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02/03/2020 | di Laura Ferriccioli
Coronavirus: italiani bannati dal Panda Raid
Panda Raid 2020: il ritiro obbligato dei team italiani, una misura precauzionale contro il Coronavirus.
02/03/2020 | di Laura Ferriccioli

Due giorni prima, una mail spedita dagli organizzatori a tutti i partecipanti dal Belpaese, li avvertiva del rischio che le autorità marocchine negassero l'ingresso agli italiani per via della “crisi sanitaria del Coronavirus in Italia”.

Daniele Bertolini e Antonella Rutigliano il 27 febbraio avrebbero dovuto presentare la loro Fiat Panda in una serata presso l'officina di Daniele a Treviglio (Bg). L'hanno preparata da zero, in un anno di lavoro, per partecipare alPanda Raid 2020assieme ad altre due 4x4 di clienti, revisionate. Peccato che giovedì scorso era anche il giorno del primo stop agli equipaggi italiani da parte dell'organizzazione.Chi si fosse ritirato volontariamente entro il 27 avrebbe ottenuto il rimborso della quota d'iscrizione (2.450 euro), oppure il “congelamento” per l'anno prossimo. Altrimenti nessuno poteva garantire lo sbarco in Marocco dei nostri portacolori dopo la partenza il 6 marzo da Almeria, in Spagna, e in seguito non ci sarebbe stato modo di riavere quanto versato.

Messaggi positivi saltati. Un'opzione, quella del rinvio, scelta da Daniele – meccanico, esperto di rally raid, vincitore di un titolo mondiale nella categoria 1800 nei primi anni Novanta – e Antonella, che hanno deciso a malincuore di ritirarsi insieme ai proprietari delle sette vetture con cui avevano organizzato la bisarca. Morale, il loro programma “Progetto Sport Disabilità Mobilità”, iniziato un anno fa, dovrà subire una notevole battuta d'arresto. “Ma non ci fermeremo”, rilancia Antonella, un braccio paralizzato a causa di un incidente in moto quando era giovanissima. Con il suo Suzuki Vitara prima e un Quad a quattro ruote poi, ha un'esperienza vasta di rally anche lei, oltre a qualche buon piazzamento nel campionato italiano ciclismo paralimpico. “Organizzeremo un campionato fuoristrada particolare, per dimostrare l'importanza dell'attività fisica a chi si ritrova con problemi come il mio, e intanto saremo in un'altra gara a novembre”, annuncia.

Italiani adios. Stanno valutando di gareggiare in un altro evento – il Sahara Racing Cup 2020, già scelto da molti come valida alternativa – anche i 13 team di “pandisti” dal Veneto che volevano esserci comunque, accettando il rischio di “rimbalzo” nel porto di Nador. La tappa è la prima di questa 12esima edizione del raid (in totale sono 7, lungo 1.883 km), con arrivo previsto a Marrakech il 14 marzo. Trascinati dall'entusiasmo di Ivano Griso, presidente della Scuderia Omega di Verona e concorrente alle ultime due edizioni della gara, avrebbero raggiunto lo start percorrendo la strada già come un'avventura, unendosi poi a due equipaggi della provincia di Cuneo formati da Manuel Aime e Aldo Bono, e da Marco Dalmasso e Mauro Dalmasso. Erano previste anche due Panda al femminile del Lady Rally Verona capitanato da Sabrina Tumolo, pilota dal 1993 e promotrice del messaggio “Stop Women Violence”. Invece niente da fare anche per loro e per gli altri team intenzionati ad andare comunque dall'Italia – circa 20, fra i quali Igor Nonnis e Fabrizio Musu della scuderia Porto Cervo Racing.

Compleanno in terra straniera. Il 28 febbraio, dopo le rinunce che già avevano fatto più che dimezzare i rallisti col tricolore al Panda Raid, un'altra mail dell'organizzazione ha chiuso ogni speranza: stavolta si è parlato di assicurazione, che non prevede “assistenza sanitaria o responsabilità civile per l'evento in caso di epidemie e pandemie”. Risultato, nell'anno del 40esimo anniversario della Panda, alla competizione fuoristrada più prestigiosa a lei dedicata non ci sarà neanche l'ombra di un italiano. Un bel tonfo anche per l'organizzazione, che però di preciso non ha fatto sapere quanti erano gli iscritti dalla Penisola sul totale di 375 equipaggi. Difficilmente, si stima, poteva essere una cifra inferiore ai 60 team.

Una vera “Pandemia”. Aerei, bisarche, hotel. Qualcuno ha potuto spostare le date dei voli, altri hanno recuperato la caparra per i pernottamenti o versato qualche penale. Ma è soprattutto una questione di progetti perduti, il vero danno: ore di lavoro e spese vive per gran parte degli appassionati coinvolti, per lo più rallisti e maccanici. Professionisti che magari hanno investito su diverse vetture e che si attendevano un ritorno di immagine e di pubblicità diretta. C'è anche chi si è visto sfumare 6000 euro da uno sponsor e persino un'iniziativa patrocinata dal Comune di residenza messa in calendario per celebrare la propria beniamina al ritorno.

Bloccate verso la via del Sahara. A Robbio, in provincia di Pavia, sono ancora ferme tre Panda arrivate mercoledì scorso con una bisarca da Roma nell'officina di Massimo Canella. “In realtà i camion dovevano essere tre, ma gli altri abbiamo fatto in tempo a stopparli”, spiega Massimo, che sarebbe stato al suo secondo Panda Raid. Si sarebbero mosse in tutto 25 vetture all'andata e 26 al ritorno, con una macchina da recuperare in Spagna. Adesso le tre arrivate, sommate ad altre due portate da luoghi più vicini, oltre alla sua Panda, fanno sei ex partecipanti parcheggiate, di cui cinque cariche di aiuti umanitari. Già, perché da regolamento è obbligatorio portarsi dietro, fra le altre cose, minimo 20 kg di alimenti, materiale scolastico ecc. per i villaggi poveri vicino al confine con l'Algeria. Una delle Panda più cariche in officina è la 4x4 Trekking del 2003 di Paolo Colassanti ed Enrico Marasca, con 110 kg di generi di conforto: tutto materiale che tornerà da dove è inutilmente venuto, a bordo di un veicolo – originale per scelta – che dovrà pure affrontare 650 km verso casa.

Talenti da coltivare. L'anno scorso, alla loro seconda esperienza, i due partecipanti romani al si sono classificati secondi al Panda Raid, un risultato grandioso che “ha fatto pensare agli organizzatori che fossimo due rallisti di professione”, racconta Paolo, 42 anni, sorridendo. In realtà, nonostante la vasta esperienza in competizioni fuori strada, nella vita i due appassionati si occupano di altro. “La prima volta siamo andati al Raid per divertimento e ricordo che ero terrorizzato perché avevo capito quant'è tosta, questa corsa di velocità e regolarità nel deserto in cui si possono usare solo bussola, roadbook e intuizione”, prosegue. “È da ora in poi che volevo iniziare a fare di questa attività un mestiere, visto che finora siamo andati bene”. La carriera, però, a quanto pare dovrà attendere, almeno fino al prossimo Panda Raid. Finora l'unico vincitore è stato l'allarmismo per il coronavirus.

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