Simpatica e senza pretese di aggressività, la Punto Cabrio nacque quando il fenomeno delle piccole con la capote stava ormai per tramontare. Ma seppe rivelarsi riuscita e ben fatta e, con il motore giusto, merita un pensierino ancora oggi.
Giugno 1994. In un’Italia ancora squassata dallo shock di Tangentopoli e già pronta a tuffarsi nella Seconda Repubblica, spira un vento di crisi che sembra aver definitivamente soffiato via certi patinati ricordi degli anni Ottanta. Come le cabriolet non troppo impegnative, per esempio.
Senza il tetto c’è più gusto. Perché il decennio della Milano da bere non ha partorito solo le prime 4x4 di grande serie (indispensabili per andare a Courma), le turbo di tutte le misure (con le taglia S che, diversamente che in altri ambiti, piacevano parecchio) o le station Volvo (regolarmente intatte dopo incidenti che accartocciavano la controparte). No, era fiorita anche una pletora di ex-berline private del tetto e arricchite di fascino: una tal Peugeot 205 CT (che poteva anche guadagnare una I e farsi ancor più attraente), l’evergreen Golf (l’unica in grado di raccogliere l’eredità del Maggiolone) e perfino la Ritmo (declinata fra l’altro in un’incredibile versione Palinuro bicolore).
I tempi cambiano… Nella prima metà degli anni Novanta tutto ciò sembrava già preistoria. Rover aveva da poco tirato fuori l’unica scoperta ufficiale costruita sulla prima Mini e un’improbabile 100 con la capote, giusto per completare il quadro, ma si trattava di eccezioni. Le altre proposte per viaggiare a cielo aperto erano tutte più ampie e si chiamavano Ford Escort, Opel Astra e Peugeot 306, con quest’ultima che si rivelò forse l’unica a raccogliere un certo apprezzamento in Italia.
Non c’è trucco, non c’è inganno. Quindi, perché mai a Torino qualcuno pensò di “aprire” la più popolare e venduta del listino? Forse quando il progetto era in elaborazione si pensava già ai lanci di Coupé e Barchetta (anch’esse presentate, guardacaso, nel 1994), cioè a una sottogamma di Fiat “per divertirsi” come negli anni Sessanta, i bei tempi della 850 coupé e spider. Eppure, prima d’allora un’italiana di segmento B non si era mai spogliata così, coprendosi solo di un tetto in tela senza neppure cambiarsi il muso, i paraurti o i cerchi, senza giocare a sembrare più sportiva.
Non c’è molto da scegliere. In quel giugno 1994 la Punto Cabrio debuttava, semplicemente, come la versione scoperta dell’utilitaria più venduta d’Europa. Un po’ a sorpresa e senza troppe velleità. Niente versione GT, riservata alla tre porte, ma due soli motori pescati quasi agli estremi dell’offerta del tempo: il 1.242 da 58 cavalli della Punto 60 (perché qualcuno ebbe il buon cuore di evitare lo smunto 1.108 della 55, molto più a suo agio su una Cinquecento Sporting) e il 1.581 da 88 della Punto 90, non aggressivo però generoso di coppia, oltre che rasserenante nella sua basica affidabilità da vecchio morbido ottovalvole. Il 1.2 era associato all’allestimento S (con la caritatevole aggiunta dei paraurti in tinta, ma sempre privo di cerchi in lega e fendinebbia), il 1.6 all’ELX (che concedeva invece il brivido degli interni in velluto e del contagiri).
Un taglia e cuci da maestro. Il cambiamento estetico più incisivo, comunque, restava concentrato nella coda: tagliare via i montanti dall’innovativa economia delle forme concepita da Giugiaro, significava eliminare anche gli scenografici fanali (tutt’altro che “ini”) posteriori. Cioè la caratteristica più interessante della berlina. L’operazione avrebbe potuto risolversi in un disastro (e regalare alla Punto la grazia di una Citroën Visa Décapotable, altro “capolavoro” anni Ottanta), ma fu gestita con simpatia ed efficacia. Il che, complice la buona qualità costruttiva legata alla produzione appaltata a Bertone, fece della piccola Fiat una scoperta onesta e riuscita.
Quel motore è una favola. Nel 1997, l’unico restyling rinnovò la tavolozza delle vernici e i tessuti degli interni, ma soprattutto introdusse il nuovo Fire a 16 valvole, un 1.2 da 86 cavalli decisamente più brillante ed economo del 1.6 che sostituiva, con una particolarità nella distribuzione: uno dei due assi a camme non era mosso dalla cinghia dentata, bensì da un ingranaggio che lo collegava all’altro all’interno alla testata, riducendo gli ingombri.
Un’occasione sprecata. Oggi la Punto Cabrio 85 16v è la versione da cercare. Anche perché non si segnalano altre novità di rilievo fino all’uscita di produzione, avvenuta a febbraio 2001, quasi due anni dopo il debutto della berlina di seconda generazione. Nel frattempo, nel 1999, Pininfarina aveva provato a proporre una versione coupé-cabriolet del nuovo modello, ma l’idea rimase allo stadio di prototipo. Chi la sviluppò? Ovviamente Peugeot (chi altri sennò), con la 206 CC. E cominciò l’era del tetto rigido retrattile.