1970: l’anno delle super muscle car - Ruoteclassiche
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20/02/2020 | di Paolo Sormani
1970: l’anno delle super muscle car
Il 1970 è l'anno delle muscle car: auto da famiglia dall'indole sportiva equipaggiate con potenti motori V8.
20/02/2020 | di Paolo Sormani

L’era ruggente delle supercar americane per il padre di famiglia raggiunse l’apice dei cavalli, della potenza e dello stile al cambio di decennio. Poi, come un meteorite, la crisi petrolifera...

Nelle concessionarie americane il 1970 inaugurò la nuova decade con un’escalation di cilindrata e potenza pari solo a quella militare nel Vietnam. Se da quelle parti la pace era un’ipotesi improbabile, la guerra delle muscle car raggiunse il suo apice proprio 50 anni fa. Uno spartiacque, il ’70: l’utopia del benessere senza limiti aveva picchiato il muso contro la cruda realtà della disoccupazione cresente e della spirale inflattiva. Per la rima volta quell’anno si parlò ufficialmente dell’inquinamento come problema nazionale con l’apertura dell’EPA (Environmental Protecion Agency) e la prima legge sulla qualità dell’aria. Fra Detroit e Dearborn però il vento continuava a soffiare, i motori a ruggire. Inaugurata dalla Mustang e dalla Pontiac GTO nel ‘64, l’estate calda delle muscle car toccò il suo apice proprio nel 1970. Mai come in quell’anno l’industria americana mostrò i suoi muscoli come mai avrebbe osato per molto tempo.

Il club dei 13. Fu in quell’anno che la General Motors decise di infrangere il suo limite autoimposto dei 400 pollici cubi (6.555 cc!) per le auto del segmento (cosiddetto) medio. Alcuni dei più massicci big block di tutti i tempi furono infilati sotto i cofani delle varie GTO, 442, Gran Sport e SS Chevelle. Nomi che facevano alzare il piede solo a leggerli: SS396 Nova e Camaro, Dodge Six Pack Super Bee, Plymouth Hemi Road Runner, Mercury Cobra Jet Eliminator, Pontiac Ra Air IV Judge, Cyclone GT, Formula 400 Firebird… Erano i biglietti da visita per accedere al club dei 13: il numero massimo di secondi per bruciare il quarto di miglio, 400 metri.

Le dragster di papà. Alla General Motors furono sdoganati il V8 454” per le Chevy Chevelle, il 455” per Pontiac, Oldsmobile e Buick. Nel frattempo, Chrysler si era rifatta il trucco con livree sportive mai osate prima. La potenza dell’immagine raggiunse e addirittura superò (Dodge Coronet) la sostanza. Facevano già paura a guardarle, figuriamoci a sentire il gorgoglio minaccioso dei loro V8. Fu un improvviso fiorire di spoiler, alettoni, prese d’aria. Ford, Chrysler e Pontiac adottarono le prese d’aria centrali “shaker” sui cofani, mentre Chevrolet recuperò dalle corse la “cowl induction” per la Chevelle SS, la supercar più venduta di Detroit, la dragster legale per il padre di famiglia. Il motore SS 396, sigla LS5, da 350 cavalli fu affiancato dal SS 454 LS6, che vendeva 450 cavalli reali. Nemmeno John Wayne ne aveva mai visti tanti, tutti assieme.

Semaforo verde. Le altre Marche non restarono a guardare la luce verde al semaforo. I cugini di Buick, Oldsmobile e Pontiac misero mano all’arsenale dei big block da 400 a 455 pollici cubi – 7.465 cc al cambio attuale. Nel caso di Pontiac, però, si guardava in prospettiva. Il 455 poteva spingere il peso e le dimensioni delle station wagon, oltre ad aumentare la salivazione degli acquirenti della GTO. Per la 4-4-2, Oldsmobile tagliò la testa al toro adottando il V8 445”. Con lo stesso blocco in versione Stage 1, anche le Buick si trasformarono da auto di papà in dragster di papà con la GSX, la prima vera muscle car da 360 cv della Casa di Flint, Michigan. Una sorpresa ancora più grande arrivò dalle nuove Camaro e Firebird Trans Am, ancora più aggressive nel look. Basse, lunghe, larghe, sfoggiavano l’esclusività di un’auto da corsa al prezzo di una berlina - e per la prima volta con i freni a disco di serie. La Camaro più Camaro di tutte era la Z/28, che costava duemila dollari in meno della Corvette e faceva altrettanto figo. Invece la Trans Am sembrava appena uscita dallo Speedway di Daytona, con tuta una serie di estrattori, deflettori e spoilerini.

Boss, Mustang & Cobra. Chrysler rispose con la piattaforma E per le nuove Dodge Challenger R/& e Plymouth Barracuda, con big block da 383” per 350 cv. Volendo ci si poteva divertire nel reparto Mopar con il big block 440 a tre carburatori, o con il 426 Hemi, il sogno proibito di ogni bruciasemafori. Ford non era da meno, la sua prima linea era potente e consolidata come non mai. La Mustang Boss 302 era al suo secondo anno e la nuova Mach 1, con il big block V8 429 Cobra Jet, prometteva ancora meglio. Nessuna però fece più scalpore della Torino Cobra, una fastback formato famiglia con il power package V8 429” da 370 cavalli, in grado di scattare e mordere qualsiasi altra supercar l’affiancasse allo stop. E dal Drag Pack si spremevano cinque cavalli in più. Spulciando le brochure dell’epoca, la lista potrebbe andare avanti. E pensare che tre anni dopo la crisi petrolifera sarebbe piombata sulla terra come un meteorite. Le muscle car si estinsero come dinosauri. Di colpo, era tutto finito.

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