Lancia Beta Spider, il gusto dell'originalità all'italiana - Ruoteclassiche
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13/06/2019 | di Redazione Ruoteclassiche
Lancia Beta Spider, il gusto dell’originalità all’italiana
Se non vi piacciono le coupé e nemmeno le shooting brake fanno al caso vostro, mettetevi sulle tracce di una Lancia Beta Spider.
13/06/2019 | di Redazione Ruoteclassiche

Se non vi piacciono le coupé e nemmeno le shooting brake fanno al caso vostro, mettetevi sulle tracce di una Lancia Beta Spider. Una convertibile griffata da due assoluti maestri del made in Italy

Spigolosità, risparmio energetico e tanta voglia di sperimentare: gli anni Settanta hanno rappresentato un periodo controverso, ma anche ricco di stimoli per l'automobilismo del Bel Paese (e non solo).

Tempi felici. Un'epoca in cui i papà di famiglia si muovevano sulla piccola tre volumi più avanzata d'Europa, quella 128 che per prima ha proposto la trazione anteriore su un'auto a marchio Fiat, le signore chic si lasciavano sedurre da una A112 capace, curva dopo curva, di conquistare anche i mariti, gli appassionati di film polizieschi sbavavano al minimo stridio di gomme di Giulia e Alfetta. E i veri gentleman, quelli che sapevano distinguersi senza apparire, puntavano su una Beta Coupé.

A scuola di meccanica. Nel 1972 aveva debuttato la berlina, una due volumi fastback forse un po' troppo prona a certe mode stilistiche d'importazione (rubate alla coetanea Citroën GS, ma anche a un prototipo di Pininfarina per la British Motor Company del 1967), però innovativa, discretamente qualitativa e, soprattutto, tecnicamente solidissima. Basti pensare che vantava un mostro sacro come il bialbero Lampredi, i quattro freni a disco più potenti del segmento e un inedito retrotreno, con montante telescopico e bracci trasversali, che farà scuola. Gli orfani della Fulvia potevano alzare un sopracciglio rispetto alla linea, ma per il resto...

Triade di fascino. Con la classica Coupé disegnata da Pietro Castagnero (stesso autore dell'omologa, straordinaria versione della Fuvia), i palati più sofisticati ricevettero un prima carezza già nel 1973. Due anni dopo, poi, fu la volta dell'eccentrica e riuscita Beta H.P.E., sorta di shooting brake con due porte, portellone posteriore, stesso passo della berlina e forme atletiche, che pareva pantografare in piccolo i prototipi dei più importanti Carrozzieri italiani. Poiché, però, nei Settanta era ancora vivo un certo piacere per la guida raffinata, fuori dagli schemi eppure accessibile, nel 1974 nacque un'ulteriore declinazione: la Beta Spider. Come dire, tre sportive diverse in una sola gamma. Oltre alla più cattiva Montecarlo che, però, derivava da un progetto Fiat. E poi ci si chiede perché qualcuno ha proposto l'hashtag #makelanciagreatagain?

Davanti alle tedesche. Tutt'altro che ispirata al mondo delle roadster, la Spider rappresentava in realtà una ricercata quattro posti con carrozzeria Targa e capote in tela dietro il roll-bar, un po' come sarebbe accaduto dal 1977 per la BMW serie 3 Cabrio Baur. Frontale, plancia e interni (esclusi i sedili posteriori) provenivano dalla Coupé, al pari dei motori 1.6 da 100 cavalli e 2.0 da 119. Negli anni non mancarono alcune evoluzioni, concentrate in elementi di dettaglio quali grafiche della strumentazione, rivestimenti, fanalerie e paraurti, via via uniformati alla passione del periodo per le plastiche nere. Ma la più grande peculiarità di questa scoperta outsider, stabile fino all'uscita dal listino nel 1982, rimane il curioso processo produttivo.

Doppia firma. Nonostante il disegno fosse siglato Pininfarina, l'assemblaggio avveniva presso gli stabilimenti Zagato di Terrazzano di Rho (Milano), naturalmente sulla base di scocche della Coupé giunte da Chivasso. Al termine della trasformazione, le vetture venivano rispedite in Piemonte per ricevere il motore e il controllo qualità. Tutto questo andirivieni incise sul prezzo, superiore di un quarto rispetto alla versione di derivazione, e su una produzione strizzata in appena 8.594 esemplari. L'idea stessa che sulle forme in topless di questa Lancia abbiano lavorato due dei più grandi nomi della Carrozzeria nostrana, tuttavia, costituisce oggi una garanzia di attrattiva assoluta. Roba da parcheggiare a pochi metri dal Duomo di Milano o al Pantheon e farsi fotografare dai giapponesi: questo è lo stile italiano, altro che ibride. E le quotazioni per un esemplare in buono stato si aggirano appena sui 7000 euro.

Silvio Jr. Suppa

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