Fiat Dino, una storia italiana - Ruoteclassiche
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21/06/2020 | di Giancarlo Gnepo Kla
Fiat Dino, una storia italiana
Da un accordo per lo sviluppo di motori per la Formula 2, nacquero tre capolavori: le Dino Spider e Coupé della Fiat e la Dino GT della Ferrari.
21/06/2020 | di Giancarlo Gnepo Kla

La Fiat Dino nasceva come modello a sé stante nella gamma Fiat, frutto di un accordo tra Enzo Ferrari e la Fiat per lo sviluppo di un motore per la Formula 2.

Nel 1965 il regolamento per l’iscrizione in Formula 2 prevedeva che le vetture in gara fossero dotate di un motore con frazionamento fino a 6 cilindri e una cilindrata massima di 1,6 litri, derivato da modelli di serie. Non avendo Ferrari nulla di simile in gamma, si rivolse alla Fiat per definire un accordo commerciale. La Fiat dal canto suo intendeva sviluppare un’erede per la sua 2300S Coupé: un modello dalle linee eleganti e dal temperamento sportivo. Entrambi ne avrebbero guadagnato e così partì il progetto Dino.

Le Dino. L’Ingegner Giancarlo Bussi progettò un nuovo propulsore in alluminio con tre carburatori doppio corpo Weber, dotato di accensione elettronica: il sistema venne realizzato dalla Magneti Marelli e indicato come “Dinoplex”. Tuttavia la cilindrata di 1,6 litri non era sufficiente per la nuova, anzi per le nuove GT: due a marchio Fiat e l’altra Ferrari, quindi la cubatura dei modelli stradali venne elevata a 2 litri con una potenza di 160 CV. Un valore che consentiva velocità massime nell’ordine dei 210 km. Le Fiat vennero commercializzate col nome Dino, disponibile sia in versione Coupé che in configurazione Spider, entrambe con motore anteriore e trazione posteriore, mentre la Ferrari prendeva il nome di Dino 206 GT e prevedeva uno schema a motore centrale. La denominazione “Dino” da quel momento indicava i modelli di accesso alla gamma Ferrari, in onore del figlio di Enzo Ferrari.

Coupé a 4 mani. Fiat presentò le due varianti della Dino a 4 mesi di distanza l’una dall’altra, proponendo due vetture molto diverse seppur accomunate dalla meccanica. La Fiat Dino Spider venne infatti disegnata da Pininfarina e debuttò al Salone di Torino del 1966, mentre la Dino Coupé era frutto di un lavoro “a quattro mani” di Marcello Gandini e Giorgetto Giugiaro, a quei tempi in forza al Centro Stile Bertone. Le due vetture differivano molto nella linea e nella clientela finale: la Spider era destinata ad un pubblico più giovanile, infatti veniva indicata come 2+2, mentre la Coupé come da tradizione si configurava come una classica granturismo 4 posti, capace di soddisfare esigenze diverse. L’indole da vera granturismo della Fiat Dino Coupé era sottolineata da un abitacolo curato e ben rifinito, con dotazioni di prestigio: ad esempio gli alzacristalli elettrici erano offerti di serie mentre erano optional su gran parte delle vetture coeve. Per i tempi ristretti della progettazione, non venne sviluppato un climatizzatore (disponibile successivamente), ma la Dino Coupé proponeva un raffinato impianto di ventilazione con flusso separato per i passeggeri anteriori e posteriori.

Sportiva a cielo aperto. La Fiat Dino Spider venne realizzata a partire dal pianale della 124 Spider, ma adottava ancora un ponte rigido posteriore ereditato dalla berlina Fiat 125. Nonostante fosse in cantiere lo sviluppo di una sospensione posteriore con schema De Dion, le tempistiche (e le economie di scala) fecero sì che venisse adottata questa soluzione, che seppur antiquata era ancora in uso su diverse vetture ad alte prestazioni. Anche il cambio era di origine Fiat, un 5 marce preciso e piacevole con differenziale autobloccante al 25% sviluppato dalla Borg Warner. Peculiarità delle Dino era l’impianto frenante Girling con servofreno e dischi autoventilanti: le Dino erano le prime vetture di serie ad offrire questa soluzione. Il comparto sicurezza, che conosceva in quegli anni le sue prime applicazioni, vide la collaborazione del progettista Rudolf Hruska che indirizzò la Fiat verso lo sviluppo di una scocca portante ad alta resistenza, testata nei crash test.

La maturità. A fine anni 60 Ferrari abbandonò la Formula 2 e non era più “costretta” al vincolo delle cilindrate. L’Ing. Aurelio Lampredi, allora a capo del reparto motori Fiat ed ex progettista Ferrari, mise a punto un nuovo V6, da 180 CV che riprendeva l’impostazione globale del 2 litri ma venne realizzato in ghisa. Pur significando un peso maggiore la nuova unità da 2,4 litri era più robusta e silenziosa della precedente 2 litri, ma soprattutto più elastica e pronta in ripresa. Il nuovo motore avrebbe equipaggiato la rinnovata Ferrari Dino 246 GT e le Dino “torinesi”: a giovare di questo propulsore fu principalmente la Fiat Dino Coupé. Commercializzata tra il 1967 e il ’69, la Dino Coupé 2000 venne realizzata in meno di 5 mila esemplari, il 2 litri di origine Ferrari si era rivelato azzeccato sulla Spider, ma sulla Coupè non brillava per via di un peso complessivo maggiore. Il nuovo 2,4 litri, disponibile dal 1969 era decisamente più confacente allo spirito della clientela di riferimento della Dino Coupé. Nuovo anche il cambio, prodotto dalla ZF, mentre rimaneva il differenziale autobloccante che completava l’affinamento tecnico garantendo un’azione più dolce e progressiva. La rinnovata maneggevolezza era coadiuvata poi dall’introduzione della sospensione posteriore che proponeva (finalmente) uno schema a ruote indipendenti. La Fiat Dino Coupé 2400, rinnovata nella tecnica e nelle dotazioni giungeva a piena maturazione.

Iconiche. Con le loro linee e sfumature diverse, le Fiat e le Ferrari Dino segnano la storia dei rispettivi marchi per aver introdotto importanti soluzioni tecniche e sinergie per lo sviluppo dei modelli futuri: la meccanica era prodotta a Maranello mentre l’assemblaggio era completato nello stabilimento Fiat di Rivalta (To) inaugurato poco tempo prima. A oltre cinquant’anni dal loro debutto i modelli Dino hanno raggiunto quotazioni molto più alte rispetto al loro valore iniziale, ma la loro rilevanza e la bellezza delle loro linee esulano dal mero valore economico: le icone restano tali a prescindere dal prezzo.

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