Oggi sono da tenere d’occhio più che mai, visto che non sono molto diffuse e il marchio giapponese è scomparso dall’Italia nel 2013. Copen, Feroza, Materia, Trevis: ecco un poker di modelli sui quali puntare prima che diventino “maggiorenni”.
Di solito quando un marchio chiude i battenti, o scompare dalla carta geografica italiana, è seguito dall’immancabile giaculatoria social – salvo scordarsene dopo qualche giorno. Le Daihatsu non sono più distribuite nel nostro Paese dal 2013, ma solo pochi appassionati sembrano rimpiangerle. La più antica Casa automobilistica giapponese (fondata nel 1907, dal ’99 è controllata dalla Toyota) ha detto sayonara allo Stivale in punta di piedi. Le ragioni sono più di una. La più evidente riguarda i numeri, appena 5.738 unità importate dal Sol Levante nel 2010, l’equivalente dello 0,3% del mercato. La seconda e la terza ne sono i presupposti: listino poco competitivo e modelli… così giapponesi! Per chi ne ama il formato mignon, lo stile postmoderno e fuori ordinanza, forse è il momento di togliersi uno sfizio. In ordine alfabetico, ecco un poker di youngtimer Daihatsu da riconsiderare e tenere d’occhio. Si sa mai…
Copen. Con quell’aria innocente da keicar decapottabile (non vi ricorda da vicinissimo la Mazda R360?), la Copen si conquistò i suoi tre minuti di celebrità e simpatia al Salone di Tokyo del 2001. In Italia arrivò nel 2004, ancora con la guida a destra e il piccolo, ma agguerrito bicilindrico turbo da 659 cc. Bisognerà aspettare un paio d’anni per vederla nel più europeo quattro cilindri da 1.3 litri e 87 cv. E il volante sul lato giusto. Piccola, è proprio piccolina: due posti secchi con bagagliaio da borsone, perché il resto dello spazio se lo fagocita il tetto rigido ripiegato. Oltre allo stile manga, il bello della Copen è la qualità dell’assemblaggio, effettuato quasi a mano in una fabbrica dedicata. Il prezzo era inversamente proporzionale alle dimensioni, purtroppo. Da noi uscì di scena alla fine del 2010, ma due anni più tardi si congedò definitivamente dal mercato europeo con la Copen 10th Anniversary, una serie limitata a 500 esemplari. È quella da cercare.
Feroza. Erede della Rocky, la Dahiatsu Feroza venne presentata nel 1989 per resistere fino al ‘98, in versione soft o resin top, allestimenti costantemente aggiornati. Mentre sul mercato americano la Rocky era dotata di un ampio ventaglio di motorizzazioni, da noi la Feroza è stata proposta nella sola versione 1.6 litri benzina 16 valvole. A carburatore e 86 cv fino al 1994, quindi a iniezione da 95 cv fino al 1998 quando fu sostituita dalla Terios. Sugli sterrati, i fuoristradisti hanno sempre lamentato la coppia motrice un po’ altina e la difficoltà di trovare la trazione integrale con riduttore già montato. Normalmente ne era sprovvista per evitare la relativa sovrattassa, ma è possibile installarlo nella versione Part Time, più off che urbana. La piccola 4x4 Daihatsu è stata un’alternativa alla Suzuki Vitara e, volendo, alla Toyota RAV4. Oggi, sul mercato dell’usato un esemplare in ottimo stato viene via poche migliaia di euro. Fra il ’92 e il ’93, Bertone utilizzò la Feroza come base per la Freeclimber 2, motorizzata BMW 1.6 316i e con carreggiate più larghe.
Materia. Piccola e parallelepipeda come una scatola da scarpe, è l’archetipo della MPV compatta per la famiglia giapponese. Che personalità, però! In Europa conquistò un suo pubblico di estimatori per il design, quasi provocatorio in tempi di stondature, parente della conterranea Nissan Cube. In più, vantava un buon rapporto qualità/prezzo e l’estrema manovrabilità in città grazie alle dimensioni compatte, le stesse di una vecchia Panda. L’ottimizzazione dello spazio, di pura scuola nipponica, è vincente anche negli interni: si sfrutta la massima abitabilità dei 1.640 mm di altezza, l’attento studio dei vani portaoggetti e i sedili posteriori scorrevoli e abbattibili, per aumentare la capacità di carico. Chi compra una Materia non lo fa per le prestazioni, dato il coefficiente aerodinamico da container. Il motore da 1.5 litri benzina se la cava egregiamente e non si beve più di 14 km/litro su percorso misto. E allora? Allora con la Materia non si passa mai inosservati.
Trevis. Il nome da “Dolce Vitas” e il design a metà fra il taxi londinese e la Mini, ma in scala ridotta e ai confini del plagio, consentirono alla Trevis una certa notorietà anche in Europa. La prima serie era riservata al Giappone dove la keicar era conosciuta con un nome buffo e italianeggiante: Mira Gino. Da noi sbarcò nel 2006, con la seconda serie. Spinta, si fa per dire, dal motore tre cilindri benzina EJ-VE da un litro e 58 cv, con trazione anteriore e cambio automatico a 4 rapporti, o manuale a 5 marce. A intrigare una clientela, soprattutto femminile, è stato anche l’ampio ventaglio di verniciature metallizzate che ricoprono le forme retrò della carrozzeria: argento, grigio ardesia, arancione, rosso e verde bottiglia. Così com’è, sembra già “più youngtimer” dell’età che denuncia.