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Made in Lambrate: le auto Innocenti – parte seconda

Tra uno sciopero, un’occupazione della fabbrica, una liquidazione e una cessione, fra gli anni Settanta a Ottanta a Lambrate si continuano a costruire le utilitarie più disparate. Le più riuscite sono le Mini 90 e 120 disegnate da Bertone, seguite dalla Minitre e dalla Innocenti 500. Sapevate che oggi il marchio appartiene a FCA?

Bene, dov’eravamo rimasti? Oh sì, la british invasion di Lambrate. A traguardo di complessa trattativa, il 6 maggio 1972 il pacchetto azionario della Innocenti Autoveicoli è rilevato dalla BLMC. Il nome cambia in Innocenti Leyland. Smaltita la Lambretta in India, la nuova proprietà sulla bestseller Mini ipotizzando di costruirne 75.000 all’anno. L’inglese alla milanese è più accurata, quindi preferita da francesi, tedeschi, svizzeri, olandesi rispetto alle Mini di Longbridge. Ecco perché, grazie alle esportazioni in Europa, si vaticina addirittura un picco di 110.000 vetture annue. Nel centro direzionale di via Rubattino emerge anche il progetto di un’utilitaria con meccanica Mini, ma che riprenda le proposte di stile presentate da Bertone già alla fine degli anni Sessanta. Intanto alla fine del ’73 si va sul sicuro costruendo su licenza la compatta 4 porte Regent, cioè l’Austin Allegro.

La Mini di Gandini. È che la Mini ha bisogno di un’erede. Arriva finalmente nel novembre del 1974, sottoforma delle Mini 90 e Mini 120. Dentro montano gli organi dell’originale inglese, fuori sono tutte nuove e più moderne, grazie all’ispirato styling squadrato di Marcello Gandini per Bertone. È una 3 porte decisamente riuscita e pubblicizzata con lo slogan “5 posti in 3 metri”, un miracolo italiano. E potrebbe funzionare parecchio, senonché le ripetute crisi aziendali ne azzoppano il successo. I conti della Innocenti Leyland non tornano e gli operai occupano la fabbrica di Lambrate per ben 132 giorni. La situazione si sblocca nell’aprile del 1976 quando l’azienda è rilevata dalla GEPI (Società per le Gestioni e Partecipazioni Industriali, un reparto rianimazione di Stato per imprese in coma) con Alejandro De Tomaso, già proprietario della Maserati e della Moto Guzzi. All’imprenditore argentino le idee non fanno difetto, vagheggia subito un’utilitaria da 400 cc, ma intanto la “Nuova Innocenti” riparte dalle Mini 90 e 120 in versione base, L e SL. Presto si aggiunge anche la Mini De Tomaso, una 120 sportiva che ai ragazzi fa venire l’acquolina solo a nominarla. Nel 1980 è pronto il primo restyling della Mini Bertone: si chiama Mille la prima utilitaria italiana con gli alzacristalli elettrici di serie.

Il futuro va a tre. Intanto però le vendite stagnano, si parla di 14.000 Mini a prendere l’acqua nei piazzali. Così, nella scadenza del contratto che lega la Nuova Innocenti alla Leyland per la fornitura delle meccaniche, De Tomaso vede un’opportunità. Da tempo sostiene che a un’utilitaria sia sufficiente un motore bi o triclindrico, purché tecnologico ed efficiente. Meno cilindri uguale meno peso, meno consumi, soprattutto meno costi di produzione. In sostanza: le nozze con i fichi secchi, proprio mentre la Fiat stupisce con la Panda e l’Autobianchi ha rilanciato con la quinta serie della A112. Ma tantè: la giapponese Daihatsu fornisce i “triple” da 993 cc e cambio 5 marce che, con le sospensioni italiane derivate dalla Fiat 127, equipaggiano la nuova 3 Cilindri del 1982. Ribattezzata Minitre, è disponibile in diverse versioni e allestimenti, fra i quali la 990 dell’86. Solleticano la curiosità del pubblico la “bomba” Turbo De Tomaso e la Matic con il cambio automatico. Unica fra le utilitarie di metà anni Ottanta, la 990 SE è dotata di impianto di aria condizionata mutuato dal sistema “Autoclima” delle Maserati Biturbo. Mentre si parla di una 990 “lunga” a 4 porte, sul mercato arriva la piccola 650, la prima citycar del segmento A con cambio a 5 marce e un agile motore bicilindrico da 671 cc. Dopo che la Nuova Innocenti è stata inglobata dalla Officine Alfieri Maserati, ormai a Lambrate si costruisce un po’ di tutto, dalla Biturbo alla Quattroporte. Persino 7.500 esemplari di Chrysler Turbo Convertible, spinta sul mercato nordamericano dal mago Lee Iacocca.

Il canto dell’anatroccolo. L’ultimo vero successo marchiato Innocenti è la 500 del 1989 negli allestimenti L e LS, con il solito Daihatsu da 498 cc. La citycar tiene a galla l’azienda proprio mentre De Tomaso liquida la Gepi e accoglie la Fiat nel capitale sociale della reincarnata Maserati SpA al 49%. L’ennesimo colpo a effetto che prevede, tra l’altro, l’assemblaggio a Lambrate della Panda e persino delle Y10 di Desio. Invece sono le modeste Small 500 e 990 a mettere la parola fine ai 15 anni della Mini made in Lambrate. Mentre alle catene di montaggio lavorano sempre meno operai, le ultime Innocenti sono costruite all’estero. Come la tristissima Innocenti Koral del 1992, una specie di 127 costruita negli stabilimenti Zastava; le Innocenti Mille ed Elba assemblate in Brasile; la Mille Clip fabbricata in Polonia. E persino le versioni passeggeri del furgoncino Piaggio Porter 4 e 6 posti. È un’agonia. Termina alle ore 17.30 del 31 marzo 1993 quando i circa mille lavoratori superstiti escono per l’ultima volta dagli stabilimenti di via Rubattino a Milano. Malgrado voci di rilancio durante l’era Marchionne, oggi Innocenti tiene compagnia ad Autobianchi nel bouquet dei marchi inerti di FCA.

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