Cara vecchia Lancia Fulvia: costruita in 192.000 esemplari tra il 1963 e il 1972, è stata la vettura di famiglia di molti di noi. La serie più numerosa è la 2C (due carburatori), introdotta nell’autunno del 1964 allo scopo di affiancare un modello più brioso alla pigra versione a un carburatore, presentata l’anno prima. Gli esemplari costruiti, fino al 1969, furono 48.266. La vocazione di auto elegante la destinava a una borghesia ricercata, ma non abbastanza abbiente da permettersi la Lancia Flavia.
Cinque posti comodi. Nonostante fosse lunga poco più di quattro metri, secondo i canoni dell’epoca i cinque posti erano comodi e il baule ampio: una vettura ideale per i padri di famiglia. Aggiungendo le 65.000 lire richieste per l’autoradio, nell’estate 1965 si poteva partire per le vacanze ascoltando “Il mondo” di Jimmy Fontana, “Il silenzio” di Nini Rosso o “Ciao, Ciao” di Petula Clark. “Quelli che oggi stipano monovolumi e Suv si stupiranno, ma con la Fulvia si andava al mare in cinque, con i bagagli per tutti e tenendo la televisione tra le gambe”.
Esemplare del 1967. A rievocare i viaggi con la Fulvia di papà è il proprietario dell’esemplare del 1967 protagonista del nostro servizio, Giovanni Maggioni: “La nostra Fulvia fu acquistata nuova da mio padre che, dopo dodici anni di uso, decise di fermarla. Nel 1995, fui costretto a decidere cosa farne e non ebbi il coraggio di rottamarla”. Con l’intento di conservare quanto più possibile, Maggioni procedette a un restauro durato due anni. “Ho salvato tutte le parti cromate che, essendo abbastanza sane, sono più belle con la patina del tempo, piuttosto che rilucenti”. Nessuna difficoltà per sistemare la meccanica, al contrario della carrozzeria, come spiega Maggioni: “La Fulvia era corrosa in alcuni punti e ho quindi preferito mettere a nudo tutta la lamiera, sostituire i sottoporta e riverniciarla completamente”.
Restauro impegnativo. Il costo di sette milioni di lire eccedeva il valore dell’auto: “È vero - ammette Maggioni - nel 1996 la Fulvia valeva solo due milioni di lire; tuttavia, furono soldi spesi bene, innanzi tutto per il valore affettivo della Fulvia”. Per non sostituirli, Maggioni mise a punto un sistema per ricucire i rivestimenti originali dei sedili: “Con tanta pazienza, aghi, filo e uncinetto”. Tornata su strada, la “Fulvia” si è rivelata esattamente come un tempo: un’auto comoda e sicura, originariamente all’avanguardia, grazie alla carrozzeria portante - composta di 456 parti in lamiera stampata - e ai quattro freni a disco. Il progetto, diretto dall’ingegnere Antonio Fessia, rifletteva le moderne scelte da lui già adottate per la Flavia del 1960: monoscocca, trazione anteriore.
Caratteristiche tecniche. Tutta la meccanica era raggruppata su un telaio ausiliario, collegato alla scocca attraverso sei appoggi muniti di silentblock. Su questo telaietto poggiavano il motore, il cambio, la frizione, il differenziale (un Gleason Hypoid), il radiatore, sospensioni anteriori e sterzo. Il motore superquadro (72x67 mm) di 1.091 cm³, allo scopo di ridurne l’ingombro in altezza, era inclinato di 45° sulla sinistra; pur restando fedele alla tradizione Lancia dei quattro cilindri a V stretto, adottava un albero su tre supporti e un’inedita quanto originale distribuzione con due alberi a camme in testa.
Classe da vendere. L’identità della “Fulvia” era tipicamente Lancia: un modello di cilindrata contenuta con qualità, classe e dotazioni da vettura di rango superiore. La prima serie fu presentata al Salone di Ginevra del 1963; i suoi 58 CV consentivano una velocità di punta di 138 km/h, ottima per una 1100. Il peso di 1.030 kg penalizzava però l’accelerazione. Per accontentare la clientela, al Salone di Torino del novembre 1964 apparve la Lancia Fulvia 2C, con potenza cresciuta a 71 CV. Tale incremento era dovuto all’adozione di due carburatori (da cui la sigla identificativa del modello), all’aumento del rapporto di compressione (portato da 7,8:1 a 9:1) e al nuovo collettore di aspirazione.
I distinguo della 2C. Altre modifiche riguardarono il filtro dell’olio a sostituzione rapida integrale, il comando della frizione (di tipo meccanico flessibile anziché a tiranteria rigida), i rapporti al cambio, il rapporto al ponte, la scatola dello sterzo (meno rapportata) e l’impianto frenante (nuova pompa con serbatoi di alimentazione separati). Inoltre, per migliorare la silenziosità di marcia e ridurre le vibrazioni furono rivisti gli attacchi tra il motore e il telaio e tra quest’ultimo e la scocca. I due Solex doppio corpo non erano di facile taratura e molti clienti acquistarono aftermarket il kit di carburatori proposto dalla Dell’Orto.
La prova su strada. Sul numero di giugno del 1965 Quattroruote pubblicò la prova su strada della 2C, della quale erano già state anticipate delle impressioni nel fascicolo dedicato al Salone di Torino, nel novembre 1964. La 2C costava di listino 1.365.000 lire, ben 140.000 lire in più rispetto alla Fulvia a singolo carburatore, prezzo giudicato un po’ elevato. Altri difetti riguardavano la pedaliera disassata e la rumorosità meccanica elevata. Sul versante delle prestazioni, la velocità massima aumentava di circa 8 km/h (6%), l’accelerazione migliorava di circa il 10%, mentre la ripresa poteva considerarsi invariata. A fronte di tali risultati il consumo diminuì, venendo considerato proporzionato alle prestazioni.
I trascorsi sportivi. La 2C fu l’unica Fulvia berlina con trascorsi sportivi: il debutto avvenne al Rally di Montecarlo del 1964, dove la Fulvia 2C di Facetti-Von Baum fu iscritta in appoggio alle Flavia Coupé. L’avvento della Fulvia Coupé pose fine allo sviluppo sportivo della 2C che pur aveva dimostrato buone attitudini, ad esempio con l’eccellente vittoria di Leo Cella e Sergio Gamenara al Rally dei Fiori (Sanremo) del 1965. “La Fulvia non va trattata come un’auto da corsa - precisa Maggioni - altrimenti la frizione, suo punto debole, ne risente. Per il resto, tenendo controllati i livelli tutto fila liscio”. Ultimo consiglio: “La tendenza al sottosterzo aumenta se gli pneumatici non sono gonfiati alla corretta pressione. Teneteli controllati”.