A South Bend, nell’Indiana, nacque una delle più antiche case automobilistiche americane. Il nome era quello di un immigrato di origini olandesi che fece fortuna nel XVIII secolo specializzandosi nella produzione di carrozze e divenendo fornitore della Casa Bianca e dell’esercito. Nel 1902 ci fu la svolta, con la produzione delle prime vetture con motore a scoppio e persino elettriche. Con la Studebaker Avanti, presentata nel 1962, si concluse la lunga storia del marchio.
Nel corso del XX secolo, Studebaker si affermò nell’industria automobilistica americana come marchio indipendente. Alla base del successo, vi erano l’innovazione tecnica e stilistica che consentirono alla Casa di ritagliarsi il proprio spazio in un mercato dominato dalle potenti Big Three di Detroit.
Negli anni '50 la Studebaker attraversò un periodo di grande difficoltà, ritrovandosi con una gamma ristretta e poco competitiva rispetto alla sterminata offerta dai grandi gruppi come General Motors, Ford e Chrysler. Una situazione che accomunava la Studebaker a Hudson e Packard, altre “outsider” del mercato americano. Fu la Packard, nota per la produzione di auto di prestigio, a rilevare la Studebaker ma la situazione non migliorò. Nel 1958, venne posto a capo dell’azienda Sherwood Egbert, un abile manager di origini irlandesi. Si tentò il tutto per tutto e i vertici aziendali decisero di giocarsi l’ultima carta presentando un modello totalmente innovativo: la Studebaker Avanti.
Il volto noto dell’industrial design. Con un rimando alla nostra lingua, il nome “Avanti” evocava l’idea di progresso e sviluppo e pertanto fu scelto per accompagnare il nuovo progetto racchiudendo in sé un messaggio di buon auspicio.
Lo stile venne affidato a Raymond Loewy, una vera e propria star del design: celebre per diversi e importanti progetti nell’ambito della comunicazione visiva e della produzione industriale. Il suo portfolio di lavori spaziava dai loghi delle più note multinazionali al mondo dei trasporti, dove tracciò le linee di locomotive e automobili (compresa la nostrana Lancia Flaminia Loraymo). E, non mancarono nemmeno alcune incursioni in ambito aerospaziale. Il suo prodotto più famoso resta, tuttavia, l’iconica bottiglia della Coca Cola.
Lo stile. Loewy, già nella seconda metà degli anni 30, collaborò con la Studebaker offrendo consulenze stilistiche per modelli come la Champion e, successivamente, per la Starliner (su disegno di Virgil Exner, all’epoca suo associato).
Per definire lo stile della Avanti, Loewy radunò uno staff di professionisti composto da Bob Andrews, John Ebstein e Tom Kellogg. In poco tempo venne realizzato un modello in Clay, con cui vennero definiti alcuni dei tratti salienti dell’auto. Ripulita da alcuni dettagli come le tipiche pinne di coda, ritenute eccessive e poco in linea con l’immagine “moderna” del nuovo modello, la Avanti avrebbe fatto il suo debutto di lì a poco.
La tecnica. Una volta approvata la linea, la squadra dovette fronteggiare i vincoli di tempo e di budget. La carrozzeria venne realizzata in leggera fibra di vetro.
Per la base tecnica i progettisti poterono scegliere tra i telai già esistenti e, alla fine, si pensò di adattare quello della Studebaker Lark Cabriolet ma la Avanti sarebbe stata più “compatta”, con una lunghezza di 4,90 m e una larghezza di 1,7 m.
Anche le sospensioni erano riprese dalla Lark e prevedevano uno schema a molle elicoidali all'anteriore e classiche balestre al posteriore. Una soluzione inedita fu l’adozione dei freni a disco (inizialmente solo sull’asse anteriore), che resero la Avanti la prima auto americana dotata di questo dispositivo. Sul fronte della sicurezza, un roll bar integrato nel tetto il quale, plancia e pannelli porta imbottiti così come le cinture di sicurezza con avvisatore acustico, contribuivano a proteggere la cellula abitativa.
Prestazioni al top. Con sorprendente abilità, gli ingegneri Studebaker riuscirono a rendere la Avanti piuttosto maneggevole, anche a fronte di un telaio tutt’altro che sportivo. Quando l'auto fu svelata, nel 1962, venne annunciata con un tris di motori V8. Alla base dell’offerta, lo “Small Block” V8 da 4,7 litri con singolo albero a camme e carburatore a doppio (o quadruplo) corpo, declinato nelle varianti da 240 (R1) e 289 CV (R2). La più potente era dotata, inoltre, di un compressore volumetrico Paxton. Per la trasmissione si poteva scegliere tra due cambi manuali a tre o quattro marce, optional, oppure l’automatico a tre rapporti. Rimanevano a richiesta anche il differenziale autobloccante e il servosterzo.
Con queste prerogative, la Avanti R2 poteva superare i 200 Km/h accelerando in 8,6 secondi. Successivamente venne proposto un ulteriore V8 da cinque litri, con ben 335 CV e capace di spingere la Avanti a ben 240 km/h. Per l’epoca erano prestazioni elevatissime. Sul lago salato di Bonneville la Avanti conquistò 29 record di velocità per auto di produzione, raggiungendo alla fine una velocità massima di quasi 273,4 km/h con il presidente della società al volante.
Un triste destino. Le premesse per il successo c’erano tutte ma le cose non andarono come sperato. Il nuovo modello venne presentato ufficialmente al Salone di New York del 1962 e ottenne una calorosa accoglienza da parte della stampa. Le prime critiche vennero mosse contro la linea anticonvenzionale, ma giunsero soprattutto per i difetti di fabbricazione relativi alla carrozzeria in fibra, assemblata frettolosamente.
Anche i prezzi più alti rispetto a quelli della Corvette, la “sportiva d’America” non giovarono alla diffusione del modello. A metà anni 60, la concorrenza martellava su tutti i fronti, specialmente con le pony car che offuscarono ben presto la Studebaker Avanti: un prodotto d’eccellenza riservato ad un pubblico di nicchia.
Di lì a poco la situazione precipitò per la scomparsa di Sherwood Egbert, malato da tempo. La fine della Studebaker era segnata.
Una nuova vita. Nel 1964, a due anni dal lancio della Avanti, Studebaker interrompeva la produzione di automobili, con poco più di 4.600 unità all’attivo. Due concessionari, Nate Altman e Leo Newman decisero di acquisire i diritti sul progetto e lo stabilimento nell’Indiana per dedicarsi esclusivamente alla costruzione della Avanti.
Senza il logo Studebaker, Avanti diventò un marchio e l’auto venne riproposta sul mercato facendo leva sulle dotazioni di lusso con il nome “Avanti II”. Intanto, sotto il cofano venne montato il nuovo V8 5,4 litri della Corvette, capace di erogare ben 300 CV in configurazione standard. Con lievi aggiornamenti estetici, a partire da nuovi paraurti in materiale plastico, la vettura rimase in produzione per molti anni.
Un’esistenza difficile. Nel 1982 iniziò una nuova fase di incertezza a cui seguirono diversi passaggi di proprietà. L’azienda venne dapprima trasferita in Ohio e successivamente in Canada, con il telaio originale sostituito da una nuova piattaforma di provenienza GM. Poi seguirono ulteriori spostamenti in Georgia e in Messico. Nella seconda metà degli anni 80, la nuova generazione Avanti venne realizza sulla base della Ford Mustang ed equipaggiata con motori a sei e otto cilindri meno potenti, per via del downsizing imperante. Ne derivarono anche le versioni Convertibile e la lussuosa Avanti Touring Sedan (nel 1990).
Con l’arresto dell’ultimo amministratore per reati finanziari, nei primi anni 90, terminava la travagliata esistenza di questo modello che, pur tra mille difficoltà, segnò una pagina fondamentale del motorismo americano.
Auto per intenditori. In Europa arrivarono pochissimi esemplari. In Italia le originali Studebaker Avanti avevano un costo prossimo ai 5.000.000 milioni di lire, un prezzo vicino quello delle sportive più blasonate e ciò limitò fortemente la diffusione del modello sebbene, tra gli anni 50 e 60, sul mercato ci fosse spazio anche per alcune Studebaker. Uno scoglio ancora maggiore era lo stile, troppo “avanti” per poter competere con la bellezza classica e senza tempo della GT europee.
La Studebaker Avanti finì per trovare asilo presso i garage di una cerchia molto ristretta di estimatori: dallo scrittore Ian Fleming, ideatore della saga di James Bond e 007 al rocker Alice Cooper.