Mercedes-Benz 230 SL Pagoda (1965) - Ruoteclassiche
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14/05/2023 | di Redazione Ruoteclassiche
Mercedes-Benz 230 SL Pagoda (1965)
Al Salone di Ginevra di sessant’anni fa debuttava una delle sportive più iconiche della Casa tedesca: la SL W113, meglio nota col soprannome “Pagoda”. Capolavoro dello stilista Paul Bracq, nasce con un sei cilindri di 2.3 litri da 150 CV, per adottare poi un 2.500 e infine un 2.800 da ben 170 CV. Ancora oggi è la spider più amata della Stella
14/05/2023 | di Redazione Ruoteclassiche

Come nascono i capolavori? George Sand, pseudonimo della scrittrice francese Aurore Dupin, li definisce acutamente come dei tentativi riusciti. La Mercedes-Benz SL W113, meglio nota come “Pagoda”, è senza dubbio uno di questi. A darle forme che non paiono risentire del tempo fu Paul Bracq, talentuoso designer nato a Bordeaux nel 1933 ed entrato in Mercedes nel 1957.

Nuova scocca. Alla nuova SL, autentica protagonista al Salone di Ginevra del 1963, era affidato il compito, tutt’altro che semplice, di sostituire al contempo la piccola 190 SL e la raffinata 300 SL Roadster. Il progetto era stato approvato da Fritz Nallinger nel 1958; quale base di partenza fu scelto il pianale della W111 (la “Codine”), introdotta nel 1959, ma con passo accorciato da 2.750 e 2.400 mm, la stessa misura delle precedenti SL. Nello sviluppo della nuova scocca gli “attori” principali furono Karl Wilfert, Friederich Geiger, Béla Barényi, uno dei massimi esperti in materia di sicurezza passiva, e Paul Bracq. Quest’ultimo propose un disegno caratterizzato da linee tese, basse; nulla di particolarmente innovativo o in netta rottura col passato.

Il “nodo” del tetto. Tuttavia, la mancanza di ornamenti, i cerchi ruota da 14” (sulla 190 SL erano da 13”) e i ridotti sbalzi conferivano alla vettura un aspetto moderno. Decisamente avanzata era la struttura della scocca, che Barényi volle con ampie zone anteriori e posteriori ad assorbimento d’urto, secondo quanto già sperimentato con la berlina W111; la W113 divenne così la prima sportiva con carrozzeria a deformazione programmata. L’elemento più controverso fu l’hardtop, come ricordato dallo stesso Bracq.

Efficace scelta stilistica. Alla fine, venne definito un padiglione asportabile (46 kg) molto solido, caratterizzato da un’ampia superficie vetrata, alto sui fianchi (per agevolare l’accesso all’abitacolo) e con la zona centrale del tetto più bassa, in modo da ottenere un profilo concavo; tale scelta stilistica da un lato abbassava otticamente l’altezza della vettura e dall’altro garantiva un migliore smaltimento dell’acqua. Proprio in virtù di questa particolare forma con gli spigoli curvati verso l’alto, che ricordava le coperture di molti edifici orientali, Karl Wilfert assegnò alla nuova SL il soprannome “Pagoda”.

Cx non ottimale. Nonostante le apparenze, il Cx della W113 non era certo tra i migliori: 0,51, dato che scendeva a 0,48 con la capote chiusa, un risultato deludente considerando che la 190 SL faceva segnare 0,46. Per garantire un’ineccepibile tenuta di strada, nell’ottobre del 1962 venne deciso di equipaggiare la “Pagoda” con pneumatici radiali 185 HR14, forniti dalla Continental e dalla Phoenix. Dopo alcune settimane di continui test per mettere a punto le sospensioni, lo staff tecnico guidato da Rudolph Uhlenhaut ottenne i miglioramenti auspicati. In particolare, i nuovi pneumatici, caratterizzati da fianchi poco cedevoli, consentivano di raggiungere velocità più elevate in curva e garantivano al pilota un feedback più immediato.

Prestazioni eccellenti. La W113 vantava un modernissimo impianto frenante sdoppiato e servoassitito composto da dischi Ate (pinze prodotte su disegno Girling) da 253 mm di diametro all’avantreno e da tamburi Alfin da 230 mm al retrotreno. Sotto il cofano si celava il motore “M127 II”, un 6 cilindri in linea di 2.281 cm3 (da cui il nome 230) da 150 CV, alimentato da un impianto a iniezione meccanica Bosch, il quale assicurava un’erogazione incredibilmente fluida fin dai regimi più bassi. Il cambio era manuale a 4 marce, ma a richiesta erano disponibili la trasmissione automatica a 4 rapporti e, dal gennaio del 1966, un manuale a 5 marce. La 230 S” si rivelò da subito un successo, divenendo una vera best seller in virtù delle linee indovinate e delle prestazioni eccellenti. Nel 1967 la 230, dopo 19.831 esemplari prodotti (di cui 4752 destinati al mercato Usa), cedette il posto alla 250, mossa da un 6 cilindri in linea di 2.496 cm3 (M129 III) che erogava sempre 150 CV, ma contraddistinto da una coppia del 10% superiore a quella fornita dal 2.300 (22 kgm anziché 20).

La 250 durò poco. La novità di maggior rilievo fu l’adozione dei freni a disco anche al retrotreno (diametro 279 mm); i dischi anteriori aumentarono di diametro, passando da 253 a 273 mm. Il 2.5 litri perdeva però in briosità di funzionamento e in rapidità nel prendere i giri. Forse anche per questo durò poco: nel gennaio del 1968 la 250 fu sostituita dalla 280, equipaggiata con un 2.8 litri (per la precisione 2.778 cm3, sigla M130), da ben 170 CV. Non era grintoso come il 2.300, ma la maggior potenza si faceva apprezzare. All’inizio del 1971 la W113 uscì di scena; le nuove normative americane per la sicurezza ed il contenimento delle emissioni imponevano vetture con scocche sovradimensionate da un lato e con motori più potenti e meno assetati dall’altro. Era il momento della R107.

(Massimo Delbò)

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