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HA SFIDATO IL DESTINO PER 84 ANNI

Non sbanda, non slitta, non alza polvere: la Mercedes familiare del conte Giannino Marzotto affronta a più di cento all’ora la strada tra due file di ulivi e io faccio una gran fatica a starle dietro. Quando arriviamo tiro un sospiro di sollievo e mi guadagno una pacca sulla spalla: “Coraggio ragazzo, hai tenuto il passo di Giannino Marzotto”. C’eravamo incontrati per la prima volta quattro ore prima. Nella sua villa di Valdagno, un unico piano stipato di libri e con qualche quadro d’autore, Marzotto si presenta senza il suo storico doppio petto.

Vorrei chiedergli delle due Mille Miglia che ha vinto (nel 1950 e ’53), dei piloti e delle corse di quei tempi, del suo rapporto con Enzo Ferrari. Brucio di curiosità ma il mio ruolo quel giorno è un altro. Il 2 maggio 2007 sono lì per conto di “National Geographic”, con l’incarico di fotografare le Ville Venete e gli ultimi “castellani” d’Italia. Marzotto, proprietario dagli anni Cinquanta di Villa Trissino, è uno di loro. Riesco a malapena a dirgli della mia passione per le auto e le corse. Per lui è sufficiente: mi accompagna in giardino dove c’è una Iso Rivolta “Lele” che sembra stritolata dal “ragno” di uno sfasciacarrozze: “Questo è il ‘Monumento al Culo’ e alla speranza di non averne più bisogno”. Non capisco. “Mi ci sono schiantato contro un platano andando dal dentista: 17 fratture e 34 giorni d’ospedale. Ho avuto fortuna, ma con il ‘Monumento’ tutti i giorni sotto gli occhi, mi ricordo di non abusare più così sfacciatamente della buona sorte”.

Mi tornano in mente questi episodi quando il 14 luglio leggo che Giannino Marzotto è morto. Nel suo studio, quel giorno, prima di andare via, l’occhio mi cadde su “Le mie gioie terribili”, il primo libro di Enzo Ferrari: “Conte, lei ha l’unico volume del Drake che manca nella mia libreria”. Marzotto lo sfilò dallo scaffale: “Mi ripeti il tuo nome…?”. E scrisse: “Credo di essere uno dei pochissimi con tre distinte connotazioni: ‘cliente’, per il numero di Ferrari comprato; ‘fornitore’, per l’attività di collaudo e di guida che gli dedicai; ‘amico’, e perciò… sincero ammiratore e parte delle sue ‘gioie terribili'”. Con questa dedica rispose a tutte le mie domande.

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