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Cent’anni fa l’attentato di Sarajevo, la miccia della Grande Guerra

Esattamente cent’anni fa, il 28 giugno 1914, veniva ucciso in un attentato l’arciduca Francesco Ferdinando. E l’episodio divenne il casus belli per dare formalmente inizio alla prima guerra mondiale. La vettura dell’assassinio, oggi in un museo di Vienna, è diventata l’emblema delle auto che hanno in qualche modo cambiato la storia…

Auto maledette? Forse no, ma abbastanza da essere associate dalla cronaca a grandi drammi collettivi, se non addirittura a immani tragedie della storia. Ne è un esempio la Lincoln “Continental” del 1961, sulla quale il 22 novembre 1963 viene ucciso a Dallas John Fitzgerald Kennedy. Per certi versi, ancora di più lo è la Gräf & Stift “Bois De Boulogne” del 1911 sulla quale esattamente cent’anni fa, il 28 giugno 1914, a Sarajevo, è assassinato l’arciduca Francesco Ferdinando, evento questo assunto dal governo di Vienna come casus belli per dare inizio formalmente alla prima guerra mondiale, un conflitto che mobilita 70 milioni di uomini e causa la morte di oltre 9 milioni di soldati e 5 milioni di civili.

L’attentato è messo in atto da sette giovanissimi cospiratori, tutti sotto i vent’anni, inesperti con le armi quanto decisamente poco avvezzi all’azione: basti pensare che prima dei colpi fatali che causano la morte dell’erede al trono d’Austria-Ungheria e della sua consorte Sofia Chotek, uno di loro – Mehmed Mehmedbašic – appostatosi ai piani alti di un palazzo decide di non sparare perché non ha bersaglio libero all’arrivo del corteo di sette vetture; un secondo attentatore – Nedeljko Cabrinovic – lancia una bomba contro l’auto di Francesco Ferdinando, ma distrugge la vettura immediatamente dietro. Cabrinovic inghiotte una pillola al cianuro e si getta nelle acque profonde solo 10 centimetri del fiume Miljacka, senza peraltro riuscire né ad avvelenarsi (la pasticca è troppo vecchia e con un dosaggio troppo basso) né tantomeno ad affogarsi, e viene quindi immediatamente catturato.

Tutti gli altri cospiratori lasciano la scena, convinti chi di avere effettivamente ucciso l’arciduca, chi di avere perso, nel caos dell’esplosione, le ultime chance per portare a compimento il piano. Solo per un caso fortuito, un terzo attentatore – Gavrilo Princip – uscendo da un negozio di alimentari nei quali si è rifugiato, vede l’auto di Francesco Ferdinando compiere una manovra nei pressi del Ponte Latino. Si avvicina al lato destro della vettura ed esplode due colpi con una pistola Browning calibro 7,65; il primo trapassa la fiancata del veicolo e centra Sofia all’addome; il secondo raggiunge l’arciduca al collo, poco sopra il giubbetto antiproiettile. La storia cambia nel modo drammatico che noi tutti conosciamo. Ma anche l’automobile dell’attentato si ammanta di tragedia, facendo fiorire attorno all’esemplare oggi custodito all’Heeresgeschichtliches Museum di Vienna una leggenda che parla di morti violente e orrendi incidenti, uno dei quali si dice sia costato al guidatore la perdita del braccio destro. Molto probabilmente leggende e nulla più, sufficienti però a conferire alla vettura la reputazione di auto maledetta.

Poco si sa delle sue caratteristiche tecniche: l’esemplare dell’attentato, carrozzato “double phaeton”, è di proprietà del conte Franz von Harrach, anche lui a bordo con l’arciduca in quel funesto giorno, e monta un motore a 4 cilindri da 32 cavalli. La vettura era stata costruita dalla Gräf & Stift, azienda viennese di auto, camion e autobus fondata nel 1902 da tre fratelli – Franz, Heinrich e Karl Gräf – e da Wilhelm Stift, rimasta in vita fino al 2001 come sussidiaria della Man. Un’ultima curiosità riguarda la targa originale – “A III 118” – in cui più di un amante del mistero ha voluto leggere la data dell’armistizio di Compiègne che pone fine alla Grande Guerra, l’11-11-18, come a sottolineare l’oscuro incrocio del destino tra quella sinistra automobile e la storia del mondo.

Dario Tonani

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