Nel marzo 2001, Renault presentava la Renault Clio V6: uno di quei progetti folli che la Casa della losanga tirava fuori dal cappello, di tanto in tanto, per rinsaldare il rapporto con i clienti più appassionati. La Clio V6 fu essenzialmente un esperimento, neanche troppo riuscito nella sua prima istanza, ma bastò qualche miglioria e la scorbutica V6 divenne un’autentica instant classic tutta da guidare e… custodire gelosamente.
La Régie aveva già percorso la strada delle superutilitarie con la Renault 5 Turbo: una compatta transgenica equipaggiata con un motore turbo. Erano gli anni d’oro per la Renault e sperimentando i motori turbocompressi, la Régie trionfava in Formula 1 e nei rally, incassando grandi successi anche tra le auto stradali. Fu “tale” Jean Terramorsi, all’epoca vicedirettore della produzione della Casa francese, a pensare che una creatura innocua come la R5 potesse trasformarsi in una belva assetata di vittorie. Il resto è storia, la R5 Turbo è oggi uno dei mostri sacri della produzione francese.
A poco più di vent’anni dal lancio della sua antenata, la Renault Clio V6 ne raccolse l’eredità esaltandone le velleità bellicose. Nel reparto Renault Sport vollero dare un’erede alla R5, uscita di scena oltre 15 anni prima e mai rimpiazzata. Certo, c’erano state la Clio Williams e poi la Renault Spider: automobili tanto divertenti, quanto “coerenti” con la loro finalità progettuale.
Tutto molto bello, ma mancava quel pizzico di follia tanto caro alle frange più "estremiste" dei supporter della Régie. E a quel punto, perché non calcare la mano? Non dimentichiamoci che Renault Sport è stata l’artefice di uno dei veicoli più folli della storia dell’auto, la Renault Espace F1: una monovolume spinta da un 3.5 litri V10 da Formula 1 con 780 CV…
La genesi del modello. La Renault Clio V6 fece capolino, in veste di showcar, al Salone di Parigi del 1998: la vetrina più prestigiosa per festeggiare in grande stile il centenario della Casa.
La Clio V6 ebbe una genesi opposta rispetto alla Renault 5 Turbo. La nuova utilitaria anabolizzata derivava infatti dalle vetture da corsa utilizzate nel campionato monomarca “Clio V6 Trophy”. Il trofeo, organizzato a partire dal 1999, venne pensato per supportare le vendite della Renault Clio di seconda generazione. L’esperimento funzionò e le gare, combattute senza esclusioni di colpi, ottennero un grande successo.
Renault pensò di cavalcare l’onda per sviluppare anche una Clio con motore V6 stradale, una special omologata per la circolazione dedicata ai collezionisti e ai più veraci sostenitori del marchio.
La sua effettiva realizzazione venne annunciata nel 2000 e dopo una breve parentesi svedese, presso le linee di montaggio TRW di Uddevalla, la produzione venne affidata al glorioso stabilimento Alpine di Dieppe, in Normandia (Francia). Un altro elemento che la accomunava alla sua gloriosa antenata, la Renault 5 Turbo. Il ciclo vita delle Clio V6 venne avviato nel 2000 ma la loro commercializzazione effettiva partì dal 2001.
Misure straordinarie. Senza scomodare le monoposto di F1, la mansueta Clio venne dotata di un bel V6 montato dietro i sedili anteriori. Via quindi il divano posteriore, giù con l’assetto e con il body kit. Niente cerchi di latta e copriruota, ma dei grandi cerchi OZ da 17”.
Il profilo della Clio V6 si caratterizzava la fiancata scolpita, pensata per convogliare aria fresca nelle due branchie laterali. Queste erano necessarie per garantire il raffreddamento del motore V6, incastonato nella parte posteriore dell’auto. Così preparata, la Clio V6 intimoriva anche da ferma, perché una volta in moto, non sarebbe bastato “il manico” per tenerla in strada.
Il telaio della Clio II (lanciata nel 1998) venne pensato per accogliere motori trasversali che erogavano la potenza, più o meno contenuta, alle ruote anteriori: la normale amministrazione per un’utilitaria di segmento B. Il nuovo arrangiamento tecnico richiese quindi una serie di modifiche strutturali e, considerati i volumi di vendita contenuti, Renault preferì non investire somme ingenti per riprogettare il telaio ex novo. La scocca della Clio V6 venne sviluppata a partire da quella esistente, con diversi rinforzi, ma inevitabilmente ereditava anche tutti i limiti di un pianale nato per sopportare stress differenti.
Girava in alto. Il motore della Renault Clio V6 venne sviluppato con la collaborazione dalla TRW (Tom Walkinshaw Racing) e si caratterizzava sia per la V di 60° che per la “fame” di giri, riallacciandosi direttamente alla tradizione dei V6 sportivi vecchia scuola.
L’unità propulsiva di base era il 3.0 V6 “ESL” che sostituiva il famigerato motore PRV, in servizio dagli anni 70. Il propulsore di partenza era frutto di una nuova collaborazione tra PSA e Renault ed equipaggiava molte versioni di punta dei modelli di fascia media: berline, coupé e monovolume che celavano prestazioni brillanti sotto il massimo understatement. Sulla Clio V6, il tre litri aspirato venne rivisto in modo da erogare i suoi 230 CV molto in alto: oltre i 7.000 giri/min. La coppia, 300 Nm veniva erogata a metà del contagiri, a circa 3700 giri/min.
Docilità, questa sconosciuta. La velocità massima sfiorava i 250 km/h, mentre l’accelerazione da 0 a 100 Km/h richiedeva 6,5 secondi. Quanto bastava per lasciare al palo fior fiore di auto di lusso. Quelli della Renault Clio V6 erano valori di rilievo anche alla luce di un’aerodinamica che non era da primato.
Il vero tallone d’Achille era l’handling. Sebbene i tecnici Renault Sport non fossero gli ultimi arrivati in materia di auto da corsa e, nonostante la messa a punto da parte della TRW, la prima generazione della Renault Clio V6 rimase un’auto molto impegnativa: con un avantreno leggero e il passo relativamente corto i passaggi da sotto a sovrasterzo erano repentini e, non di rado, potevano mettere in difficoltà anche i piloti più esperti. Con il suo carattere terribile, la V6 “Phase I” riuscì a conquistare oltre 1600 temerari guidatori, uscendo di scena nel 2002.
Avanti tutta. Alla Régie credettero fino in fondo in questo progetto, nonostante i suoi limiti legati ad un telaio di produzione adattato agli oneri della guida sportiva.
La Clio V6 venne rimaneggiata pesantemente e con la seconda serie, la Phase II, venne adottato un passo più lungo di 23 mm e una carreggiata ancora più larga (33 mm). La nuova V6 beneficiò anche di un assale posteriore riprogettato, che faceva pendant con sospensioni ricalibrate e barre antirollio maggiorate. Un grande aiuto venne dato anche dai nuovi pneumatici più larghi, i Pilot Sport forniti dalla Michelin: 205/40 e 245/40, contro i precedenti 205/50 e 235/45. In questo modo, la scorbutica V6 divenne decisamente più facile da gestire anche perché la cavalleria, intanto, aveva raggiunto quota 255 CV. Migliorarono anche le prestazioni, con lo 0-100 coperto ora in 5,8 secondi. Altre migliorie riguardarono l’interno: l’abitacolo riprese gli aggiornamenti della normale Clio II restyling e la dotazione venne completata con il nuovo volante multifunzione e l’inedito impianto di climatizzazione automatica.
Buona la seconda. La breve carriera della Renault Clio V6 terminò nel 2005, questa volta senza eredi dirette. La Clio V6 è oggi una istant classic molto appetibile e dalla sicura rivalutazione futura: il prezzo medio sfiora i 50.000 euro, con quotazioni in salita. Per chi ne valutasse l’acquisto, converrebbe sicuramente puntare alla “Phase II”, più gestibile ma anche più rara: ne sono state realizzate poco più di 1.300 su una produzione totale di 3000 esemplari. Meglio non farsela scappare.