La Ferrari tiene ovviamente moltissimo al suo simbolo, il Cavallino rampante. Il quale, come molti di voi sanno, trae origine dagli albori della nostra aviazione militare e, in particolare, dalla figura del maggiore Francesco Baracca, l’asso degli assi italiano della Grande guerra. Ebbene, in occasione della 6 Ore di Imola del Campionato Wec, abbiamo avuto la possibilità di visitare il Museo Francesco Baracca di Lugo (Ravenna). Una mostra assolutamente da non perdere (museobaracca.it), considerando anche la possibilità di visitare lo shop o di cimentarsi con un simulatore di volo che può farvi sorvolare i luoghi delle battaglie dell’epoca.
A casa sua. Dal 1993 il Museo dedicato all’eroe lughese è ospitato nel palazzo in cui il pilota, figlio unico, visse insieme ai genitori, Enrico e Paolina. L’ambiente espositivo, curato ed elegante, si compone di sale al piano terra e al primo, ove sono raccolti, tra l’altro, divise, oggetti personali, lettere, resti di aerei abbattuti e persino lo Spad VII restaurato e protagonista della trentesima vittoria di Baracca. L’intento non è solo quello di far conoscere le origini agiate e le gesta del pilota italiano (classe 1888, 9 maggio) più noto e vittorioso di sempre, ma anche di lanciare un ponte tra lui e lo spirito più intimo e antico della Casa di Maranello.
Oltralpe. Questo perché Baracca, che prese il brevetto di volo in Francia prima del conflitto, portò poi nei voli di guerra sulla fusoliera dei suoi biplani l’emblema del Cavallino rampante, un po’ per il suo amore per questo stupendo animale, un po’ perché lui proveniva dal Piemonte Reale Cavalleria, uno dei reggimenti più prestigiosi del Regio Esercito.
Cavallino tra le nuvole. Tra la fine del 1916 e l’inizio del 1917 l’ufficiale pilota scelse, come altri colleghi, di apporre al suo biplano un emblema personale: il Cavallino, appunto, nero perché spiccava meglio sulla tela chiara della fusoliera. Quindi, sui primi aerei pilotati da Baracca, il Cavallino non c’è. Pare che la prima volta sia stato sul suo Nieuport 17 matricola 2614, nell’aprile 1917. L’emblema passò poi sullo Spad VII e poi sullo Spad XIII, sul quale fu dipinta anche una nuvoletta bianca, per far risaltare meglio il cavallo.
Caduto sul Montello. La fortuna fu dalla parte di Baracca fino al 19 giugno 1918, quando purtroppo l’asso precipitò con il suo Spad VII “5382” sulle alture del Montello, durante una pericolosa missione serale a bassa quota. E al museo sono ben illustrate le ipotesi più accreditate sulla causa della morte. Dopo un anno di lutto, la madre, contessa Paolina, decise di dedicare la sua esistenza alla memoria del figlio.
L’incontro con Ferrari. Poi la storia del cavallino di Baracca si intrecciò con quella di Enzo Ferrari. Il futuro fondatore della Casa di Maranello, infatti, vincitore del primo Circuito del Savio, che si disputava a Classe (RA), conobbe nell’occasione – era il 17 giugno 1923 – Enrico, il padre del pilota. In seguito, incontrò anche la madre, e lo stesso Enzo racconta che un giorno la nobildonna gli consegnò una foto raffigurante il figlio accanto all’aereo con il suo emblema, dicendogli: “Ferrari, metta sulle sue macchine il cavallino rampante del mio figliolo, Le porterà fortuna”. Il futuro “Drake” fece apporre il simbolo sulle sue Alfa Romeo il 9 luglio 1932, alla 24 Ore di Spa in Belgio, e la Scuderia vinse. Da quel momento il nobile emblema, pur modificato e arricchito dal giallo canarino di Modena, ha sempre fatto mostra di sé anche sulle vetture Ferrari, dal 1947 in poi. Due leggende che si erano intrecciate e irrobustite a vicenda.