75 anni fa il primo VW Maggiolino - Ruoteclassiche
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27/12/2020 | di Paolo Sormani
75 anni fa il primo VW Maggiolino
Il 27 gennaio 1945 cominciava ufficialmente la produzione di una delle icone dell'automobilismo: la Volkswagen Maggiolino.
27/12/2020 | di Paolo Sormani

Non aspettarono l’anno nuovo, alla Volkswagen: la prima Typ 1 uscì dalla fabbrica il 27 dicembre del 1945, con le ceneri della guerra ancora fumanti. La rinascita dell’auto tedesca si deve anche a un ufficiale inglese, il maggiore Ivan Hirst.

Germania, anno zero. Fra Natale e San Silvestro, nell’inverno gelido di un Paese azzerato dalla guerra e dalla follia, sotto shock e di lì a poco sotto processo, avvenne un piccolo miracolo. Fu dettato dal pragmatismo sia anglo, sia sassone; e dall’umana natura di rialzarsi, sempre e comunque. Le date davvero cruciali nella storia dell’automobile si contano, forse, sulle dita delle mani. Una di queste è il 27 dicembre 1945. Quel giorno, nella fabbrica tedesca di Wolfsburg iniziò la produzione di serie della berlina Volkswagen Typ 1. Con essa rinacque anche l’economia (leggi: l’auto) tedesca. Non ci sono capanne, Santi e Re Magi in questo quadretto: solo capannoni scampati alla distruzione e un uomo nella divisa di maggiore dell’esercito inglese, Ivan Hirst. Grazie alla sua lungimiranza, evitò la demolizione della fabbrica.

L’auto del popolo, prima della guerra. L’origine della Volkswagen risale agli anni Trenta quando Hitler commissionò a Ferdinand Porsche la famosa “auto da mille marchi” per i lavoratori tedeschi. Agli operai, il regime nazista propose uno schema di accantonamento della quota settimanale del salario, da devolvere alla costruzione della fabbrica dell’Auto del Popolo per avere diritto alla berlina che avrebbe costruito, a un prezzo allettante. Si trattava della prima “Typ 1”, la “due vetrini” che debuttò al Salone di Berlino del 1939 riscuotendo il dovuto successo. In realtà, la prima Volkswagen si sarebbe dovuta chiamare KdF-Wagen, traducibile come “l’auto della forza attraverso la gioia”, dal nome dell’organizzazione ricreativa nazista che faceva capo al Deutsche Arbeitsfront, il Fronte dei Lavoratori Tedeschi. Un appellativo sinistro scongiurato dalla guerra stessa, che portò alla conversione militare della nuova fabbrica, con appena 630 Typ 1 costruite.

Il maggiore inglese e gli italiani. A conflitto concluso, la Volkswagen GmbH era ridotta in condizioni pietose. Una scatola vuota e in rovina. Senonché, nel giugno 1945 intervenne l’amministrazione fiduciaria assunta dal Governo militare britannico, che l’aveva confiscata. Fu deciso che la Typ 1 sarebbe stata il mezzo di trasporto principale nella propria zona di occupazione e già nell’agosto del ’45 fu commissionato un ordine per 20.000 vetture, raddoppiato a 40.000 nel giro di quindici giorni. La supervisione dell’intera operazione fu affidata al maggiore Ivan Hirst, 29 anni e un paio di baffetti. Le istruzioni furono semplici: “Si rechi a Wolfsburg, cerchi la fabbrica e se ne occupi. Non mi avevano neanche detto che si trattava della Volkswagen”. Con la sua passione per le auto, la concretezza e la determinazione, riuscì a trasformare un ex stabilimento bellico in operosa industria civile nel giro di pochi mesi. Il compito era impervio: gli edifici erano stati bombardati, i macchinari e i veicoli nascosti nelle rimesse private. Il cibo era razionato, le materie prime scarse. Cosa non mancava? La manodopera, fornita dagli ex prigionieri di guerra. Furono le maestranze italiane e francesi a occuparsi dei lavori di muratura della nuova Volkswagen lavorando in condizioni molto dure, ma regolarmente stipendiate.

La numero 1 della Tipo 1. Le autorità militari britanniche videro nella ripresa dell’economia la denazificazione, cioè le fondamenta della democrazia nella nuova Germania. Non c’era tempo da perdere. Il 27 novembre del ’45, il Consiglio di Fabbrica eletto con una votazione democratica si riunì per la propria assemblea costitutiva. Un mese dopo, festeggiato il Natale, iniziò la costruzione delle prime 55 Typ 1. Dalla fine della guerra, erano trascorsi appena otto mesi. Dopo le prime, notevoli difficoltà, nel ’46 la produzione si assestò sui mille esemplari al mese, il minimo necessario per sostenere l’economicità dell’operazione. Gli amministratori fiduciari lavorarono per la rinascita della VW fino fino all’autunno del 1949. Istituirono la rete commerciale, l’assistenza ai clienti e, dal 1947, iniziarono a esportare la Volkswagen che nel 1967 sarebbe stata definita per la prima volta “der Käfer”, il Maggiolino.

Un successo mondiale. Già, e Ferdinand Porsche? L’ingegnere austriaco era stato accusato di crimini di guerra per il suo convinto apporto al regime nazista e arrestato in Francia nel 1945. Liberato due anni più tardi grazie all’intervento di Piero Dusio, prima della morte nel ’51 Porsche avrebbe assistito al successo immediato della sua creatura, che sarebbe diventata una delle auto più longeve e vendute in tutto il mondo. Fu fabbricata per quasi sessant’anni fino al 2003, in Messico, in 21.529.464 unità, di cui circa 15,8 milioni unità costruite in Germania. In famiglia, fu superata soltanto da un’altra “berlina per il popolo”, la Golf.

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