È un’edizione particolare, strana, speriamo unica. Il bello di una cornice come la 1000 Miglia è che dentro puoi lasciarci correre i pensieri come macchine da corsa, lo stupore della prima volta, la bellezza della scoprire che già al tuo primo giorno non vorresti mai uscirne.
Alla fine parti. La banda che suona l’Inno di Mameli, lo speaker che pronuncia il nome tuo e dell’ordigno vecchio come il cucco che stringi fra le mani illudendoti di dominarlo davvero. La passerella rossa di viale Venezia, la bandiera tricolore che sventola davanti al radiatore. Finalmente parti. Lasciando finalmente indietro quel virus dal nome antipatico, le mascherine, i protocolli di sicurezza, le menate da ciò che ti tengono in vita e, forse, ti separano un po’ dal vivere davvero. Il motore alza la cresta, lo sterzo gira quasi da solo, le case diventano capannoni, poi alberi. Qui, accanto alla carreggiata, comincio a vedere la gente comune, gli appassionati, i bambini di ogni età che nell’edizione 2020 non sono riusciti a guadagnarsi l’accesso al paddock di piazza della Vittoria per rinnovare uno dei momenti migliori dell’anno. Pensavo di averli persi, mi sbagliavo: i gruppi di amici, gli anziani signori sulle seggiole, gli improvvisati bar a bordo strada si trasformano in autentica dolce vita sul Lago di Garda. Fra Desenzano e Sirmione, sono in tanti a gustarsi l’arrivo dei primi equipaggi al ritmo degli aperitivi, tranquillamente seduti ai tavolini strategicamente piazzati lungo la strada. Non sono passati che una quarantina di chilometri e già pregusto i prossimi 1.560.
Fatti mandare dalla mamma. Quando al mattino presto arrivo al Brixia Forum, che ospita le auto prima della partenza per le verifiche tecniche, non trovo facce note. Probabilmente ci sono, ma travisate dalla mascherina mi sento un po’ sperso fra trent’anni di storie di velocità che aspettano di essere raccontate una volta di più. Conosco nessuno. Bene. Vorrà dire che comincerò non dai piloti più attesi o più titolati, ma da quelli simpatici. Il primo è Gianni Morandi. Che non è il cantante, né il pronipote del primo vincitore della 1000 Miglia storica, che di nome faceva Giuseppe. Però, come lui, guida una OM 665 Superba del ’29 in parte ancora del verde originale, in coppia con Marco Morosinotto. Ovviamente è il più intervistato (e poi citato dallo speaker), perché una vita da Morandi dev’essere comunque divertente. E questo simpatico toscano di un metro e novanta estrae senso dello humour dai sedili della OM sottoforma di una chitarrina rossa e di un litro di latte, come quello della canzone. Almeno quando guida canta? “No per fortuna, tanto chi lo sente con tutto quel rumore”, risponde il co-pilota. E fa molta simpatia anche la Isetta del ’54 portata per la prima volta da Edmondo Balsamo. Come dice lui, per farla con un giocattolo del genere bisogna essere eroi nell’anima. Media oraria prevista? “L’idea è di farsela a sessanta all’ora e vedere se si arriva fino in fondo, il che mi sembra molto improbabile”. Ha l’aria un po’ preoccupata anche la signora Maria Angela Snelli, che accompagna Paolo Bucchi sulla MG T Supercharger del ’39. Impietosamente scoperta e dal comfort che potremmo definire radicale. Alla 1000 Miglia per la quinta volta. Una veterana che sa già cosa l’aspetta: “Un conto è andarci a maggio, con le giornate lunghe, un conto a ottobre con il freddo e il buio che arriva presto. Sono preparata al peggio”. La penserò sabato sul Passo della Cisa, al termine del tappone previsto sotto la pioggia.
Serata a teatro. L’arrivo a Ferrara è preceduto dall’apnea nella “provincia cronica”, come cantava Francesco Bianconi dei Baustelle. Attraversato il ponte sul Po, la città appare in tutto il suo quieto splendore, nascosto dalle mura agli occhi di chi non sa apprezzarlo. Il “rancio d’onore”, come l’avrebbero definito negli audaciosi anni Trenta, è servito nientemeno che nel bellissimo Teatro Comunale di Ferrara, proprio accanto al Castello. I più fortunati vanno subito a cena, ma non sono pochi quelli che fissano i gallettoni, smontano i cofani, ascoltano gli scarichi, nutrono i motori di olio e piccole, fondamentali attenzioni. Gli sguardi e i pronostici dei suiveur sono puntati su due vecchie volpi come Andrea Vesco e Giuliano Cané. Entrambi si sono presentati a Brescia su auto prestate da amici, di sicuro pregio. Accanto al figlio Roberto, Vesco è al volante di un’Alfa Romeo 6C 1750 SS Zagato del ’29, una gloria della corsa storica. È soddisfatto: “La macchina va molto bene, oggi l’ha confermato dopo averci fatto vincere il GP Nuvolari venti giorni fa. Dovremmo essere anche in vantaggio. La giornata che temo di più? A me non piace la prima sera, parti dopo il casino delle verifiche e della punzonatura, però oggi è andata benissimo e per noi domani comincia la nostra gara”. Il recordman Giuliano Cané non guida la BMW 328 MM che gli ha permesso di vincere ben nove edizioni della 1000 Miglia di regolarità (l’ultima volta nel 2006), ma non si lamenta certo della Lancia Lambda Spider Casaro del ’27, fra le sue mani per la prima volta. “Era rimasta ferma per sessant’anni nel garage di un collezionista, pensi. Per adesso la trovo preziosa e consistente, mi trovo benissimo. È stabile e guidabilissima, nonostante il raggio di sterzata molto stretto. Solo le Alfa di questa età hanno più motore”. Lasciata Ferrara alle spalle, i piccoli e grandi eroi della 1000 Miglia vengono inghiottiti dal buio e dalla nebbiolina verso Ravenna e il termine della prima tappa. Davanti alla nostra Stelvio Veloce, i passeggeri della Aston Martin International con la bandiera belga sul cofano sembrano una coppia in un epico viaggio di nozze. A proposito di Belgio. Con il fido co-équipier Francesco Mosconi accanto, torniamo al tranquillo filosofeggiare di Jacky Ickx, intervistato poche ore prima nella hospitality della Casa orologiera Chopard. Quand’era bambino, aveva raccontato, l’eco della 1000 Miglia gli arrivava a casa nelle persone di Stirling Moss e Juan Manuel Fangio, che passavano a trovare il padre giornalista e pilota a Bruxelles in occasione del GP di Spa-Francorchamps. Per il piccolo Jacky, quella corsa lontana aveva già assunto i contorni della leggenda senza nemmeno varcare la sala da pranzo.
La classifica dopo la prima tappa. Al momento dellaprova di precisione 11, in testa troviamo Sergio Sisti e Anna Gualandi a bordo di una Lancia Lambda Spider Casaro del 1929, con 7326 punti. Seguono a 54 punti di distanza Andrea e Roberto Vesco. Al terzo posto con 7087 punti, l’equipaggio composto da Gianmario Fontanella e Anna Maria Covelli a bordo di una Lancia Lambda Casaro VII Serie del 1927. Al quarto posto con 6741 punti, la coppia Matteo e Martina Belotti su Bugatti T37A del 1927; quinta l’Alfa Romeo 6C 1750 SS Zagato del 1929 guidata da Alberto Aliverti e Stefano Valente, rincorsa dall’Alfa Romeo 6C 1750 SS Young del 1929 di Luca Patron e Elena Scaramuzzi. Segue l’equipaggio composto da Lorenzo e Mario Turelli, a bordo della OM 665 SMM Superba del 1929. Nel pomeriggio a Occhiobello, in provincia di Rovigo, l’auto numero 39 con Paolo Nolli e Alberto Orioli su Fiat 520 torpedo è scivolata su un pendio fuori strada. I due sono usciti illesi dall’incidente: “Siamo stati fortunati, si è rotto lo sterzo e abbiamo perso il controllo. Per fortuna non c’erano alberi e non ci siano ribaltati”. Tanta paura, ma nulla di serio, mentre la corsa punta alla Capitale.