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I 50 anni della Vaz 2101, la 124 venuta dall’Est

Una grande impresa industriale nata dall’accordo tra la Fiat e i vertici di Mosca. Un’automobile straordinariamente robusta, adatta a tutti i climi e facilmente riparabile. Un gruppo di lavoro misto di eccezionale valore. Questa la ricetta per un modello che è stato eletto nel 2000 “Auto russa del ventesimo secolo” e prodotto per quarantadue anni.

I primi sei esemplari della versione russa della nostra Fiat 124 uscirono dalla linea di montaggio della fabbrica di Togliatti nel 1970, mezzo secolo fa: due erano verniciati di blu, quattro di rosso, per rappresentare i colori della bandiera della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa. La nuova città sede dello stabilimento fu chiamata così in onore del leader comunista italiano e dista mille di chilometri da Mosca in direzione sudest. Fu un avvenimento straordinario per il nostro paese e per l’Urss, che fin dai primi anni Sessanta era alla ricerca di un partner capace, affidabile e serio per realizzare dal nulla la più grande fabbrica di automobili dell’allora Unione Sovietica e consentire ai propri cittadini di mettersi al volante di una vettura che doveva essere se non per tutti, almeno per molti. I viaggi dei dirigenti Fiat verso Mosca si fecero via via sempre più frequenti e culminarono il giorno di ferragosto del 1966 con la firma dell’accordo che avrebbe impegnato le due parti, Vittorio Valletta per la Fiat e il ministro Alexandr Mikhailovich Taraszov per il governo sovietico, siglato a Mosca al Palazzo dei congressi sulla collina Lenin.

Nome nuovo, azienda nuova. Nasceva così ufficialmente la AutoVaz (Volzhsky Avtomobilny Zavod). Il lavoro che seguì fu immane: si trattava non solo di impiantare gli stabilimenti su un area coperta di 1.455.000 metri quadrati nella piana del fiume Volga, ma anche di costruire da zero immensi palazzi e attività connesse per decine di migliaia di lavoratori e le loro famiglie. A Torino c’era molto orgoglio per questa nuova impresa, ma non mancarono le difficoltà. Vennero ricercati tutti coloro che avrebbero potuto fare da interpreti, si dovette predisporre una linea di comunicazione veloce con Mosca e accogliere in Italia tecnici ed esperti sovietici perché imparassero i nostri metodi di organizzazione del lavoro e di costruzione meccanica e ingegneristica.

In trasferta da Torino. Si dovettero poi reclutare i dipendenti Fiat italiani disposti a trasferirsi a Togliatti per settimane, mesi e anche anni. Una volta a regime, da Torino venivano inviati regolarmente filmati con i programmi tivù del festival di Sanremo e di Canzonissima, che venivano guardati insieme dai dipendenti di entrambe le nazioni, cui facevano seguito balli e feste (tant’è che diversi uomini Fiat si innamorarono delle belle ragazze russe e le sposarono poi in Italia). Il tutto era complicato però dal dover tradurre ogni cosa perché non ci fossero successive incomprensioni o, peggio, errori di progetto. I lavori cominciarono a gennaio del 1967 e, può sembrare incredibile, vennero portati a termine in un triennio. La capacità produttiva iniziale fu di 660.000 unità all’anno.

L’editoriale del direttore. Gianni Mazzocchi, direttore di Quattroruote, scrisse nel gennaio del 1966 sulla rivista: “Con studi e impianti italiani, progettando ed avviando un nuovo stabilimento e ampliandone altri, saremo proprio noi italiani che daremo ai russi la possibilità di avere oltre 4000 vetture al giorno e una rete di assistenza per tutto il territorio dell’Urss. Questo è motivo di orgoglio per i tecnici italiani, è motivo di gioia per tutti, perché lavoro per centinaia di miliardi è così assicurato all’Italia, ed è motivo di particolare soddisfazione per noi perché proprio dal paese che sembrava irrimediabilmente avverso all’automobilismo, ci viene la conferma del nostro ideale, per il quale combattiamo la nostra battaglia da quando, 10 anni or sono, iniziando Quattroruote, affermammo che l’automobile non deve essere un privilegio per ricchi”.

Gemelle diverse. Parliamo adesso della protagonista, la Fiat 124, che venne modificata e adattata alle esigenze locali pur mantenendo intatta la forma esterna. Chiamata Vaz 2101 o Zhigulì, dal nome delle colline attorno al Volga, venne studiata con grande attenzione e collaudata sia a Torino sia nelle più lontane steppe della Russia, dove le temperature scendono anche a 30 o 40 gradi sottozero. Ricorda l’ingegner Dante Giacosa, progettista di alcune delle Fiat di maggior successo: “Le riunioni furono presiedute dall’ingegner Strokin, ministro dell’industria automobilistica, il quale, molto più ingegnere che ministro, conosceva a fondo la tecnica dell’automobile. I tecnici che partecipavano alla discussione erano orientati verso la trazione anteriore e preferivano la Primula, che apprezzavano per le sue dimensioni e per il tipo di carrozzeria a tre porte che consideravano adatta all’uso promiscuo che se ne sarebbe fatto nel paese. Dovetti perciò esporre tutte le ragioni che ci inducevano a scegliere una vettura convenzionale come la Fiat 124… Per dar loro soddisfazione dovemmo infatti disegnare un motore apposito”.

Una meccanica ripensata. Se la cilindrata in effetti era quasi identica, 1197 cm³ la Fiat, 1198 cm³ la Vaz, cambiavano le misure di alesaggio e corsa (rispettivamente 73×71,5 mm e 76×66 mm): la potenza era la stessa, 60 CV Din, ma la versione russa aveva albero a camme in testa invece che un monoalbero a camme laterale. I rapporti al cambio erano quelli, ma con sincronizzatori sportivi; il peso superiore, da 885 a 945 kg. La carrozzeria era costruita con lamiere più resistenti, così come le sospensioni erano più robuste e l’assetto rialzato. I freni posteriori da disco passarono a tamburo, la frizione era comandata idraulicamente e non mediante cavo. Da fuori, la Zhigulì si riconosceva per i rostri dei paraurti più alti e le maniglie delle porte a filo carrozzeria e non a pulsante. Nell’abitacolo i rivestimenti erano migliori e la strumentazione più completa ; nel bagagliaio c’era posto per una borsa attrezzi degna di un’officina meccanica: i russi amavano e amano riparare da soli la propria macchina. Nel paraurti venne aggiunto un foro per l’avviamento a manovella.

A pieno regime. Nel 1966 ne furono fabbricate in pochi mesi 23.000, nel 1971 172.000, nel 1974 635.000. Un certo numero venne esportato nell’Europa Occidentale con marchio Lada. Molte finirono anche a Cuba, nei paesi asiatici e in Africa: ancora oggi, quando appaiono immagini di quei luoghi nei telegiornali, è facile vederne passare qualcuna, a testimonianza della sua longevità: del resto la Zhigulì, pur modificata e aggiornata, è stata prodotta fino al 2012. La gloriosa fabbrica di Togliatti (dagli italiani chiamata Togliattigrad) esiste ancora, ma fa parte del gruppo Renault. Nel museo della AutoVaz sono esposte fianco a fianco la nostra 124 e la loro Zhigulì, sorelle differenti ma frutto di un unico grande scopo, quello di realizzare un sogno.

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