Una Spider in Sicilia tra tesori e dilemmi di sempre - Ruoteclassiche
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12/11/2021 | di Giosuè Boetto Cohen
Una Spider in Sicilia tra tesori e dilemmi di sempre (parte II)
Seconda puntata del nostro emozionante viaggio on the road in terra siciliana, condotto a bordo di un'Alfa Romeo Spider (916) 1.8 Twin Spark.
12/11/2021 | di Giosuè Boetto Cohen

Seconda puntata dello “Slow Drive” tra mare e monti sull’Alfa Spider 916. Lasciata la splendida Palermo, salita a Piana degli Albanesi, la foresta di Ficuzza, Caltabellotta, il Belice e poi la discesa a Sciacca. Meraviglie infinite (tra le tante, il Grande Cretto di Burri), ma anche scempi dietro l’angolo e strade provinciali da paura.

Più di altre grandi isole, la Sicilia è un luogo di mare e di terra. La ricchezza d’acqua, la varietà del paesaggio, l’infinito patrimonio d’arte fanno di piane, valli e montagne l’altra metà del viaggio e offrono grandi occasioni di guida. L’Alfa 916 Spider, potente, ancora moderna nella meccanica e ben studiata nella carrozzeria è la compagna ideale per un itinerario misto. Quando, lasciati i tepori della costa, la temperatura scende di qualche grado, il parabrezza lungo e avvolgente protegge gli occupanti dal vento, ben oltre i 90 km/h, anche senza schermo posteriore. Non occorre nemmeno alzare i finestrini – cosa un po’ ridicola quando si gira in spider – perché il flusso d’aria è incanalato e disturba poco i passeggeri. Nulla a che vedere con le buriane sulla Duetto e delle altre roadster d’epoca, con i parabrezza quasi verticali.
Se c’è bisogno (come c’è stato, a metà ottobre) di un giubbino caldo, il gavone nella panchetta posteriore - chiuso con serratura e a portata di mano - può ospitare, oltre alle borse più piccole, gli indumenti d’emergenza. Il paragone con altre scoperte (una per tutte la nuova Fiat /Mazda 124), dove non c’è nemmeno il posto per il portadocumenti, è tutto a vantaggio della 916.
La capote, nei percorsi mari e monti, deve andare su e giù all’occorrenza. La nostra Alfa non ha il comando elettrico, da cui siamo stati alla larga secondo la regola “meno cose che si possono rompere, meglio è.” Navigando sui forum ci è stato tra l’altro confermato che i pezzi di ricambio del servomotore sono difficili da trovare e il meccanismo, dopo un quarto di secolo, può cedere. E, con le vecchie regole, il tettuccio si alza e si chiude in un minuto; meglio farlo a quattro mani, ma si riesce anche da soli e sparisce nell’alloggiamento carenato disegnato dal bravo Fumia.

Le suggestioni del grande cinema. Confortati quindi dal mezzo e dalla sua eccellente tenuta di strada, saliamo da Palermo per Piana degli Albanesi, rotta per foresta di Ficuzza, Corleone, Caltabellotta, Sciacca sul mare.
I laghi di Piana sono uno scenario insolito e ameno, le terre concave affidate dal XV secolo agli Albanesi, in fuga dalle invasioni dei Turchi. La città non offre grandi tesori, ma alcuni tra i migliori cannoli della Sicilia. E a pochi chilometri – abbiamo già citato il Gattopardo nella puntata precedente – sulla sponda opposta, c’è il casolare dove Tancredi-Alain Delon forza il posto di blocco dei garibaldini durante il viaggio per Donnafugata. E’ ancora riconoscibile, perso nei pascoli, come lo scelsero Visconti e Rotunno. Corleone è meglio ricordarla nelle citazioni di un altro capolavoro del cinema, mentre la foresta di Ficuzza è uno spettacolo naturale.

Occhio alle buche! Fin qui, e anche scendendo e risalendo verso Caltabellotta, la voglia di avventurarsi sulle strade provinciali è forte. Non per sfuggire a un traffico inesistente, ma per concedere di più alle sorprese del paesaggio. Il problema è che i “dilemmi di sempre” della Sicilia, a cui accenniamo nel titolo del nostro diario, sono dietro ogni curva. Lo stato delle strade secondarie, almeno in questo quadrante dell’isola, disastroso. La deformazione del manto e la vegetazione che invade un terzo di carreggiata sono solo il primo avviso. Spesso l’asfalto manca di colpo, o è talmente bucato da far preferire una strada veramente bianca. Alcune di queste provinciali sono interrotte, con segnali di divieto di accesso. Ma le auto locali le imboccano lo stesso, confondendo il forestiero. Diffidate, anche se vi dicono che si può andare, che va tutto bene, soprattutto se guidate una sportiva assettata come la Spider 916. Potreste trovarvi a spaccare qualcosa sotto o dover fare mezzo chilometro in retromarcia.

Discesa a Sciacca. Confinati, quasi sempre, sulle rassicuranti statali, si giunge alla cittadina rupestre di Caltabellotta, splendida da lontano ancor più che da vicino, alle falesie quasi dolomitiche e la discesa a Sciacca. Il borgo marinaro e il nucleo antico hanno ancora un certo fascino, ma le terme sono chiuse da anni e la banlieu mortificante: una colata di cemento orizzontale e verticale che pare sproporzionata rispetto a tutto, anche se il porto di pesca è secondo solo a Mazara. Per dormire in un ambiente ameno si può andare a Villa Calandrino, difesa dal verde e con un sapore retrò.
Il bagno di mare noi lo abbiamo fatto un po’ più a ovest, alla Riserva della Foce del Belice: forse venti bagnanti su una spiaggia naturale di due chilometri, con ristorantino di mare in fondo.

I tesori del territorio. Dalla Riserva si vede Marinella, e dall’altra parte le emozionanti rovine di Selinunte. Leggete la storia di questi celeberrimi scavi su una buona guida e dedicate diverse ore alla visita: il parco archeologico è immenso, oltre ai templi va vista la citta punica e i chilometri a piedi sono una delizia. Meglio col fresco e la luce a cavallo.
La mattina dopo, si torna tra le colline, risalendo quel fiume Belice che per chi ha un po’ di memoria è sinonimo di terremoto e catastrofe. Sempre sulle statali – mi raccomando! – si sale tra le vigne celebri e gli ulivi, punteggiate fino al 1968 da paeselli-presepe, chiese madri e qualche villa patrizia. Oggi dei paeselli restano pietre nell’erba e la sepoltura sconvolgente del Cretto di Burri. Un capolavoro assoluto, un’opera astratta diventata più vera del vero, nella sua funzione di memoriale e fantasma di una città. Alberto Burri aveva stupito con i suoi “cretti” in cornice negli anni ’70, e dopo la sciagura del Belice pensò genialmente di colarne uno grande come una collina. Quella distrutta di Gibellina, di cui riprese la mappa delle strade nelle crepe dell’opera. Lo si vede da lontanissimo, arrivando via terra, dall’aereo e persino dal satellite. Un’opera mirabile, che non molti conoscono, aiutati dall’assenza di promozione, spiegazione, manutenzione, persino di una segnaletica decente. Per fortuna il Grande Cretto è così grande, che non si può mancare.

La rinascita dopo la catastrofe. Diversa l’avventura tra terremoto, arte e architettura di Santa Margherita Belice. Lì il paese è rinato sul posto, salvando la piazza, la facciata del palazzo dove Giuseppe Tomasi di Lampedusa trascorreva le estati, e trasformando i ruderi della cattedrale nel Museo della Memoria. Fino a tre anni fa, però, un ecomostro di cemento armato – lui sopravvissuto come beffa del sisma – sfregiava gli sforzi di ricostruire e abbellire degli amministratori locali. Oggi, finalmente, lo scheletro di dieci piani è stato abbattuto e Santa Margherita può brillare di nuovo.
Prossima tappa del “petit tour” è Marsala, a un’ora di strada senza inutili interruzioni. La costa è troppo costruita e per i bagni conviene andare allo Stagnone, a San Teodoro e Birgi. Ma la città di Marsala va certamente visitata, per il centro quasi intatto, lo splendido museo delle navi puniche e quello del mitico sbarco di Garibaldi. Ci riporta con gusto ai banchi di scuola, tra documenti autografi (splendida la pagina dal taccuino di Crispi sulla navigazione), oggetti personali, armi e uniformi. Per vistirare tutto a piedi, con vista mare e parcheggio privato, l’Hotel Palace è un’ottimo indirizzo e a dispetto del nome pratica tariffe abbordabili.

(2 - continua)

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