Con la A40 costruita su licenza Austin, nel 1960 inizia l’avventura anglofila della Innocenti a quattro ruote. La prima vera “made in Lambrate” è la 950 Spider, l’ultima dei 60 la lussuosa Mini 1001, prima dell’Autunno caldo e del passaggio alla Leyland.
Sessant’anni fa la Innocenti rompe il tabù delle quattro ruote e costruisce la sua prima automobile, la A40 su licenza del marchio inglese Austin-BMC. Il grande passo viene già deciso un paio d’anni prima quando negli stabilimenti di Lambrate si lavora a ritmi serrati. Ogni giorno la catena di montaggio sforna 250 scooter Lambretta, mentre il settore meccanica pesante, quella dei famosi “tubi Innocenti”, può permettersi un portafoglio ordini di oltre due anni. Intanto Luigi, figlio del fondatore Ferdinando Innocenti e vicepresidente, prevede lo scenario in cui presto le Fiat 500 e le 600 sostituiranno presto le moto e gli scooter nelle giornate degli italiani. Inizia lo studio per progettare una concorrente “made in Lambrate”, ma data la mancanza di risorse ed esperienza, si preferisce costruire su licenza. Dopo aver preso in esame la vetturetta tedesca Goggomobil costruita da Hans Glas in Baviera, la scelta cade sull’inglese Austin A40, prodotta dalla MBC. In poco più di un anno la linea di montaggio è approntata e nella seconda metà del 1960 la produzione decolla al ritmo di un centinaio di unità al giorno.
La spiderina alla milanese. La 950 Spider è il primo, vero modello progettato e costruito dalla Innocenti. È presentata al Salone di Torino del 1960, è carina e costa un filo meno delle concorrenti (1.150.000 lire). La Spider ha molto di torinese anche nel design di Tom Tjaarda per Ghia; e nell’assemblaggio da parte della OSI, prima delle rifiniture a Lambrate. Ha tutto quello che serve a conquistare i giovani, dalle dimensioni svelte e la trazione posteriore, alle pinnette americane. Il motore da 948 cc è un po’ scarso, solo 43 cavalli per 140 kmh di velocità massima con il vento a favore. Nel 1963 è maggiorato a 1098 cc allungando la corsa e tocca i 58 cv, il che ne migliora l’accoglienza e il nome, promosso a Innocenti 1100 Spider. La dotazione e gli accessori sono all’altezza: la cappottina di tela è a doppio strato, tiene meglio l’acqua, si apre e chiude con minor sforzo rispetto agli standard. Con il restyling e l’arrivo dei freni a disco la 110 diventa Innocenti S, che però non regge la concorrenza della Fiat 124 e della Duetto. Dopo la dismissione del 1969, non lascia eredi.
Yé Yé: arriva la Mini! Nei primi cinque anni, l’avventura automobilistica della Innocenti è incoraggiante. Nel 1962 le vetture costruite sono 20.900, che diventano 30.600 l’anno successivo quando è introdotta la nuova berlina medio-alta IM3. È la versione tradotta della Ado16 Austin-BMC, con la sezione frontale ridisegnata da Pininfarina, gli interni rivisitati con il tocco italiano e il motore 4 cilindri monocarburatore da 1.098 cc e 55 cv. L’anglofilia paga e alla IM3 si affiancano la più economica Innocenti I4, che ha la carrozzeria identica alla Morris, gli interni semplificati e il motore da 48 cv. Ridiventano 55 con la I4 S e la Innocenti I5, una furbata che combina l’allestimento della IM3 con il frontale della I4. In un momento di euforia si pensa addirittura alla 186 GT, una sportiva con motore V6 Ferrari e styling di Bertone, ma il primo appannamento delle vendite di scooter induce la Casa di Lambrate a più miti consigli. E comunque il vero salto di qualità avviene con la licenza dell’inglesina yé-yé per eccellenza: la Mini. Poteva arrivare già cinque anni prima, ma era ancora in vigore il “patto dell’acciaio” tra le famiglie Innocenti e Agnelli. Il nullaosta è decretato nel 1965 con la caduta del regime protezionistico, che con i costi di trasporto aveva limitato il successo della Mini fino a quel momento in Italia. Quando la BMC propone la produzione su licenza a Lambrate, ormai non c’è più problema, anzi la Fiat vede di buon occhio il rafforzamento di quel marchio minore e potenzialmente appetibile. Come già la IM3, la Mini Minor italiana è più curata, restilizzata il giusto per piacere di più. La meccanica arriva dall’Inghilterra, mentre le scocche sono stampate a Lambrate. Rispetto all’originale, la Mini è costantemente aggiornata con finiture migliori. Come già la Lambretta, entra di prepotenza nella cultura giovanile e ne diventa un’icona pop fino al termine della produzione, nel 1975. Oltre alla sportiva Cooper, è proposta nelle serie MK2, MK3 e in versione Traveller, con motorizzazioni 850, 1000 e 1300 cc. Il top è la Mini 1001 del ’72, che vanta gli interni in vero legno, moquette e dettagli cromati che in Inghilterra se li sognavano.
Innocenti fino a un certo punto. Intanto però nel 1966 la strada comincia a diventare in salita con la morte del fondatore, il commendator Ferdinando, la crisi del mercato degli scooter e le dure lotte sindacali che penalizzano la produzione. Addirittura la Fiat (vedi sopra) e la Volkswagen provano ad allungare le mani sugli stabilimenti di Lambrate offrendosi di rilevarne una parte a condizioni molto vantaggiose, ma il nuovo presidente Luigi Innocenti (che di fatto conduceva l’azienda già da qualche anno) rifiuta puntando tutto sui nuovi modelli di Lambretta. Atto nobile e coraggioso, calcolo sbagliato. Com’è sbagliato il rinnovo anno per anno della licenza BMC, che non consente di pianificare una politica commerciale. Esce qualche modello datato in partenza, come la C Coupé 1100. Addirittura nel 1967 si studia il colpo d’ala con una 750 “media” tutta italiana e firmata Bertone, ma l’incubazione prevede tempi troppo lunghi e costi troppo elevati per il clima ai vertici aziendali. Che sale ulteriormente con l’Autunno Caldo del 1969 quando ormai la famiglia Innocenti ha già deciso di lasciare. Stavolta la Fiat si ritrae, all’ultimo momento cade anche la soluzione tutta milanese di cedere il ramo auto all’Alfa Romeo. Finché nel 1972 le azioni passano di mano alla BLMC e il nome Leyland si aggiunge al marchio Innocenti.