Presentata oggi a Maranello la nuova Ferrari di Formula 1, la 63ma della serie. Molte le novità tecniche ed estetiche introdotte. Ma a far discutere gli appassionati di storia dell’automobilismo sportivo è la presenza di un simbolo caro agli alfisti. Tutto normale?
Si chiama SF70H, dove SF dovrebbe stare per Scuderia Ferrari, 70 per il numero di anni che quest’anno compie la Casa di Maranello e H per la motorizzazione ibrida. Ha una maggiore sezione frontale, una maggiore impronta a terra delle gomme Pirelli, più larghe che in passato (+6 cm all’anteriore; +8 cm al posteriore), il muso più lungo, un nuovo alettone posteriore, nuove appendici all’altezza delle prese d’aria sulle fiancate, dadi e mozzi ruota ridisegnati, e numerose altre novità tecniche.
Il tutto mirato ad aumentare il carico aerodinamico e le prestazioni che il nuovo regolamento della F1 ha imposto nel 2017. Ciò che però più colpisce nella nuova monoposto Ferrari appena presentata a Maranello, la 63ma della serie, è un adesivo posto in corrispondenza delle sospensioni posteriori che non mancherà di stupire i tifosi Ferrari, ma non solo loro: un Quadrifoglio Verde all’interno di un triangolo bianco che anticipa la scritta Alfa Romeo.
Niente da criticare? Come prenderanno la scritta Alfa Romeo sul vestito di una Rossa i tifosi della Casa di Maranello? Come noto, la Ferrari nacque come “vendetta” di Enzo nei confronti dell’Alfa Romeo per come lo liquidò dopo una vita spesa al Portello. Una fiera rivalità che il Drake ha covato fino alla fine dei suoi giorni nonostante i suoi numerosi titoli vinti e la fama universale sua e delle sua auto. Rivalità testimoniata dalla frase che Enzo Ferrari prununciò all'indomani della prima vittoria di una monoposto Ferrari, peraltro ai danni di un'Alfa Romeo, al Gran Premio d'Inghilterra del 1951 (Silverstone): "È stato il momento il cui la Ferrari ha ucciso sua madre!". Ma quel triangolo bianco con al centro il Quadrifoglio Verde probabilmente farà sobbalzare dalle sedie anche i “tifosi” della Casa del Portello. Si tratta di uno dei simboli più cari agli alfisti e alla storia dell’Alfa Romeo.
Nato nel 1923 fece la sua prima apparizione in forma di rombo sul cofano dell’Alfa “RL TF” con cui Ugo Sivocci corse e vinse la Targa Florio del 1923, davanti al più noto e favorito compagno di squadra Antonio Ascari. Ascari, che era in testa alla gara, finì la benzina a soli 200 metri dall’arrivo e fu superato dal pilota salernitano. Un evento fortuito che fu appunto accreditato alla presenza sul cofano del Quadrifoglio Verde in campo bianco. In verità, un quadrifoglio molto simile comparve nello stemma della X Squadriglia da bombardamento Caproni (impegnata in audaci azioni durante la prima guerra mondiale), molto prima di diventare parte integrante delle effigie dell’Aeronautica Italiana.
Ma quella del Quadrifoglio è anche una storia tragica. Qualche mese dopo la vittoria alla Targa Florio Sivocci perse la vita in gara a Monza su una vettura sulla quale non aveva fatto dipingere il beneaugurante simbolo. Fu così che per celebrare la memoria del povero Sivocci e forse per scaramanzia, dal 1924 gli uomini del Portello decisero di adottare il Quadrifoglio come simbolo di tutte le loro auto sportive. Non più però in un rombo bianco bensì inserito in un triangolo bianco. Alla fine degli anni Venti è proprio il “Quadrifoglio” a distinguere le Alfa della casa madre da quelle gestite dalla Scuderia Ferrari, che avranno invece come simbolo il Cavallino Rampante.
Da allora i suoi successi per l’Alfa Romeo non si contano: dai titoli iridati in Formula 1 di Farina e Fangio, nel 1950 e ’51, con le Alfa Romeo “158” e “159” ai trionfi degli anni Sessanta (associato ai colori dell’Autodelta) con la “Giulia TI Super”, la “TZ”, la “GTA”, la “33”, fino ai due campionati del mondo del 1975 e del 1977, rispettivamente con la “33 TT 12” e la “33 SC 12” e alle vittorie nel Superturismo del 1993 con la “155”.
Il simbolo ha però contraddistinto in tutti questi anni anche la produzione di serie, nei suoi modelli più performanti, con le versioni “Verde” e “Oro”.
Gilberto Milano e Dario Tonani