Nel 1973, l’ammiraglia Jaguar XJ, presentata nel 1968, venne sottoposta ad un profondo restyling che portò alla nascita della “Series II”. Parallelamente alla berlina, la Casa del Giaguaro sviluppò anche la versione coupé, commercializzata a partire dal 1975.
Se qualcuno dicesse che la Jaguar XJC è stata (ed è ancora) una delle coupé più eleganti al mondo, nessuno potrebbe dissentire. Ogni centimetro della carrozzeria trasuda un’eleganza pura e senza tempo. L’abbondanza di cromature e il tripudio di materiali di pregio sono parte integrante della tradizione inglese e dell’esperienza a bordo di questo modello, dall’identità fortemente radicata nella Terra d’Albione. Ed è proprio qui che ha origine quel fascino senza tempo e tipicamente “British” della XJC.
Come Sir Lyon la volle. La XJ Series II e la variante coupé, indicata come XJC furono gli ultimi modelli Jaguar sviluppati sotto la guida di Sir William Lyons prima del suo ritiro a vita privata. Con l’avvento della nuova XJ, la gamma dei motori restò pressoché invariata, almeno per i primi due anni di produzione. Nel 1975, ai noti sei cilindri in linea da 4,2 litri e 5,3 litri V12, si aggiunse anche un nuovo 3.4 litri da 160 CV. Questa unità, disponibile solo sulla berlina, rimpiazzava il problematico 2,8 litri della generazione precedente.
Intanto, la crisi petrolifera e le stringenti norme d’omologazione per il mercato americano determinarono un calo netto delle potenze: la 4,2 passava da 245 a 167 CV, mentre la 5,3 da 269 a 243 CV.
Per le XJC non venne fatta eccezione e, in riferimento al numero di cilindri, in base alla motorizzazione furono indicate rispettivamente come XJ6C e XJ12C.
Si fece desiderare. Nell’ottobre del 1973, l’elegantissima coupé venne accolta calorosamente al Salone di Londra, ma si fece attendere per due anni. La produzione del modello dovette fronteggiare una serie di problematiche. La crisi energetica, profilatasi nell’autunno del ‘73 con la Guerra del Kippur, contribuì al ritardo e sancì una battuta d’arresto per tutti quei progetti reputati che le Case automobilistiche reputarono non essenziali per la loro sopravvivenza.
Il nuovo modello coupé si basava in tutto e per tutto sulla versione a passo corto della XJ. Anche le portiere, allungate, erano ricavate da quelle della berlina e poi saldate. Le saldature sono chiaramente visibili sotto i pannelli porta. La Jaguar XJC si caratterizzava per l’affascinante profilo senza montante centrale e per le portiere a giorno (senza cornice), tutti elementi che le donavano un appeal molto particolare.
Gestazione difficile. Tuttavia, l’assenza dei montanti B richiese l’installazione di ulteriori rinforzi strutturali, necessari a garantire una rigidezza strutturale adeguata. I finestrini, quando aperti, sottolineavano una silhouette sottile ed armonica, replicando a bordo l’ariosità di una cabriolet. Allo stesso mode, il particolare tetto in vinile nero richiamava l’hardtop delle convertibili. Un dettaglio inserito con gusto che aggiungeva un tocco di esclusività in più: il rivestimento contribuiva a snellire il profilo del padiglione ma, considerata l’assenza delle cornici dei finestrini, creò parecchi grattacapi con le guarnizioni dei vetri. Tutto ciò portò quindi a posticipare la produzione. Le XJ Coupé cominciarono ad uscire dagli showroom Jaguar soltanto nel 1975.
Le XJC americane. Come gli altri modelli della rinnovata gamma XJ, per soddisfare le norme di sicurezza statunitensi, le nuove coupé adottarono dei nuovi paraurti anteriori rialzati. Questo rese necessaria una griglia frontale più piccola e, per garantire il corretto raffreddamento del motore, venne ricavata una discreta presa d'aria aggiuntiva sotto il paraurti. L'interno, pur mantenendo un’impostazione analoga alla precedente, ricevette un aggiornamento sostanziale. Nuovo anche l’impianto di climatizzazione che sopperiva alle critiche del sistema precedente, giudicato poco efficace.
Nel 1975 i modelli destinati al mercato americano ricevettero dei paraurti anteriori leggermente rivisti, inclusivi di protezioni in gomma che coprivano il paracolpi per l'intera lunghezza. Alle estremità erano installati gli indicatori di direzione.
L’evoluzione. Nello stesso anno, le vetture con motore V12 passarono dall’alimentazione a carburatori Zenith-Stromberg all'iniezione elettronica Bosch-Lucas, che sui modelli europei consentì di recuperare una quarantina di CV, portando i modelli V12 a quita 285 CV. Sui modelli 4,2 litri, il passaggio all’iniezione elettronica avvenne nel 1978. Per quanto riguarda la trasmissione, sulle sei cilindri era disponibile un cambio manuale a quattro marce, con l’automatico in opzione. Per le V12 era previsto solo l’automatico a tre marce della Borg-Warner, di costruzione britannica. Dal 1977 venne adottata una nuova trasmissione automatica a tre marce: la Turbo-Hydramatic 400 prodotta dalla General Motors.
Nobile stirpe. Prodotta fino al 1978, la famiglia XJ berlina prevedeva i modelli sei cilindri XJ6 3.4, XJ6 4.2 e la V12 XJ 5.3. Al vertice della gamma c’erano poi i modelli “Daimler”, che si caratterizzavano per le finiture ancora più esclusive e la caratteristica griglia cromata con l’estremità zigrinata.
I modelli Daimler erano basati sulla meccanica dei modelli 4,2 e 5,3. Le varianti a sei cilindri erano indicate come Daimler Sovereign 4.2 e Vanden Plas 4.2 (passo lungo), mentre le V12 come Daimler Double-Six 5.3 e Double-Six Vanden Plas 5.3.
La gamma coupé. Sulla XJC, non essendoci il 3,4 litri e le versioni passo lungo, l’offerta si limitava alle XJ6C 4,2 e XJ12C, disponibili anche come Daimler Sovereign Coupé e Double Six Coupé.
La produzione terminò con 8.378 esemplari all’attivo, di cui 6.505 con motore sei cilindri e 1.873 V12. Un risultato tutto sommato interessante se consideriamo la produzione semiartigianale e il ritardo nella commercializzazione. Proprio questo aspettò portò ad una sovrapposizione con la nuova XJ-S, che inevitabilmente, finì per attrarre una clientela in cerca di una granturismo prestante e moderna.
Sport ma senza fretta. Oltre ad alcuni modelli elaborati da preparatori come Lynx e Avon, il team sportivo Leyland Broadspeed sviluppo un’auto da corsa sulla base della XJC. Nel biennio 1976/77, la vettura partecipò al Campionato Europeo Turismo, ETCC (European Touring Car Championship ).
Il modello da competizione si caratterizzava per le ampie carreggiate, necessarie ad ospitare gli ampi pneumatici da pista. Ciò portò all’allargamento di tutta la carrozzeria, che celava a sua volta un propulsore V12 capace di ben 550 CV. Sebbene la Jaguar XJC fosse una vettura molto apprezzata e dalle buone prestazioni, in gara venne penalizzata dal peso eccessivo e perciò dopo il 1977 la sua breve carriera sportiva giunse al termine.
Una scelta precisa. A quasi mezzo secolo dal suo debutto, la leggerezza del suo profilo rimane un esempio di equilibrio e raffinatezza, talvolta capace di offuscare anche modelli di prestigio e valore superiori. La XJC era un modello molto costoso negli anni 70, mentre oggi, con un po' di attenzione, si può reperire a cifre accessibili. Il consiglio è quello di mettersi in cerca di esemplari ben tenuti, anche perché i guasti rientrano nell’ordinaria amministrazione da mettere in conto al momento dell’acquisto di queste auto e le riparazioni non sono a buon mercato.
Il punto è un altro ed esula dal vil danaro. Entrare in possesso di una XJC, più che una scelta, è una dichiarazione: di stile e buon gusto.