La serie W140 rappresenta uno dei modelli più significativi della storia “moderna” del marchio Mercedes-Benz. Debuttava nel 1991 e, come le sue antenate, divenne il benchmark in materia di comfort, sicurezza e prestazioni: questa generazione di Sonderklasse, si caratterizzò per il ritorno del motore V12, il primo che la Casa di Stoccarda commercializzava dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Al Salone di Ginevra del 1991, Mercedes-Benz svelava la sua nuova ammiraglia: la terza generazione della Classe S. La lettera “S” stava per Sonderklasse (classe speciale), una tradizione perpetuata attraverso una lunga progenie di berline di lusso. Tuttavia nessun’altra Classe S riuscì a eguagliare l’imponenza ostentata dalla serie W140.
Il suo debutto fu accompagnato dal chiacchiericcio: dov’era finita la raffinata sobrietà della W126? La nuova nata appariva grande e goffa da ogni angolazione. In particolare, l’altezza e il volume posteriore suscitarono le perplessità più ricorrenti. In poco tempo anche questa serie riuscì a conquistare i favori del pubblico: la qualità raggiunse il suo zenit, rendendo questa Classe S l’archetipo dell’ammiraglia.
Soltanto la tragedia dell’Alma, il 31 agosto 1997 dove persero la vita Lady Diana Spencer e Dodi Al-Fayed, offuscò la sua immagine, votata interamente al prestigio e all’opulenza.
Deliri d’onnipotenza. La Mercedes-Benz Classe S W140 non era soltanto l’erede di una dinastia ma una dichiarazione di potenza, a tratti delirante, come le parate militari tanto care ai despoti di tutto il mondo. Dimostrazioni di forza guidate da una combinazione di arroganza e un latente senso di insicurezza che spinge ad ostentare il potere più di quanto sia necessario. Nel caso di Mercedes-Benz il nemico verso cui mostrare gli artigli era BMW. La rivale che a Stoccarda consideravano emergente, nel 1987 aveva presentato la serie 7 E32, un modello acclamato e sufficientemente “maturo” per rappresentare un pericolo per l’imperturbabile Mercedes-Benz Classe S. Fu un colpo significativo per un'azienda che ha sempre soddisfatto le proprie ambizioni incurante, fino a quel momento, della concorrenza.
Opulenta. Durante il suo decennale processo di sviluppo, la Classe S W140 passò gradualmente da un design aerodinamico e improntato all'efficienza, all’estrema raffigurazione di una corpulenta limousine. La nuova serie W140 doveva essere un'auto di rappresentanza, che celebrava in primis il prestigio del proprietario, che non era necessariamente l’autista. Idealmente si riallacciava all'impareggiabile 600 Limousine: la definizione contemporanea della superiorità automobilistica secondo Mercedes-Benz.
Il progetto venne avviato negli anni 80, quando l'economia rialzista e i livelli di ricchezza sfociarono in un piccolo boom economico e, in questo clima di esuberanza sibaritica, la Mercedes-benz Classe S W140 non avrebbe avuto ragione di far sfoggio della stessa sobrietà del modello precedente. Il team diretto da Bruno Sacco mirava originariamente a una forma che incarnasse l'efficienza aerodinamica piuttosto che la vera opulenza. Tuttavia, a metà degli anni 80, il brief progettuale virò con decisione. Anni dopo, lo stesso Sacco ammise apertamente di essere stato scavalcato dal dipartimento di ingegneria, il braccio armato dell’allora Presidente di Mercedes-Benz Werner Niefer: l’auto lievitò in tutte le sue dimensioni.
Pagata a caro prezzo. Sotto il lungo cofano anteriore si pensò addirittura di piazzare un motore V16, ottenuto con l’unione di due V8 della 500SE (W126), e il propulsore avrebbe avuto una cilindrata superiore ai 10 litri e una potenza di oltre 400 CV. Tutto ciò per giocare al rialzo contro la BMW 750i (E32) che per prima aveva alzato la posta in gioco con un motore V12: Mercedes doveva ristabilire la sua egemonia.
La messa a punto del motore 16 cilindri si rivelò improponibile e il progetto sforò il budget ripetutamente. Nel 1989 debuttava la Lexus LS400, un modello che creò non pochi grattacapi alle conclamate berline di lusso tedesche e americane. La nuova Mercedes-Benz Classe S venne quindi adattata per poter far sfoggio dei più recenti ritrovati tecnologici: a Stoccarda non avrebbero mai consentito che un’altra vettura potesse levare alla Sonderklasse lo scettro di regina del segmento. Gli aggiornamenti necessari portarono il costo del progetto a cifre nell’ordine del miliardo di marchi, un conto stellare che il management del gruppo Daimler mal digerì e che divenne il pretesto per licenziare il coordinatore del progetto Wolfgang Peter.
L’evoluzione. Al momento del debutto, la nuova ammiraglia era disponibile con motori a benzina con sei, otto e dodici cilindri che equipaggiavano rispettivamente le 300, 400, 500 e 600SE. Per tutte era disponibile la variante a passo lungo indicata con la targhetta “SEL” e l’indicazione V140 (Vorlangert, allungata) in luogo di quella ordinaria W140. Le potenze erano comprese tra i 231 CV della 300 e i 408CV della 600. Quest’ultima portò al debutto il motore V12 M120, la stessa unità di base che dal 1999 ha equipaggiato, con tutte le opportune modifiche, anche la Pagani Zonda e molte delle derivate AMG di alta gamma prodotte tra gli anni 1992 e il 1999. Inizialmente venne proposto un motore a gasolio, disponibile per il mercato nordamericano: si trattava del sei cilindri in linea della 300 SD (OM 603), capace di 150 CV. Il 3,5 litri diesel venne proposto anche in Europa ma non fu particolarmente apprezzato. I tempi non erano ancora maturi per la diffusione su larga scale delle ammiraglie a gasolio, ma nel 1996 la 300SD, ribattezzata "S350 Turbodiesel" venne rimpiazzata dalla più prestante 300 Turbodiesel (OM 606), con cilindrata di tre litri e 177 CV.
Nel 1993, con la nuova nomenclatura Mercedes, il segmento di appartenenza dei modelli venne indicato con delle lettere che indicavano le varie “classi”. Ad esempio la 500SE divenne S500, così come la 600SEL venne indicata come S600 Lunga e così via per tutti gli altri modelli.
Alla base dell’offerta, la 300 SE 2.8 (solo passo corto): un’indicazione che è durata meno di un semestre dato che gran parte degli esemplari con motore da 2.8 litri vennero indicati come S280.
Berlina paciosa. Nella Germania post riunificazione, la Mercedes-Benz Classe S W140 personificava, in modo del tutto inconsapevole, il Cancelliere Helmut Kohl: un abile uomo politico, anche lui dalla stazza importante e dall’aria bonaria, impegnato a conciliare due realtà, l’Est e l’Ovest agli antipodi. Nella W140 il dualismo riguardava l’engineering, perpetuato in maniera ossessiva dalla direzione di Werner Niefer, ma anche dall’elettronica che iniziava a muovere i primi passi divenendo sempre più presente e determinante per sancire l’egemonia tecnica e progettuale nelle vetture d’alta gamma. La Classe S portò al debutto un avanzatissimo (per l’epoca) impianto elettronico CAN-BUS, che governava le varie funzionalità operative del veicolo e quelle dei comfort di bordo.
Nonostante l’ipertrofia globale che contraddistinse l’intero ciclo vita della W140, diversi particolari indicati da Bruno Sacco contribuirono a stemperare le dimensioni con un aspetto ordinato e rassicurante. La proposta finale venne tracciata dal designer francese Oliver Boulay e risentì di una certa disarmonia tra i volumi anteriore e posteriore, evidenziata soprattutto dal montante C a filo con la fiancata e non scanalato come sulle coeve berline di segmento inferiore.
Simbolismo progettuale. Scomponendo i dettagli stilistici si può apprezzare un design di grande pregio: questa generazione di Classe S trasudava robustezza come poche altre. L’ideale del lusso secondo Mercedes era del tutto differente rispetto a quello che veniva espresso da un altro brand sinonimo di qualità assoluta, Rolls-Royce. Sull’Inglese l’opulenza era frutto dell'artigianato e dell'abbondanza di legni pregiati e pellami naturali lavorati con cura certosina, mentre sull’ammiraglia teutonica era l’espressione di una solidità durevole manifestata con l'uso dei materiali più appropriati, piuttosto che dei più nobili.
Le W140 presentavano, come sempre, un’accurata esecuzione degli assemblaggi. Sulla prima serie c’era poi una scelta ben precisa dei materiali, in virtù delle loro proprietà come il vetro dei fari, affinché potessero conservarsi puliti e brillanti.
Meriterebbero un discorso a parte le opzioni per l'allestimento interno: la W140 è stata l'ultima Mercedes a contemplare i rivestimenti in velluto, così come è stata la prima a offrire (con un cospicuo sovrapprezzo) gli inserti in marmo...
Le finiture in metallo anodizzato, delicatamente lucide, andavano in una direzione opposta rispetto alle sferzate di inserti in plastica cromata usati su molte auto di lusso attuali: il più ottuso e meno fantasioso cifrario per sottolineare uno status. Anche i finestrini, a doppio vetro, contribuivano all’ethos del modello sia in termini di isolamento acustico e climatico che di immagine, per il particolare effetto riflettente. Altre finezze progettuali riguardavano le astine metalliche estensibili, ai bordi del bagagliaio, per aiutare nelle manovre di parcheggio. Queste vennero sostituite dai sensori del Parktronic, disponibile con i modelli restyling, a listino dalla fine del 1994. La BMW Serie 7, già dal 1992, montava i sensori di parcheggio, un dispositivo che all’epoca era pura fantascienza, così come l’odometro elettronico in luogo di quello meccanico della Classe S.
Finezze esclusive. Questi particolari, che potevano sembrare anacronistici, rientravano nel retaggio “vecchia scuola” del pool ingegneristico che dettò la linea fino al progetto finale. Nel 1991, la Classe S era tra le pochissime auto con chiusura servoassistita delle portiere "Soft Close", operata mediante 16 motorini per porta che consentivano la chiusura senza dover accompagnare lo sportello a fine corsa. Un’altra finezza progettuale era la maniglia in metallo del cofano baule: una linguetta metallica che fuoriusciva solo allo sblocco del bagagliaio e che poi rientrava nel suo alloggiamento, rimanendo quindi sempre pulita. Persino il retrovisore interno era elettrico! Tutti esempi di un'integrità ingegneristica al limite del barocchismo che apparivano in un certo senso antiquati: l'era digitale era ormai dietro l’angolo. La Mercedes-Benz Serie W140 era figlia di una Daimler-Benz AG che si sarebbe indignata se qualcuno avesse osato associarla ad un altro brand dal lignaggio inferiore. Men che meno da un gruppo come l’americana Chrysler! Con l’uscita di scena di Niefer nel 1993 e della W140, nel 1997, la nuova direzione sotto la guida di Jurgen Schrempp dette vita all’alleanza teuto-americana sancendo la nascita del gruppo Daimler-Chrysler.
Fine di un’epoca. Il matrimonio tra Daimler e Chrysler indicava già nel nome la predominanza della trazione tedesca. La fusione non dette i risultati sperati e così, nel 2006 si giunse alla fine dell’intesa. Tuttavia, proprio in quegli anni vennero presentate alcune delle vetture più innovative della gamma Mercedes-Benz: modelli inediti che però fecero storcere il naso alla clientela storica della Stella, insofferente verso le economie di scala e ai trend che dettarono cambiamenti repentini nell’immagine e nei contenuti delle Mercedes del Terzo Millennio.
Con la W140 terminava l’epoca in cui l’ingegneria aveva la ragione sopra qualsiasi altro aspetto. Era evidente che stava venendo meno anche quella formalità austera che aveva caratterizzato la produzione Mercedes fino a quel momento: il momento in cui i manager di un mondo che si chiamava ormai “Villaggio Globale” si davano del tu e non del lei.