Intendiamoci: oggi non si festeggia la macchina. Ma il film che l’ha resa una star (anche se, a onor del vero, era già stata in TV grazie alla serie poliziesca anni 70 Starsky & Hutch), uscito in Italia proprio il 13 marzo del 2009.
La pellicola di 14 anni fa, interpretata e diretta da Clint Eastwood, portava sul maxischermo, un razzista che ce l’ha col mondo intero. Questo disagio, viene rappresentato con una metafora: la cura maniacale che Walt Kowalski, il personaggio di Eastwood appunto, ha per la propria coupé fiammante. Una Gran Torino Sport verde del 1972.
Ma cos’era, questa Gran Torino? Semplicemente la versione muscle car della Torino, la media di casa Ford di fine anni 60 (un modello declinato in tutte le versioni di carrozzeria: da berlina a station, passando per la cabrio). Il nome? Un colpo di genio del marketing. Ci voleva qualcosa che facesse pensare a un prodotto di qualità quasi sartoriale. E così a qualcuno venne l’idea di chiamarla con il primo nome italiano che poteva venire in mente a uno del Michigan. Ovvero Torino, la Detroit d’oltreoceano.
Ma mentre la Torino prevedeva anche motorizzazioni a 6 cilindri in linea di cilindrate risibili (perché per gli Stati Uniti del tempo, 3.100 cc era roba da utilitarie), la versione più muscolosa montava un 7.500 cc ovviamente V8. La caratteristica di questa palestrata, prodotta da chi la muscle car l’aveva inventata con la Mustang, era di essere soprattutto confortevole. Per questo motivo, il telaio a longheroni su cui veniva appoggiata la carrozzeria (non esattamente una soluzione all’avanguardia) veniva venduto come il trucco più efficace per mettere un po’ di distanza tra strada e sedili.
Nonostante sia finita più volte sotto i riflettori (recita anche in un Fast & Furious), la ragione del non decollo, in termini di valore (in Usa si trova perfetta anche a meno di 25mila euro), è colpa del suo peccato originale: arrugginiva a vista d’occhio (i report dell’epoca dicevano che nelle aree nevose degli States le fioriture comparivano anche prima dei 5 anni di vita della macchina). Ah sì, poi c’era anche la verniciatura che si pelava. Ecco spiegato il cattivo umore del protagonista del film…