Romano Artioli: l'uomo che ha fatto rivivere la Bugatti - Ruoteclassiche
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06/04/2021 | di Giancarlo Gnepo Kla
Romano Artioli: l’uomo che ha fatto rivivere la Bugatti
I trent'anni della EB 110, il modello nato dalla visione di Romano Artioli che ha riportato in vita la Bugatti dopo decenni di oblio.
06/04/2021 | di Giancarlo Gnepo Kla

Nel 1987 Romano Artioli riportò in vita la Bugatti. Quattro anni dopo, nel 1991, nacque la EB 110: il modello che sancì la rinascita del marchio. La nuova supersportiva, prodotta a Campogalliano (MO) divenne la summa delle migliori tecnologie disponibili in campo automotive all’inizio degli anni 90.

La combinazione magica tra sogno, tenacia e passione senza limiti prevale sulle avversità, nessuno lo sa meglio di Romano Artioli. Per decenni, l'imprenditore ha sognato di creare una vettura che incarnasse il benchmark tecnologico delle supercar, un’idea che lo spinse a far rivivere il nome Bugatti, dormiente da decenni. Nel 1991, l’aura mistica del marchio tornava ad esercitare la sua fascinazione con laEB110, che ridestò l'interesse per la Bugatti nel panorama automobilistico dopo quasi 40 anni di oblio, riportandolo nell'Olimpo dei brand extralusso.

Quel sogno che comincia da bambino. "Romano Artioli è parte integrante della storia del nostro marchio. La Bugatti è rinata grazie al suo spirito d'iniziativa e alla sua perseveranza", spiega Stephan Winkelmann, presidente di Bugatti. "L'energia e l'entusiasmo di Romano, così come la sua irrefrenabile passione per la Bugatti, hanno contribuito a traghettare il marchio nel 21° secolo".
L'amore di Artioli per le auto è strettamente legato al suo background. Nacque vicino Mantova, la città natale del pilota Tazio Nuvolari e sin da bambino è stato affascinato dai piloti e dalle auto da corsa. All'età di 12 anni, Artioli iniziò a “masticare” un po' di meccanica leggendo un libro sulle patenti di guida. "Dopo questo, mi fu chiaro che la mia vita sarebbe stata dedicata alle auto e ai motori" racconta Artioli. La passione per la tecnica lo spinse ad intraprendere gli studi in ingegneria meccanica a Bolzano e, dopo la guerra, iniziò a prendere confidenza con i motori riparando auto.

In crescendo. Nel 1952, all'età di 20 anni, il giovane Romano apprese che la produzione della Bugatti era cessata (almeno per il momento). Fu un vero e proprio shock per lui che aveva sempre ammirato quel marchio, per il prestigio e il design sofisticato. La Bugatti era stata foriera di numerose innovazioni tecniche e protagonista di alcune delle pagine più belle dell'agonismo automobilistico. Non poteva andarsene così, lasciando un grande vuoto nel mondo dell’auto. Un giorno, quel mito sarebbe tornato a vivere, pensò e in quel momento giurò a sé stesso: "Se nessuno reagisce alla situazione di Bugatti, lavorerò tutto il tempo necessario per riportare in vita il marchio". Per realizzare quel sogno ci sarebbero voluti 39 anni.
Intanto, la carriera di Artioli procedeva brillantemente: negli anni a venire divenne il più grande importatore di auto giapponesi in Italia, nonché il principale tra i rivenditori Ferrari. In parallelo, la sua collezione di automobili si arricchiva pian piano di numerosi modelli storici Bugatti, il marchio che portava nel cuore.
A metà degli anni '80, lontano dai clamori mediatici, Romano Artioli cominciò a negoziare la vendita del marchio con il governo francese, un’operazione conclusasi con successo dopo due anni di trattative. Nel 1987 nacque la Bugatti Automobili S.p.A. di cui ne è diventato il presidente.
L’idea iniziale era di far risorgere l'azienda a Molsheim, in Alsazia (Francia). "Molsheim è paragonabile a Maranello in Italia o a Hethel in Inghilterra. È una Mecca per gli amanti delle Bugatti, ma all'epoca non c'erano né linee produttive né ingegneri specializzati nella regione". Artioli si mese in contatto con alcuni collezionisti, dei cultori del marchio che lo sostennero per creare un collegamento tra Molsheim e la nuova sede della Bugatti: Campogalliano.

La fabbrica Blu di Campogalliano. Nei tre anni successivi, venne ultimato il più moderno stabilimento automobilistico del mondo, edificato su un sito di 240.000 metri quadrati. La “Fabbrica Blu” sorgeva nella Terra dei Motori, a Campogalliano (MO), non lontano dai marchi d'eccellenza come Ferrari, Maserati, De Tomaso e Lamborghini.
La sede della Bugatti Automobili S.p.a. incorporava l’edificio amministrativo, lo studio di progettazione, l'area sviluppo motori e test, le sale di produzione, la pista di prova, la mensa e un suggestivo showroom. Al pari della vettura ivi prodotta, anche lo stabilimento rappresentava un concept innovativo per i tempi, e non poteva essere altrimenti, perché lì veniva prodotta la miglior supersportiva del periodo. I vari padiglioni della fabbrica erano aperti, inondati di luce naturale e dotati di aria condizionata, in modo che i dipendenti potessero lavorare con illuminazione e climatizzazione ideali. L'incarico di progettare la struttura venne affidato all'architetto Giampaolo Benedini, che progettò un edificio spettacolare: quella di Campogalliano è ricordata da tutti come una vera e propria fabbrica dei sogni.

Dalla A alla Z. Dopo aver curato il progetto dell’impianto produttivo, Benedini rimaneggiò anche lo stile della futura EB110, smussando gli spigoli vivi e la silhouette cuneiforme del prototipo originario. La nuova Bugatti sarebbe diventata la più veloce supersportiva del mondo, ma non bastava: doveva essere anche la migliore. "Con la EB 110, dovevamo superare la concorrenza in termini di prestazioni ma anche di qualità. Lo dovevo a Ettore Bugatti. La produzione era meno importante della qualità e dell'innovazione senza compromessi", spiega Artioli, che oggi fa il pendolare tra il suo ufficio a Lione e la casa di famiglia a Trieste. Per portare avanti questa causa, Artioli arruolò i migliori ingegneri e designer della regione. (Anche il rapporto con il territorio era fondamentale n.d.r.).
La EB 110 nacque da un foglio bianco e per il suo sviluppo vennero ignorate le convenzioni, optando per soluzioni all'avanguardia che permisero alla sportiva prodotta a Campogalliano di raggiungere lo zenit dell'eccellenza automobilistica. La EB 110 adottò il primo telaio in carbonio prodotto in serie, la trazione integrale e un motore 3,5 litri V12 da 3,5 litri con quattro turbocompressori e cinque valvole per cilindro. La potenza massima era di 550 CV, mentre la velocità massima era di oltre 351 km/h. Inoltre, durante i test la biposto batté diversi record, alcuni dei quali tutt'ora imbattuti.

Premiere a Paris.
Il nome EB 110 non è casuale, l’auto venne svelata a Parigi in occasione del 110° compleanno di Ettore Bugatti, il 15 settembre 1991. Il ritorno della Bugatti sul mercato fu un evento clamoroso: Artioli presentò la EB 110 davanti a più di 5.000 giornalisti e alcune tra le figure più influenti del mondo automotive. A rendere memorabile il lancio della vettura contribuì anche il divo Alain Delon, che a bordo di una Bugatti EB110 percorse gli Champs-Élysées con la moglie di Artioli, Renata.
L’accalcarsi di innumerevoli spettatori impazienti attorno alla “prima” parigina richiese perciò il dispiegamento di centinaia di addetti alla sicurezza per garantire che non ci fossero intoppi nella presentazione, tenutasi nella suggestiva Place de la Défense.

La volle anche Schumi. Ogni proprietario poteva configurare la propria EB 110 come un abito sartoriale e tra i "famosi" che scelsero la EB110, anche Michael Schumacher, che rimase particolarmente colpito dalla EB 110 dopo un test comparativo con altre sportive. Il Campione di F1 la definì "Un’auto ineguagliabile". Ricorda Artioli: "Michael venne subito dopo a Campogalliano e acquistò una Super Sport gialla con interni blu GT. Non ha chiesto uno sconto - era chiaramente un fan".
Tuttavia, i tempi cambiarono rapidamente. La EB 110 venne accolta con grande entusiasmo nonostante la crisi finanziaria globale, ma il mercato americano risentì degli effetti della guerra del Golfo. Anche il valore dello yen stava aumentando, mentre in Italia l'economia vacillava pericolosamente. Il mercato si ridusse e le vendite diminuirono. Le cose si complicarono anche per via dell’investimento di Artioli che in quel periodo rilevò la Lotus: la Bugatti Automobili accumulò debiti ed ebbe problemi con i fornitori.

Un nuovo inizio. Dopo quasi 40 anni di sogni e sette anni di duro lavoro, il progetto Bugatti, guidato da Romano Artioli si concluse. Il 23 settembre 1995, con circa 128 vetture prodotte, la Bugatti Automobili S.p.a. presentò istanza di fallimento. Artioli, tuttavia, ha pagato i suoi 220 dipendenti fino all'ultimo giorno. "I dipendenti hanno colto lo spirito di Bugatti. Erano loro a rendere la EB 110 così speciale e perdere tutto questo fu uno shock. È stato un giorno terribile per tutti noi", spiega Artioli. Era in cantiere anche una super berlina, la EB 112, quasi ultimata. "Un'auto incredibile, una delizia da guidare, con un V12 da 6,0 litri installato dietro l'asse anteriore. Il telaio era in fibra di carbonio e le sospensioni erano leggerissime. Si guidava come un go-kart", ricorda Artioli.
Ma la leggenda Bugatti non è morta. Nel 1998, la sede della Bugatti tornò nella cittadina alsaziana di Molsheim, il luogo dove nel 1909 Ettore Bugatti costruì la sua prima auto a suo nome. Bugatti tornò sulla cresta dell’onda nel 2005 con la spettacolare Veyron, la prima auto “di serie” a superare i 400 Km/h. Da allora, l'Atelier Bugatti ha prodotto le formidabili supersportive Chiron, Chiron Pur Sport e Divo, tutte caratterizzate da prestazioni ineguagliabili e una qualità costruttiva che rappresenta lo stato dell'arte per cura del dettaglio e materiali. L'ultima nata è la "Centodieci", un omaggio alla EB 110: il modello che ha riportato alla luce il nome Bugatti, facendolo risorgere, finalmente, dalle tenebre dell'oblio.

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