Lancia D50 (1954), baricentro perfetto - Ruoteclassiche
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25/04/2023 | di Redazione Ruoteclassiche
Lancia D50 (1954), baricentro perfetto
Coi serbatoi laterali pieni (200 litri) o vuoti la ripartizione dei pesi tra gli assali era costante. Non solo: il pilota sedeva in basso grazie all’albero di trasmissione “obliquo”. Poteva dominare la F.1 e uomini come Ascari e Villoresi credettero in lei. Ma la Casa non ebbe le risorse per svilupparla. Motore V8 di 2,5 litri, 260 CV, 620 kg
25/04/2023 | di Redazione Ruoteclassiche

All’aeroporto di Caselle, a Torino, vi era molta attesa la mattina del 20 febbraio 1954. Il motivo di tale trambusto era il debutto della Lancia D50, monoposto con la quale la Casa intendeva fare il suo ingresso nel mondo della Formula 1. Dopo aver “scaldato” a dovere la vettura, Giuseppe Gillio, capo collaudatore della Lancia, passò il volante ad Alberto Ascari per una breve sessione di prove.

Un’ardua scommessa. Questi, fresco del secondo titolo mondiale, aveva appena firmato, assieme a Luigi Villoresi, un contratto che lo legava per un anno alla scuderia Lancia. Una scommessa non facile visto che si trattava di mettere a punto una vettura del tutto nuova, meccanicamente sofisticata e sviluppata da un team molto qualificato, ma con poca o nessuna esperienza diretta nella costruzione di una monoposto da Grand Prix. Entrambi i piloti Ferrari si lasciarono però convincere dalla validità della vettura torinese.

Lo studio, voluto da Gianni Lancia, figlio del fondatore Vincenzo, fu avviato nell’agosto del 1953 sotto la supervisione di Vittorio Jano, il quale delegò lo sviluppo del motore allo specialista Ettore Zaccone Mina. In ottemperanza al nuovo regolamento della Formula 1 che fissava per il 1954 il limite della cilindrata a 2,5 litri (750 cm3 se sovralimentati), Mina optò per un V8 di 2488 cm3 (73,6 x 73,1 mm), cubatura che fu in seguito oggetto di lievi variazioni a 2486 cm3 (76 x 68,5 mm) e a 2477 cm3 (74 x 72 mm).

Motore in lega da 260 CV. Realizzato interamente in lega leggera e capace di sviluppare 260 CV a 8200 giri/minuto, il motore era ancorato rigidamente al telaio tubolare, assolvendo una funzione portante; venne montato con un angolo di 12° rispetto all’asse longitudinale della vettura al fine di consentire il passaggio dell’albero di trasmissione sul lato sinistro dell’abitacolo, in cui il sedile era collocato più in basso rispetto alle altre monoposto dell’epoca. Per quanto riguardava l’alimentazione, Jano impose quattro carburatori a doppio corpo Solex “40 PIJ” contro il parere di Mina che, sulla scorta degli studi condotti dalla Mercedes-Benz, aveva proposto l’iniezione diretta, suggerimento appoggiato dallo stesso Gianni Lancia.

Due serbatoi laterali. Per la trasmissione si adottò l’architettura di base dell’“Aurelia”, con frizione, cambio e differenziale in blocco al retrotreno (il cambio disposto però trasversalmente). Fra le sue peculiarità più spettacolari, la D50 esibì due serbatoi benzina laterali di cento litri ciascuno - montati separatamente dal corpo vettura - con i quali Jano intendeva ottenere una buona profilatura aerodinamica. Il rovescio della medaglia di tale soluzione risiedeva nel fatto che il centraggio della vettura variava in funzione della quantità di carburante presente. La sospensione anteriore era costituita da bracci triangolari oscillanti, balestra semiellittica trasversale inferiore e ammortizzatori verticali interni, mentre al retrotreno venne adottato un ponte De Dion, anch’esso con balestra trasversale; la coppia di reazione in frenata e accelerazione fu contrastata da un braccio longitudinale ai due lati del posto guida. La “D50” denunciò un peso a vuoto di 620 kg, rivelandosi una delle monoposto più leggere del momento (la debuttante Mercedes-Benz “W196” pesa- va 690 kg e 720 kg nella versione carenata).

Debutto sfortunato. L’esordio in gara - programmato il 20 giugno a Reims per il Grand Prix di Francia - venne posticipato di quattro mesi, al Grand Prix di Spagna. La messa a punto impegnò, infatti, a fondo Alberto Ascari e Luigi Villoresi e richiese un’incessante sequenza di test sui circuiti di Ospedaletti e di Monza. Il 24 ottobre le monoposto Lancia debuttarono sul circuito cittadino di Pedralbes, a Barcellona, e Ascari registrò nelle prove un tempo di un secondo inferiore a quello stabilito da Juan Manuel Fangio con la Mercedes-Benz “W196”; in gara le Lancia furono tuttavia bersagliate dalla cattiva sorte, con il ritiro di Villoresi al terzo giro per avaria ai freni e quello di Ascari otto giri dopo per guasto alla frizione.

Vittoria al Grand Prix del Valentino. Sebbene le vetture mostrassero ancora carenze di preparazione, furono inviate Oltreoceano il 5 gennaio 1955 in vista del Grand Prix di Argentina, il 16 dello stesso mese. La gara registrò il ritiro di Villoresi al 2° giro per guasto alla pompa benzina, e quello di Ascari al 21°per uscita di pista. Eugenio Castellotti, nuovo acquisto della squadra, per un colpo di calore cedette la guida della sua vettura a Villoresi, il quale finì fuori pista al 35° giro. La prima vittoria giunse con Ascari, il 27 di marzo, al Grand Prix del Valentino a Torino, mentre Villoresi e Castellotti giunsero rispettivamente terzo e quarto. A Pau (11 aprile) la “D50” conquistò il 2° posto (Castellotti), il 4° (Villoresi) e il 5° (Ascari).

Destino segnato. Al G.P. di Napoli (8 maggio) Ascari vinse, ma ormai il destino della Scuderia Lancia era segnato. Il 31 marzo, infatti, era giunto come consulente Antonio Fessia (che sarebbe poi diventato consigliere d’amministrazione), il quale non nascondeva il suo totale disinteresse verso l’avventura sportiva della Lancia, per la quale la scuderia costituiva un lusso non più sostenibile. Non solo: il 26 maggio Alberto Ascari perse la vita mentre provava la Ferrari di Castellotti. Un colpo durissimo per Gianni Lancia, che decise di sospendere l’attività agonistica; il 26 luglio le sei D50 del- la scuderia furono cedute alla Ferrari.

(Luciano Greggio)

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