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11/04/2002 | di Redazione Ruoteclassiche
VIETATA AI MINORI DI 350 MILIONI
Per molti, la Ferrari “275 GTB” è un capolavoro, per altri va giudicata con più cautela. Per tutti è stata una delle più importanti vetture della Ferrari, in quanto con essa sono state introdotte sostanziali innovazioni. A cominciare dalla sigla che, per la prima volta, incorpora la “B” di “Berlinetta” e il numero “275”, la […]
11/04/2002 | di Redazione Ruoteclassiche

Per molti, la Ferrari "275 GTB" è un capolavoro, per altri va giudicata con più cautela. Per tutti è stata una delle più importanti vetture della Ferrari, in quanto con essa sono state introdotte sostanziali innovazioni. A cominciare dalla sigla che, per la prima volta, incorpora la "B" di "Berlinetta" e il numero "275", la cilindrata unitaria di una nuova generazione di motori, più grandi ed evoluti dei "250". Altre novità, per una Ferrari stradale, le sospensioni posteriori a ruote indipendenti (il cui schema venne ripreso dalle Sport dell'anno precedente), il cambio a cinque marce in blocco con il differenziale (come sulle Sport "375 Plus" e "500 Mondial" degli anni Cinquanta) e le ruote di lega leggera con finestrelle rettangolari e nervature radiali, caratteristiche della "156" Formula 1 del 1963.
L'idea del cambio al retrotreno venne realizzata in tre modi differenti, su altrettante serie della "275", alla ricerca di una perfezione difficile da raggiungere. Nell'ultima versione, motore e trasmissione furono resi solidali, fissandoli ai due estremi di un grande tubo d'acciaio, all'interno del quale girava l'albero di trasmissione. Questa soluzione (poi adottata anche da altre Case, come la Porsche, che la ribattezzò "Transaxle") fu un buon compromesso tra confort e tenuta di strada, a spese, tuttavia, di un appesantimento della vettura e della guida.
Per la carrozzeria, Battista Pininfarina studiò linee "forti", su suggerimento dello stesso Ferrari, che della precedente "250 GTL" aveva detto: "Troppo elegante per essere una Ferrari". L'obiettivo fu raggiunto disegnando fiancate alte e rigonfie, vigorosamente segnate da feritoie di aerazione sui parafanghi anteriori e sui montanti posteriori. Il parabrezza molto curvo e i fari carenati (autorizzati in deroga al Codice della strada dell'epoca) erano altri elementi fortemente caratterizzanti.
La "275 GTB" debuttò al Salone di Parigi del 1964, con una carrozzeria in alluminio (dipinta in uno squillante "Giallo Fly") che si rivelò debole all'assalto dei visitatori. La piccola disavventura rafforzò la convinzione di utilizzare l'acciaio per le vetture di serie, lasciando l'opzione dell'alluminio ai clienti sportivi. Nella produzione effettiva, eseguita a Modena da Scaglietti, alluminio e acciaio si mescolarono: esemplari tutti d'alluminio, altri d'acciaio, altri ancora con solo cofani e portiere d'alluminio. La presenza di tre o sei carburatori comportava cofani con "bugne" più o meno pronunciate, ma anche questa regola ha avuto molte eccezioni.
Nel 1965, al Salone di Parigi, la vettura fu presentata con lunotto più grande e cerniere del baule esterne. Nel gennaio 1966, al Salone di Bruxelles, debuttò la versione a muso lungo, prodotta in due serie. La seconda (maggio-agosto 1966) servì a collaudare la trasmissione intubata che, con il carter secco, i sei carburatori di serie e le testate bialbero, caratterizzò le "275 GTB/4". Grazie ai quattro alberi a camme in testa, il dodici cilindri, siglato "226", guadagnò una ventina di cavalli, passando da 280 a 7500 giri a 300 a 8000 giri.

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