 GTO (ai tempi non era ancora stata adottata questa denominazione) venne svelata ufficialmente il 24 febbraio 1962, sotto forma della vettura con telaio 3223GT, senza il particolare spoiler posteriore. Il telaio, Tipo 539/62 derivava anche in questo caso dall’SWB, mantenendo la tradizionale architettura tubolare in acciaio. Rispetto alla Berlinetta Passo Corto, il motore venne arretrato per garantire una migliore direzionalità mentre la struttura generale fu rinforzata per resistere alle flessioni dovute alla maggior potenza.

La tecnica. Il motore, Tipo 168C venne sviluppato partendo da quello della Ferrari 250 “Testa Rossa”: un 12 cilindri con V di 60° da 2.953 cc, con albero motore in acciaio su sette supporti, distribuzione a catena, doppio albero a camme in testa e alimentazione a sei carburatori Weber (Tipo 38 DCN), capace di erogare   300 CV a oltre 7000 giri mediante un cambio meccanico a cinque marce.
Al telaio erano collegate sospensioni indipendenti a triangoli sovrapposti all’anteriore, mentre al posteriore era presente un tradizionale assale rigido, con parallelogramma di Watt e molle a balestra. L’impianto frenante prevedeva quattro dischi e ruote a raggi da 15″ con pneumatici Dunlop.
Il passo di 2400 mm richiamava direttamente la sorella 250 SWB.  Il peso, con l’ago della bilancia che si fermava a 880 kg a secco, costituiva il risultato più straordinario soprattutto in rapporto alla potenza. Ciò rese la berlinetta una delle auto di produzione più veloci (e impegnative) del pianeta. Era nata una leggenda.

Il debutto sportivo. Giotto Bizzarrini, tuttavia, lasciò la Ferrari nel 1961 e non vide il completamento della GTO. Insieme all’indimenticato Carlo Chiti, nello stesso anno, fondò l’ATS. Furono Mauro Forghieri e Willy Mairesse a portare il progetto a compimento.
Un mese dopo la presentazione, una Ferrari 250 GTO in livrea Nart fece il suo esordio sportivo alla 12 Ore di Sebring. Al volante della belva di Maranello c’erano Phil Hill e Olivier Gendebien, che conclusero al secondo posto assoluto dietro alla Ferrari 250 TRI/61 della Scuderia Serenissima, guidata da Bonnier e Bianchi. Nei due anni successivi la 250 GTO ottenne 23 vittorie nella classe Gran Turismo.

La più ambita.
Tra il 1962 e il 1964 vennero realizzate 39 vetture: 36 con motore tre litri e le rimanenti con motore quattro litri. Le vetture sono tutte diverse tra loro, in quanto erano realizzate totalmente a mano secondo le richieste dei più facoltosi gentlemen drivers dell’epoca. La più desiderata di tutte le Rosse, vanta tra i suoi possessori personaggi del calibro di Nick Mason (batterista dei Pink Floyd), lo stilista Ralph Lauren e l’ex presidente della Microsoft Jon Shirley.
Inoltre, la 250 GTO, secondo molti esperti, resta tutt’oggi la miglior Ferrari di sempre: per il connubio tra prestazioni, dinamica e la bellezza senza tempo della sua carrozzeria tutta curve.

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