Nel 1925, nel nuovo stabilimento del Lingotto, la Fiat lanciò la 509, vettura destinata a segnare una svolta nella mobilità italiana. Non una semplice evoluzione della 501, ma un progetto ambizioso, concepito per la produzione in serie, capace di portare su strada un motore moderno derivato dal mondo delle corse, mantenendo costi ridotti e prezzi accessibili. Ulteriore novità fu, per la prima volta la possibilità di finanziamento direttamente tramite Fiat (oggi Stellantis financial services).
Una meccanica all’avanguardia
Il cuore della 509 era il motore Tipo 109, un quattro cilindri da 990 cm³ con architettura a valvole in testa inclinate. Questa soluzione, mutuando l’esperienza dai Gran Premi degli anni 20, ottimizzava il rendimento volumetrico grazie a valvole più grandi e camere di combustione compattate attorno alla candela. La distribuzione invece, a differenza delle auto da corsa, era comandata da una doppia catena Morse con rinvio eccentrico montata posteriormente. Anche il magnete d’accensione era posizionato sul retro del blocco motore per mantenerne l’ordine estetico, scelta molto in voga nel periodo, ma che penalizzò praticità e accessibilità durante la manutenzione.
Pregi e difetti
La complessità fu un doppio taglio: da un lato un guadagno prestazionale inusuale in una vettura popolare, dall’altro un’incidenza sui costi e qualche fragilità strutturale. Altra nota di merito fu l’applicazione dei freni su tutte e quattro le ruote, di serie. La lubrificazione forzata, progettata per il supporto dell’albero motore su soli due cuscinetti principali (con un terzo aggiunto solo per supportare la distribuzione), risultò spesso insufficiente, portando a grippaggi su bielle e cilindri. Il carburatore, posizionato inizialmente lontano dalla testata, lungo un tratto esposto a calore, provocava riscaldamento e detonazione della miscela: un difetto risolto nella versione 509A, che introdusse una testata ridisegnata, migliore lubrificazione e nuove valvole. Sul piano tecnico, la 509 offriva una meccanica semplice, ma robusta: freni a tamburo su tutte e quattro le ruote (innovazione rara nel segmento), cambio manuale a tre marce, trazione posteriore e sospensioni a balestra non indipendenti.
Il successo
Nonostante queste fragilità, la Fiat 509 si affermò come un’auto "popolare" di grande successo. Tra il 1925 e il 1929 furono prodotti circa 90 mila esemplari nello stabilimento del Lingotto, che divenne il simbolo dell’industrializzazione Fiat. Le versioni disponibili spaziavano dalla berlina alla torpedo, dalla spider alle sportive 509 S e 509SM, oltre a varianti taxi e commerciali. Il suo successo di vendite stava proprio nella sintesi tra costi contenuti e tecnologie avanzate, sebbene alcune soluzioni fossero state adottate prima del tempo. I problemi di manutenzione e rumorosità riscontrati dai proprietari iniziali furono affrontati e mitigati con la 509A, che consolidò la reputazione del modello. La sua importanza nel panorama automobilistico italiano fu tale che ne vennero addirittura prodotte delle versioni a pedali per bambini.
Le corse
Il riscontro più significativo arrivò nel 1928, quando la 509 divenne la prima auto italiana a vincere il Rally di Monte Carlo. Il gentleman driver Jacques Bignan con la vettura n. 24 partendo da Bucarest si aggiudicò il gradino più alto del podio, al secondo posto si classificò un altro equipaggio su Fiat 509 condotto da P. Malaret col n.1. Una doppietta che dimostrò la sorprendente affidabilità e resistenza di un modello pensato per l’uso quotidiano, non per le corse, anche se le regole della gara erano ben diverse da quelle a cui i più sono abituati. La Fiat 509 fu molto più di un’auto economica: fu un banco di prova dell’industria automobilistica italiana, dove coesistevano intuizioni da corsa, scelte di produzione in serie (seguendo le orme della Ford model T) e ambizioni di estetica. Attraverso i suoi limiti, la 509 contribuì a gettare le basi per un’era in cui l'automobile poteva diventare un bene per tutti e grazie alle sue scelte tecniche all’avanguardia fu un salto in avanti, forse, troppo audace (la distribuzione ad albero a camme in testa su una vettura di fascia bassa verrà adottata solo 12 anni dopo, sulla Fiat Nuova Balilla 1100).