Per uscire dalla crisi del ’29 Ettore Bugatti pensò anche a un treno aerodinamico, moderno, mosso dai poderosi motori delle sue Royale. Vinse il record del mondo, ma andava molto più veloce di quanto le rotaie potevano consentire. Fu comunque un buon affare e anche grazie alle “Bugattine” il glorioso marchio attraversò la buriana.
Per descrivere le conseguenze della tempesta che è tornata a colpirci sono stati scomodati paragoni epocali, come quelli della crisi ‘29 o che seguirono le due guerre mondiali. In realtà – limitandoci a osservare l’uomo della strada - chi si mise in marcia attraverso l’America in disgrazia, o abitava nella Berlino del 1945, non andava al supermercato. Neppure con la mascherina. Le cenette (senza mascherina) al ristorante se le era scordate da un pezzo e il concetto di movida (anche lì a trenta centimetri e viso scoperto) era dilà da venire.Ma pare che la tolleranza delle nuove generazioni alla rinuncia si sia abbassata parecchio, e poi noi qui ci occupiamo (soprattutto) di mezzi meccanici. Quindi, se abbiamo preso in prestito il 1929 questa settimana, lo faremo solo per ricordare l’ingegno di Ettore Bugatti, e la stravaganza con cui uno dei miti dell’automobile cercò di reagire alla buriana che gli aveva portato via due terzi della clientela.
Gli effetti della Grande Crisi. Correvano dunque i primi anni ’30, che il crollo della borsa e i suoi annessi lasciò a mal partito. La Bugatti dei sogni non faceva eccezione. Trecento operai della fabbrica di Molsheim avevano perso il posto e le commesse dei miliardari (anche all’epoca molti ricchi divennero ancora più ricchi) non bastavano più. Fu così che guardando i mastodontici motori delle Royale, allineati in deposito, il geniale Ettore si chiese cosa avrebbero potuto muovere in alternativa alla sue vetture ormai invendibili. Dalle stelle alle stalle, si innamorò del treno.
Velocità su rotaia. Naturalmente un treno Bugatti non poteva essere banale. E questo antenato del TGV, che in soli nove mesi di sviluppo vide la luce nel ’33, non lo era affatto. Prima di tutto le forme del convoglio erano disegnate dal vento, e questo – in un’epoca di locomotive a vapore e vagoni-mattone era già una rivoluzione. La cabina di guida, poi, non era in testa, ma a centro treno, in una cupoletta sopraelevata e filante. Ma la differenza la facevano i poderosi motori nati per le corse. O per trasportare le teste coronate nelle vetture-monumento. Già con i primi modelli a quattro motori la velocità era del sessanta per cento superiore a quella dei treni convenzionali. Nel ’35 l’automotrice da ottocento cavalli fece registrare il record di 197 km/h. Nulla del genere si era mai visto al mondo: da Parigi a Lione in quattro ore e mezza. E anche se la Francia si poneva all’avanguardia, i passeggeri non erano molto convinti: le prestazioni erano esagerate. Non è un caso quindi che, anche per la qualità dei tracciati, la velocità di punta fu limitata a 140 e su una pubblicità del 1935 si leggesse, nel titolo “ A 150 km/h distanza di arresto 750 metri!”.
Littorine d’Oltralpe. Le “Bugattine” (le chiamiamo così pensando alle nostre altrettanto aerodinamiche Littorine, che però avevano mortori da nave) avevano un altro tallone d’Achille: i consumi. E infatti, dal 1936, entrarono in servizio modelli meno prestanti, con due soli motori sugli assi, e costi di gestione alti, ma abbordabili. I sessanta convogli usciti dalla fabbrica di Molsheim servirono sotto le coccarde della Etat, la PLM e l’Alsace-Lorraine, tutte linee poi confluite nella SNCF. Restarono in servizio fino alla fine degli anni ’50 e contribuirono, pur nella loro stravaganza, a traghettare la Bugatti in anni difficili. Le permisero di creare altri capolavori (si pensi al modello 57), di trionfare nelle corse e dar da mangiare a quasi mille famiglie. Tutto questo prima che un’altra tempesta, quella del 1940, la travolgesse per sempre.