Alle sei di sera i pezzi del cambio erano ancora sparsi sul pavimento. E siccome la trasmissione era montata verso l’avanti, tra il motore e l’abitacolo, e separava le due poltrone con un leveraggio cortissimo, bisognava mettere insieme mezza macchina. Il camion per Ginevra aspettava fuori dal capannone, la Dino Coupé, la Stratos Zero, la Miura SV erano già state caricate. Mancava solo lei, sempre che tutto, alla fine, avesse funzionato. E infatti non funzionò. Nonostante le imprecazioni a mezza voce di Stanzani e quelle più colorite dei meccanici di Sant’Agata, si ingranava solo la seconda. A un certo punto Bertone disse “Su, ‘nduma”, e tutti capirono che era ora di smettere.
Comincia così la nostra cover story su Ruoteclassiche di marzo. Con un assaggio di tempesta nel capannone della Carrozzeria Bertone a Grugliasco, la sera prima della prima. Ma la vicenda della Lamborghini Countach è un susseguirsi di tuoni e fulmini: dai preparativi per i dieci giorni al Salone del ’71, con il debutto sconvolgente del prototipo, alla messa in produzione, proprio mentre il patron Ferruccio cede l’azienda. Fino alle critiche che accolsero quella linea a trapezi, indigesta per anni a molti appassionati. Speriamo che i diversi servizi che vi aspettano in edicola vi lascino un pizzico di appetito (da non perdere il secondo prototipo che torna in pista nelle mani di Gaetano Derosa). Perché gli aneddoti su questa vettura profetica sono moltissimi, non tutti stavano nella carta stampata e per questo ne aggiungiamo ancora qualcuno, in versione digitale.
Tuoni e fulmini. Appurato, come dicevamo all’inizio, che il cambio longitudinale non fu messo a punto in tempo, conviene fermarsi un attimo sul gran cruccio dell’ingegner Stanzani a cui Ferruccio Lamborghini, all’inizio dell’epopea della Miura, aveva detto un giorno “vedi di progettare un cambio. Perché non mi va di andare a comprarlo in giro”. Stanzani aveva obbiettato che lui non sapeva nemmeno da che parte cominciare, ma un ordine come quello – la volontà di produrre tutta la vettura dentro la fabbrica – non si potevano discutere. E alla fine il blocco trasversale motore-cambio del V12, sia pur qualche problemino di raffreddamento, era venuto bene.
Con la Countach bisognava – inutile dirlo – fare ancora di meglio. Quindi entrare nel padiglione a Ginevra, sfrizionando in seconda, era stato una scocciatura. Ma la meraviglia per l’aspetto e il canto di quel bolide era stato tale che nessuno, tra il pubblico, ci aveva fatto caso.
Sviluppo in tempo record. Lo abbiamo detto in varie occasioni, ma ripeterlo rende tutto più magico: il prototipo fu costruito in due mesi. Quello della Countach, ma anche altri, perché al tempo, nelle officine dei carrozzieri italiani, si lavorava così. Beppe Panicco, allora responsabile delle relazioni esterne alla Bertone, ha ricordi fotografici di quelle giornate.
“L’agenda la teneva la segretaria friuliana del ragioniere, Elena Collazuol, che non sbagliava mai. Nelle prime pagine di gennaio, ma quasi di sicuro dopo l’Epifania, che Nuccio amava trascorrere a Clavière, aveva scritto: Commessa 1200 (codice del progetto ndr) – arrivo del telaio. Siccome partimmo per il Salone il 9 marzo, i conti sono presto fatti.”
Peraltro nessuno, se non Bertone, avrebbe potuto azzardare nel ’71 una vettura a motore centrale e abitacolo avanzato, in otto settimane. Certo, il disegno era pronto dall’autunno, perché Gandini non stava fermo un momento e il futuro della Miura aveva già provato a immaginarlo. Ma da una raccolta di schizzi alla vettura marciante, sia pure con il cambio bloccato, c’era una bella differenza.
L’età aurea. “Bisogna pensare – continua Panicco – che la Bertone, attraversava un momento magico. Avevamo una parata di modelli di produzione: Simca 1200 Coupè, 850 Spider, Dino Coupé, Maserati Khamsin. Poi, naturalmente, la Miura e l’Espada, invidia del mondo, e quel prototipo Stratos Zero – svelato pochi mesi prima a Torino – che aveva lasciato tutti a bocca aperta.”
Nuccio aveva quindi ottime ragioni di alzare i calici all’Olivier de Provence, il ristorante dove cenava per tradizione la sera prima dell’apertura. Lui, suo cognato Gracco, direttore generale, Gandini, l’ingegner Stanzani in prestito dalla Lamborghini e pochi altri. Sette o otto persone intime, tutti sicuri che il giorno dopo la Countach avrebbe fatto il botto.
Prudenza. Anche Ferruccio era entusiasta, ma come sempre, prese le decisioni, aveva lasciato fare agli altri. La sua fiducia nei confronti di Bertone era totale: una volta approvati i disegni era andato a Torino una sola volta, a prototipo quasi pronto. Ora la sua prudenza contadina, che era l’altra faccia di un carattere guascone, gli metteva qualche pulce nell’orecchio. Perché la nuova sportiva avrebbe dovuto portare l’azienda avanti di un lungo passo , sarebbe dovuta piacere, e a tanti. E quei tanti, inutile chiederselo, dovevano scendere dalle loro Ferrari e decidere di comprare Lamborghini. Lasciare la tradizione e scegliere l’innovazione. Perché se cinque anni prima la Miura era stata un’auto di rottura, adesso la Countach sembrava nuova da far paura.
Nuccio un po’ di paura l’ebbe, perché non ne volle mai una per sé. La Miura sì, se l’era presa, di un azzurro metallico fatto apposta per lui. E in officina gli avevano costruito anche un portasci, un piccolo gioiello per i suoi weekend in montagna. Poi, proprio sulla strada per il Sestriere, a un tornante sotto Cesana, era andato in testacoda. E doveva essersela vista brutta perché la Miura aveva quasi smesso di guidarla.
Alta tensione. E’ noto che la Countach venne al mondo in anni turbolenti. Nel ’69 c’era stato l’autunno caldo, che aveva cambiato schemi e metodi del confronto sociale. Anche Lamborghini e Bertone avevano avuto i picchetti alle fabbriche. Nuccio in particolare aveva tremato vedendo gli operai irrompere tra i tecnigrafi, i progetti segreti, spintonare chi si opponeva, incluso Gandini. Qualcuno, a Grugliasco, aveva sottratto degli studi di una nuova BMW, li aveva venduti a un giornale e da Monaco avevano cancellato la commessa. L’idea del Centro Stile a Caprie, dove la Countach sarebbe passata alla fase di prodotto – lontano dalla fabbrica e sotto le croci benedicenti della Sacra di San Michele – venne a Nuccio proprio in quelle giornate.
Scelta coraggiosa. Nel ’73 arrivò la crisi petrolifera e anche chi poteva permettersi di pagare la benzina tre o quattro volte, preferì non farsi vedere sulle auto di lusso. Era chiaro che il mondo stava cambiando o, almeno, che la nottata sarebbe stata lunga. Ferruccio, complice la disavventura della Lamborghini Trattori, preferì scendere.
La Countach venne sviluppata tra il ’71 e il ’73, proprio tra le due bufere, con il nuovo padrone Rossetti che non sapeva che pesci prendere e l’ingegner Stanzani, promosso direttore generale, che salvava il salvabile. In attesa della nuova supercar (che però arrivò nelle strade solo nel ’74) si ebbe molta fretta di salutare la vecchia: quella Miura divenuta SV, al meglio della sua forma. In tanti – Nuccio Bertone in testa – non si capacitavano di vederla uscire dal listino, mentre fuori dalle concessionarie c’era ancora la fila.