Si è conclusa nelle scorse ore la tavola rotonda dedicata Pio Manzù, il geniale designer bergamasco autore dell’iconica Fiat 127, un modello rivoluzionario per il colosso torinese che proprio quest’anno festeggia i suoi primi 50 anni.
Nel mondo chiuso e verticalizzato della Fiat di metà anni 60, non dev’essere stato facile per un innovatore come Manzù relazionarsi con certe dinamiche dal retrogusto burocratese e al limite del parodistico. Eppure il giovane designer riuscì a cambiare le carte in tavola. Sicuramente il contesto familiare, in cui la cultura rappresentava un valore fondamentale e imprescindibile, gli ha consentito di maturare una visione tridimensionale, in cui non vi era soltanto il progetto in sé da portare a termine ma un contesto più ampio da analizzare e, ove possibile, rivoluzionare. La Fiat 127 andò esattamente in questa direzione. Parafrasando Luciano Galimberti (Presidente dell’Adi, l’Associazione per il Disegno Industriale), la 127 rappresenta una corrispondenza specifica di Manzù nell’approccio per la creazione di una nuova berlina media per la Fiat.
I relatori. Ma procediamo con ordine, al convegno di stamane hanno presenziato Mariella Mengozzi, Direttore del Mauto e Benedetto Camerana, Presidente del Mauto mentre Giosuè Boetto Cohen, curatore della mostra “Che macchina!”, è stato il mattatore del dibattito. Il giornalista ha dichiarato: “Questa mostra vuol essere innanzitutto un evento di buon auspicio, un primo passo verso la fine di questo periodo, ma è anche l’occasione per omaggiare ufficialmente un grande protagonista del design italiano rimasto nel cuore di tutti coloro che l’hanno conosciuto. Sono rimasto sorpreso della stima incondizionata di cui godeva Manzù”.
La conferenza ha visto l’intervento di: Giacomo Manzoni (figlio di Pio Manzoni, in arte Manzù), Luciano Galimberti (Presidente dell’Adi), Sara Fortunati (Direttore Circolo del Design Torino), Rodolfo Gaffino Rossi (ex Direttore Mauto ed ex collaboratore dell’Arch. Rapi negli anni in cui venne sviluppata la 127), Roberto Giolito (Head of Heritage Stellantis). Sotto forma di contributi video, anche Giovanni Anceschi e Giorgetto Giugiaro hanno raccontato il loro ricordo di Pio Manzù.
Il ricordo di Anceschi e Giugiaro. Manzù non era “uno come gli altri”. Giovanni Anceschi, designer ed ex compagno di studi durante la formazione alla Hochschule für Gestaltung di Ulm (Scuola di Progettazione) lo descrive come un personaggio unico, dotato di una sensibilità e di una capacità interpretativa fuori dall’ordinario. “Se non ci fosse stato, avremmo una vita diversa”.
Nel video di Giorgetto Giugiaro, il “Designer del Secolo”, con ammirazione, ha puntualizzato come negli anni 60 Manzù fosse l’unico ad essere preparato per diventare un esperto a tutto tondo nel design. Il suo era un approccio utilitaristico che prendeva in considerazione molteplici aspetti del contesto in cui avrebbe viaggiato il veicolo.
Gli occhi vivaci di Pio. Il Presidente del Mauto, Benedetto Camerana ha raccontato invece della sua prima auto, una Fiat 127 Sport, citando poi un ricordo della sua infanzia legato proprio al designer bergamasco: “Pio Manzù era molto amico di mio padre Oddone, responsabile per lunghi anni della Pubblicità e Immagine Fiat. Lo ricordo spesso a casa, io appena un bambino, ma rimasi colpito dalla sua intelligenza veloce, gli occhi vivaci dietro i grandi occhiali”. Una raffigurazione, quasi pittorica di Manzù, ritorna nelle memorie di Dante Giacosa, nel volume “I miei 40 anni in Fiat” citate in alcuni passaggi da Boetto Cohen.
Tra gli interventi del pubblico, c’è stato quello di Paola Gribaudo, Presidente dell’Accademia Albertina di Torino che, sul palco della Sala Convegni del Mauto, ha ricordato con grande affetto Pio e il padre Giacomo Manzoni.
La passione per la fotografia. Giacomo Manzoni era molto piccolo quando suo padre, Pio Manzù, venne a mancare (a soli 30 anni) ma tra le memorie d’infanzia, lo ha ricordato così: “Era un giovane molto curioso. Aveva sempre dietro la macchina fotografica, un po' come oggi si fa con i cellulari. Lo strumento fotografico era fondamentale, voleva sempre immortalare i momenti e i dettagli. Quando andava ai Saloni dell’Auto fotografava solo i particolari”.
Innovatori si diventa. Luciano Galimberti nota come questo aspetto del Manzù “privato” si sia espresso nel suo approccio al design, inteso a livello globale: con lo stile che procede di pari passo al progetto.
La visione a 360 gradi derivava sia dal background familiare (personaggi del calibro di Ungaretti, Montale, Quasimodo e Morandi erano degli habitué di Casa Manzoni) e sia dalla formazione ricevuta alla Scuola di Ulm. Come spiega Sara Fortunati: “Io credo ci sia una falsa mitologia sull’essere innovatori, si studia e ci si forma per diventarlo. In tal senso la figura di Manzù è esemplare ed emblematica”.
I dogmi della Fiat. Rodolfo Gaffino Rossi ha sottolineato la portata innovatrice di Pio Manzù in un contesto in cui le “tradizioni”, o meglio, certi retaggi culturali sembravano irremovibili come dogmi. Puntualizza: “Nulla è impossibile, ricordatevelo.”
La 127 traghettò la Fiat dalla produzione delle piccole berline, a due porte e con motore posteriore, a quello delle compatte di concezione moderna. E prosegue: “Manzù mi fece notare che alcune scelte stilistiche erano pensate per semplificare la produzione. Con l’avvento della 128 e poco dopo della 127, Fiat raggiunse l’apice in termini di produzione”. Roberto Giolito, ex Direttore del Centro Stile Fiat aggiunge: “Lo stile imperante negli anni 70, con le sue linee geometriche era propedeutico alle tecnologie industriali dell’epoca, improntate a massimizzare i processi produttivi”.
La terza porta. L’architettura della Fiat 127 rivoluzionava completamente il concetto di berlina; Galimberti ricordando alcuni aneddoti familiari, con protagoniste proprio la Fiat 850 del nonno e la 127 della madre, ha posto l’accento sull’idea di modernità intesa come gestione migliore dello spazio. La Fiat 127 offriva un abitacolo più ampio e spazioso, senza contare i vantaggi in termini di facilità di guida e controllo derivanti dallo schema “tutto avanti” con motore e trazione anteriori.
Interessante pure la questione del portellone, “la terza porta” a lungo osteggiata dai progettisti Fiat (a cominciare dall’Ing. Bono). Fino agli anni 60 era infatti una prerogativa delle auto da lavoro, mentre il classico baule e la carrozzeria a tre volumi donavano alle auto, comprese quelle più economiche, un’immagine più borghese.
Al debutto, la 127 venne infatti presentata con il baule con cofano in lamiera e lunotto fisso e solo dal 1972 venne proposta con il più pratico portellone: una soluzione che in Fiat venne sdoganata a partire da questo modello, capace di totalizzare oltre cinque milioni di esemplari, configurandosi come uno dei maggiori successi della Casa torinese.
La mostra. La retrospettiva, visitabile fino al 5 settembre si compone di sei Fiat 127: due esemplari della prima serie, la Rustica, la Sport, la Top, la Panorama a cui si aggiunge la concept car City Taxi realizzata nel 1968 sulla base della Fiat 850. Ad accompagnare le auto, ci sono i disegni originali dell’Autonova FAM del 1964, una piccola monovolume e la sua versione GT. Altro progetto di Manzù è l’Autobianchi Coupé, di cui è presente un modello in scala. Insieme alle vetture, ci sono alcuni oggetti di industrial design realizzati da Pio Manzù: dalla lampada Parentesi, vincitrice premio Compasso d’Oro (1979) a Cronotime, il primo orologio a transistor. Non mancano poi il portaoggetti Kartell e il parchimetro sviluppato nell’ambito della comunicazione, improntato alla leggibilità e visibilità ottimale della segnaletica e delle infrastrutture urbane. In esposizione anche diversi disegni e schizzi originali, filmati dell’epoca e interviste ai grandi esponenti del design italiano.