In genere quando si parla di Innocenti, si pensa alla Lambretta o alle vetture costruite su licenza del gruppo inglese BMC tra cui le Mini. Pochi sanno invece che nel 1962 Ferdinando Innocenti decise di inserirsi nel settore delle piccole GT di lusso, che in quegli anni dava forti segni di crescita. Ne parlò con Enzo Ferrari e nel 1963 il tutto si concretizzò in un accordo tra le due Aziende per lo studio di una vettura a cui fu dato il nome di Innocenti 186 GT (“18” indicava la cilindrata di 1800 cm³, “6” i cilindri). Fu costituita una squadra di progettisti a Modena, nei locali della vecchia Scuderia, guidato dal direttore tecnico Innocenti Sandro Colombo e formato da tecnici Innocenti e Ferrari, tra cui il progettista di motori Franco Rocchi.
Alle origini della Dino
Il motore non era inedito, ma, come documentavano i coperchi della testata di chiara origine Ferrari, faceva parte del progetto che avrebbe visto la luce sulle future Dino: era un V6 di 1.788 cm³ (la metà di un 12 cilindri Ferrari) monoalbero a 12 valvole con bancate da 60°, potenza di 156 CV a 7.000 giri/min, tre carburatori doppio corpo, cambio a quattro marce più overdrive sulla terza e sulla quarta marcia, di tipica scuola britannica. Con passo di 2.320 mm, lunghezza di 4.200 mm, larghezza di 1.600 mm l’autotelaio, con il classico telaio tubolare Ferrari, aveva sospensioni anteriori indipendenti a quadrilateri articolati e posteriori a ponte Salisbury con balestre e puntoni di reazione con barra Panhard, ruote a raggi Borrani con pneumatici Pirelli Cinturato 175 x 14, e freni a disco sulle quattro ruote. Disegni e prototipi delle parti meccaniche furono realizzati rapidamente e l’autotelaio fu consegnato a Bertone per l’esecuzione della carrozzeria, separata dal telaio, per la quale Giugiaro, allora stilista della carrozzeria torinese, disegnò una coupé fastback 2+2 con alcuni elementi di alluminio.
Concorrenze e segreti
L’iniziativa di Innocenti in realtà fu anticipata dall’industriale Oronzo De Nora che nel 1962 allestì una fabbrica in via San Faustino a Milano, proprio accanto agli stabilimenti Innocenti, per costruire le sue ASA 1000, nate da un progetto venduto da Ferrari all’imprenditore milanese e che pare fosse stato inizialmente proposto a Innocenti che l’avrebbe però giudicato di cilindrata troppo contenuta. Da un punto di vista stilistico presentava molti punti in comune con la Innocenti 186 GT, inclusi gli interni. L’autore della carrozzeria dell’Asa 1000 era infatti lo stesso Giugiaro. Il progetto Innocenti venne tenuto segreto in tutte le fasi, secondo gli usuali criteri di Ferrari. A parte le riviste Quattroruote e Auto Italiana, nessun’altra testata giornalistica confermò le voci e la notizia passò quindi quasi inosservata. Il primo esemplare dellaInnocenti 186 GT venne sottoposto ad alcuni test sulla pista della fabbrica di Lambrate. Nel frattempo, Colombo e gli altri ingegneri dell’azienda coinvolti nel progetto lavorarono con Bertone su una seconda versione della vettura a scocca portante, mentre Mantovani si occupava dell’industrializzazione.
Dall’abbandono al museo
Nel 1964, quando tutto era pronto, l’Innocenti decise di accantonare lo studio e i prototipi, in parte per la crisi congiunturale di quell’anno ma soprattutto per il dubbio che la sua organizzazione commerciale (in parte ancora costituita da concessionari e officine di assistenza per la Lambretta) non fosse in grado di gestire una vettura di questo livello. A Ferrari e Bertone vengono pagati gli studi e restituiti i disegni. Dei due prototipi, il primo venne distrutto, mentre il secondo fu accantonato in una struttura Innocenti fino al 1990, trasferito in Maserati nel 1994 fino a quando Fiat non rilevò entrambi i marchi da De Tomaso. Di fronte all’intenzione di Fiat di demolire la struttura di stoccaggio, Ermanno Cozza, memoria storica della Maserati, riuscì a salvare e consegnare la 186 GT alle cure di Antonio Ghini, ex direttore comunicazioni Ferrari, che la inserì nella collezione Ferrari a Maranello, dove ancora oggi si trova.
