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Lancia Aurelia B20 Zagato (1953) vs Maserati A6 1500 (1949)

Alle origini del granturismo. Vediamo come sono nate la Lancia Aurelia B20 Zagato e la Maserati A6 1500. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale le Case automobilistiche e i carrozzieri ripartono con un duplice intento. Da una parte tornare alla vita normale nelle fabbriche, dall’altra ricominciare a far sognare gli appassionati delle quattro ruote con realizzazioni sportive. L’idea della coupé ad alte prestazioni si afferma proprio in questo contesto storico. Tra i precursori anche Lancia e Maserati, che hanno in comune la voglia di stupire e di far innamorare con le loro novità. Punto di partenza per entrambe, il motore a sei cilindri, che per la realtà torinese prevede un’architettura a V secondo le brillanti intuizioni di De Virgilio, mentre a Modena verrà preferito un più tradizionale schema in linea.

Lo sviluppo. Quando, nel 1948, Gianni Lancia decide di mettere in cantiere un modello completamente nuovo, l’ingegnere Francesco De Virgilio sta già lavorando a un motore a sei cilindri. L’abile tecnico di origini calabresi fa parte dello staff coordinato dal direttore tecnico, Giuseppe Vaccarino, con Vittorio Jano a capo del reparto esperienze. Fra i tanti studi fatti negli anni dalla Casa torinese c’era stato anche un V6 di 16°, sullo schema Lambda, ben presto abbandonato. Proprio l’angolo fra le due bancate richiederà a De Virgilio molto tempo: dapprima Vaccarino gli chiede di provare l’affidabilità di una soluzione a 39°, poi ben presto si passa a una di 45°, poi a 50°. Alla fine, quando il vano motore della futura Aurelia viene allargato e consente la massima libertà, si opta per un angolo di 60°.

L’eterna voglia di stupire. Alla berlina ben presto viene affiancata la versione coupé, talmente bella grazie alla mano di Pinin Farina che pochi suoi colleghi osano realizzarne una versione differente. Tra questi Zagato, che nel 1953 allestisce tre berlinette su base B20 terza serie. La linea è molto simile a quelle delle coeve Fiat 8V messe a punto nell’atelier di Terrazzano di Rho, anch’esse pensate soprattutto per un impiego agonistico, anche se non risulta un coinvolgimento diretto della Casa madre in questi due progetti. La prima B20 Zagato viene ultimata il 27 maggio 1953, telaio 2328, immatricolata a nome della Ditta Bocca di Biella con il numero di targa Vercelli 30694 e viene poi impiegata in corsa da Plinio Bona. La seconda (telaio 2505) viene consegnata il 4 luglio e immatricolata Torino 148904 a nome del cognato di Gianni Lancia, Ferdinando Gatta, che la utilizzerà in gara. La terza fuoriserie viene ultimata il 13 luglio, (telaio 2815, targa Firenze 65868) ordinata da Arturo Luconi di Prato.

Nuovi timonieri al Tridente. La regia della creazione della A6 1500 è della famiglia Orsi, che all’inizio del 1937 ha rilevato il pacchetto azionario della Casa del Tridente. Industriali modenesi proprietari, tra l’altro, di fonderie, fabbriche di macchine agricole e imprese di trasporto, gli Orsi stipulano un accordo che vincola i fratelli Maserati a rimanere per dieci anni alla direzione tecnica con l’obiettivo di produrre bolidi da competizione sempre più performanti, mentre il commendator Adolfo Orsi si occuperà della gestione. Due anni dopo, con la guerra alle porte, arriva la decisione di trasferirsi da Bologna a Modena, in via Ciro Menotti (dove si trova tuttora) con un’equipe in parte cambiata. Adolfo Orsi è il presidente, mentre i fratelli con origine piacentina diventano condirettori.

GT per tutti i giorni. Ed è proprio di questi anni sotto il piombo la decisione che la ripartenza sarà con una granturismo destinata alle strade di tutti i giorni. Che arriva nel 1949 e sotto il cui cofano batte un cuore figlio delle esperienze nelle competizioni. All’inizio il 6 cilindri viene sviluppato con testata fissa e doppio albero a camme, parente stretto di quello montato sulla velocissima monoposto 6CM. Tempo dopo viene presa la decisione di rendere smontabile la testa, con distribuzione monoalbero. La sigla deliberata è, appunto, A6 (Alfieri, 6 cilindri), con unico albero a camme e valvole comandate tramite un sofisticato sistema a bilancieri, che successivamente verrà ripreso dai Maserati per le barchette Osca. La punta di velocità è ottima: a seconda del tipo di alimentazione, si passa dai 150 ai 170 km all’ora, proprio niente male.

Coppa Intereuropa. Arturo Luconi utilizza la sua B20 Zagato per un paio d’anni, poi nel 1955 la cede a Ernesto Baroni di Firenze, che la schiera nella settima edizione della Coppa Intereuropa a Monza poco prima di rivenderla alla Italcar di Torino (con nuova targa TO 190414). In seguito, l’auto emigra verso il Centro Italia a Roma, per poi essere scovata, tantissimi anni fa, da Mauro Lotti, fiorentino doc, classe 1940, appassionato di granturismo sin dagli anni 60, che capisce la rarità del modello e la fa restaurare completamente a Dino Cognolato. “Mi è capitata per caso”, racconta il collezionista toscano, “era di un amico, era malconcia e il restauro era impegnativo. Ma Cognolato, il migliore nel suo campo, si esalta in questi casi, e ha fatto l’ennesimo miracolo”.

Da Milano agli States. La Maserati A6 del nostro servizio, telaio e motore numero 65, è uno dei primi esemplari costruiti in via Ciro Menotti (in tutto ne verranno venduti 61). Acquistata nel 1949 da Giulio Sorgato di Milano, qualche anno dopo espatria negli Stati Uniti, grazie alla passione di un militare yankee. Alla fine degli anni 90 il rientro in Italia; restaurata in Toscana è oggi di proprietà di Luigi Balli di Prato, 67 anni, imprenditore tessile e cultore del Tridente, che di recente ha ottenuto anche la certificazione ufficiale della Casa: “La trovai una decina di anni fa grazie a una segnalazione, il proprietario ne aveva due ed è stato dunque semplice convincerlo. Era già nelle condizioni attuali, dopo un restauro molto scrupoloso”.

Lotta ad armi pari. Una volta su strada, le differenze tra le due granturismo sono minime. Da una parte c’è la perfezione formale dell’Aurelia, che in questo caso sa dare soddisfazioni anche grazie al kit Nardi coi due carburatori Weber. Dall’altra c’è la notevole briosità del 6 cilindri Maserati, che non teme confronti sia in ripresa sia in velocità di punta. E, tra l’altro, non crea patemi d’animo grazie alla guida a sinistra. In entrambe i freni non sono il punto di forza, ma se si usano a Monza, terreno ideale di sfida, grazie al cielo ci sono numerose vie di fuga per mettersi in salvo. Pari e patta, vince lo stile. Di entrambe, s’intende.

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