A volte intorno a un’automobile, come la Ferrari 456 GT del 1996, nascono alchimie imprevedibili. Nel settembre 1992 gli appassionati di tutto il mondo aspettavano fervidamente l’introduzione di una vettura del Cavallino a motore anteriore, munita del potenziale per eclissare una lacuna di gamma perdurata quasi tre anni e, soprattutto, per scrostare dalla memoria l’immagine un po’ controversa della 412 e dei suoi spigoli di derivazione anni 70. Il “Drake” mancava dal 1988, all’incirca come una dodici cilindri in grado di esaltare più di due passeggeri, dunque era davvero tempo di un debutto effervescente.
Una lunga attesa. Non solo: Luca di Montezemolo rivestiva da circa un anno la carica di amministratore delegato e, benché pochi ne avessero intuito la visione imprenditoriale, scalpitava per rinverdire i fasti di una gestione un po’ appannata. Infine, diverse fonti anticipavano da mesi le forme della futura creazione (Quattroruote da gennaio ’92), peraltro frutto di discussioni progettuali in atto dal 1985 e, si sussurra, soggette a una brusca virata quando ci si accorse della direzione intrapresa da BMW con la Serie 8 coupé (E31) A del 1989. L’attesa sobbolliva incalzante sotto gli occhi silenziosi di tutto l’universo dei motori. Il 24 settembre un gigantesco telo giallo volò via in una sala al Parc du Cinquantenaire di Bruxelles e lo sguardo della stampa fu finalmente appagato (in attesa di soddisfare il pubblico al Salone di Parigi del mese successivo).
Senza incongruenze. Ufficialmente si festeggiavano i quarant’anni di collaborazione fra Maranello e il Garage Francorchamps del pilota Jacques Swaters, cui era perfino dedicato il punto di blu della carrozzeria appena svelata (lo stesso dell’esemplare in queste pagine), ma si capiva immediatamente come l’ultima nata fosse percorsa da un tono tecnico e stilistico da gentleman driver, piuttosto distante dalla pista e assai più prossimo alla guidabilità di una raffinata, possente e piacevolissima compagna quotidiana per pochi eletti. Un’autentica granturismo all’italiana, che dell’abusata sigla GT si fregiava con un diritto sconosciuto a molte altre. Basti sapere che in seguito Montezemolo, al riguardo pare si sia espresso così: “Sulla 456 colpisce la capacità del motore di riprendere in sesta da 2000 giri senza strappi o mancamenti, insieme a una spinta che sembra non finire mai”.
Morbidezza e cattiveria, un’alchimia straordinaria. Ma il catalizzatore che regalava davvero spessore alla chimica dell’attrazione si concentrava nella linea. Equilibratissima e filante, del tutto priva delle incongruenze in cui talvolta incappavano le Ferrari ostinate a ospitare più di due persone, si concedeva un elemento in via d’estinzione come i fari anteriori a scomparsa, puntando però su una miscela di superfici levigate quanto espressive e di tocchi decisi (gli sfoghi d’aria sul cofano e soprattutto sulle bellissime fiancate) con momenti di sobrietà (la griglia anteriore). Lorenzo Ramaciotti, all’epoca capo del design di Pininfarina, rimarcò anche un altro genere di bilanciamento, fra l’estensione evocativa del cofano e la pur generosa volumetria dell’abitacolo.
Mostri sacri. Di certo il fascino gravitava intorno ai giochi di matita di Pietro Camardella, che fra le altre sue opere può annoverare mostri sacri come la F50 o il prototipo Mythos e oggi si vede pienamente riconosciuta la paternità dello splendore. Perfino Sergio Pininfarina, di cui quest’anno si celebrano gli undici anni dalla morte, tributò alla vettura il più sentito degli omaggi, eleggendola a propria ultima Ferrari posseduta. In blu, naturalmente. E oggi? Dopo trent’anni esatti, le quotazioni appaiono in piena crescita. I valori premiano le manuali (a memoria di un’epoca in cui i cambi automatici apparivano una mortificazione) e le 456 M, ovvero Modificata, nate nel 1998 con qualche miglioria di dettaglio e il controllo di trazione, in aggiunta al solo abs delle precedenti.
Più affinata che mai. Quale preferire è questione di gusti e portafoglio, sebbene per Alessandro Casolino, proprietario dell’auto nelle immagini, la questione si è sviluppata diversamente: “Avevo acquistato una magnifica M del 1999, che però ho distrutto per distrazione in un incidente. Così nel 2014 ho reperito in Svizzera questo esemplare pre restyling del 1996, con appena 27.000 km, e me ne sono innamorato”. L’espressione pare inflazionata eppure calza assai meglio che altrove. Infatti, non solo il simpaticissimo Alessandro organizza raduni gonfi di affetto, ma si è da subito dedicato alla sua beniamina con dedizione quasi… sentimentale, revisionando la pompa del servosterzo, gli ammortizzatori e la carrozzeria e apportando affinamenti tipo gli inediti supporti in teflon per la pompa carburante, i profili dei finestrini rivisti per migliorarne la chiusura (difetto tipico del modello) e, soprattutto, un meraviglioso impianto di scarico Fiammenghi con collettori 6-1 di storica memoria e valvole che mutano la “timbrica” del propulsore. Perché una gran signora non alza mai la voce, ma talvolta perfino i Cavallini più eleganti sollevano le zampe anteriori.