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Il giro del mondo in 10 auto

I colori delle gite e delle vacanze sono stati sostituiti da quelli delle zone virali, ma l’auto è abbastanza indipendente per viaggiare anche da ferma. Basta scegliere il nome giusto, per portare lontano la fantasia dei loro proprietari.

“Sì, viaggiare, rallentando per poi accelerare…”. Bello, ma per andare dove? Ancora per qualche settimana sarà vietato oltrepassare i confini della propria regione. Nei giorni in cui il viaggio assume più che mai i contorni del desiderio e i panorami sfumano nella visione, abbiamo pensato di organizzare un giro del mondo. Basta aprire la portiera ed entrare nelle vetture che portano i nomi di altrettante località da sogno. Partite con noi, non serve passaporto, né patente internazionale. Scoprirete che dietro l’autonomastica si nascondono curiosità e tradizioni insospettate.

Volvo Amazon. Certo che a Torslanda non si posero limiti all’immaginazione e alla geografia, nel dedicare la nuova berlina alla foresta pluviale del Brasile. L’entusiasmo fu ben compensato, visto che la Amazon diventò una componente fissa del paesaggio svedese a partire dal 1961. Quando la fabbrica chiuse per ferie il 3 luglio 1970, insieme agli operai uscirono anche le ultime delle 667.322 Amazon costruite nelle versioni due, quattro e cinque porte. Curiosamente, la Volvo potè commercializzarla con il nome amazzonico (o da amazzone, secondo come lo si traduce) solo sul mercato svedese, poiché l’azienda di motociclette tedesca Kreidler aveva brevettato il marchio per il resto del mondo.

Opel Ascona. E chi non è mai stato a comprare il cioccolato, i dadi da brodo e fare il pieno di Super nell’amena località affacciata sul lago Maggiore, accanto a Locarno? Con la Ascona, nel 1970 la Opel tornò nel segmento delle berline di classe media. Per l’occasione, inaugurò la prassi di chiamare le sue vetture con nomi che terminavano con la lettera “A”. La nuova Ascona era il prototipo della berlina maneggevole e quasi sportiva, tra la Kadett e la Rekord. Alle versioni a due e quattro porte negli allestimenti base e lusso, nel marzo 1974 si affiancò la station wagon Voyage con finiture esterne da “woodie”.

Ford Capri. Per diversi appassionati di auto americane è stata la prima, anche perché era la più facile ed economica da reperire sul mercato italiano. Non era davvero americana, la Ford Capri. Stilizzata da coupé nella filiale europea di Dagenham, nell’East End londinese, la minipony car fu costruita in tre serie, dal 1969 all’86, sulla scia del successo ottenuto dalla Escort. La Capri era fabbricata nelle cilindrate da 1.3 a 1.7 cc, anche in Belgio e in Germania. Qui era possibile acquistare anche l’ambita versione da 2.3 litri e 125 cv, alimentata dal doppio carburatore. Nel ’74 arrivò il primo restyling con la Capri II.

Ferrari 365 GTB/4 Daytona. Il nostro viaggio fa la sua prima tappa nelle località da corsa. La Daytona è stata l’ultima supercar di Maranello con V12 anteriore prima dell’arrivo della Fiat. Per la successiva, si sarebbe dovuta attendere la 550 Maranello, più di vent’anni dopo. La carrozzeria, slanciata ed elegante come un veltro, si materializzò dalle matite di Leonardo Fioravanti per Pininfarina. Fece sensazione – per qualcuno fu scandalo – la banda in plexiglas trasparente che raccorda i proiettori anteriori. Durò fino al ’71 quando i fari diventarono a scomparsa. Della ricercata versione “plasticosa” furono costruiti solo 411 esemplari.

Renault Floride. Daytona è in Florida, quindi non ci sposteremo per le prossime righe. È felice la scelta del nome per la graziosa cabrio due porte (con hard top opzionale) disegnata da Pietro Frua. La Régie Nationale la propose dal 1958 sul mercato nazionale e, con grandi ambizioni di vendite, su quello americano. Dove però si chiamava Caravelle… Nonostante la carrozzeria di una testimonial-bomba come Brigitte Bardot, la Floride/Caravelle non sfondò. Troppo piccola, troppo poco potente. Troppo… francese, per una convertibile. La catastrofe commerciale si consumò con il pronto ritorno in Francia delle Floride invendute, cioè quasi tutte.

Alfa 33 Imola. Si torna in circuito, quello romagnolo che oggi porta il nome “Enzo e Dino Ferrari”, al volante di una youngtimer Alfa Romeo piuttosto apprezzata. Soprattutto in Red, con le minigonne, i paraurti e lo spoiler gentilmente donati dalla 1.7 16 valvole Quadrifoglio Verde. E tanto ai giovani Alfisti bastava, nonostante il motore fosse il più tranquillo 1.3 terza serie a iniezione da 79 cv, che salivano a 86 nel modello S. Certo che davanti al bar faceva colpo la Imola. Anche negli interni, con il pomello del cambio in pelle e i sedili sportivi a panchetta, amatissimi dai fisioterapisti.

Seat Marbella Playa. Voglia di spiaggia? Con la Marbella, la Casa di Barcellona inaugurò l’usanza di dare un nome di località spagnole ai propri modelli. In particolare, la micro pickup Playa fa diretto riferimento alla bionda striscia di rena della Costa del Sol. Nella versione base, la Marbella era stata presentata nell’86 per sostituire la Seat Panda, della quale la Marbella riprende i motori e la linea generale, restilizzata il giusto da non incombere nel plagio. E difatti risultava più moderna nel design, seppur tecnicamente più antiquata. Alla fine il successo fu tale, che la produzione proseguì fino al 1998 quando la Seat preferì andare in vacanza ad Arosa.

Chrysler Newport. Nonostante il nome evochi l’elegante località di villeggiatura del Rhode Island affacciata sull’Oceano Atlantico, sede dell’America’s Cup di vela fino al 1983 e di un affermato Jazz Festival, Newport fregiava i modelli base proposti dalla Chrysler fra il 1961 e l’81. Erano le più economiche, però la prima serie è da riscoprire grazie a linee, pinne e suggestioni clamorosamente jet age. Per il nostro giro del mondo, sceglieremmo la versione wagon denominata Town and Country.

Ford Torino. Uno dei modelli degli anni Settanta più famosi in assoluto della Casa di Dearborn omaggia nel nome la culla dell’auto italiana. Una Detroit europea dove Fiat, Lancia e soprattutto i grandi stilisti torinesi lasciavano a bocca aperta i più tradizionalisti industriali del Michigan. Concepita come utilitaria media sportiva, la Torino fu costruita per un decennio a partire dal 1968. Fu amata sia dai rivenditori, sia dalla clientela più giovane, perché sotto il suo cofano si potevano montare più tipi di V8, dal 4.9 litri al potente 6.4. La sorella GT ha sfondato al cinema e nella fantasia popolare grazie a Clint Eastwood e ai detective Starsky & Hutch.

Bristol Cars. Non è un modello, ma un marchio di sportive di lusso che prende il nome dalla città del Galles che detiene un singolare record: il maggior numero di hotel sparsi per il mondo con questo nome. La Bristol nacque nel dopoguerra sfruttando l’esubero di forza lavoro dell’industria aeronautica e, non a caso, i suoi modelli adottarono spesso i nomi di caccia e bombardieri. Per prima arrivò la Bristol 400, così ispirata alla BMW 328 da sembrare una preda di guerra. Di grande interesse la 412 del 1976, una targa disegnata da Zagato che, nelle versioni Beaufighter e Beaufort, restò in produzione fino all’84. L’odierna roadster Bullet è costruita perlopiù su ordinazione e può essere acquistata nell’unico showroom di Kensington High Street, a Londra.

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