Nonostante lievi flessioni dell’ultimo decennio le auto classiche sono ancora al top nella classifica degli investimenti di beni di lusso. In base ai dati Axa Art e Ademy solo i gioielli hanno fatto meglio. Ma ci sono molte differenze, determinate dal valore o dalla tipologia di auto.
L’ultimo report di Axa Art (basato su dati Ademy) che registra tutte le transazioni legate alle aste degli ultimi dieci anni non lascia spazio a dubbi: nonostante una lieve flessione dell’anno in corso le auto classiche rimangono tra i migliori investimenti nel settore dei beni di lusso, con un eloquente +192%.
Solo i gioielli sulla stessa base temporale hanno fatto meglio ma occorre tenere conto, confrontando due tipologie di beni da collezione molto diversi, che in quest’ultimo caso a determinare oscillazioni nella forchetta di prezzo possono anche essere i valori dei materiali preziosi come oro e diamanti.
Per le auto il picco massimo di crescita, avvenuto nel 2015, sta ora lasciando spazio a una crescita riflessiva pari al 3% nel 2017. Ciò non toglie che in ogni caso la performance delle auto classiche sopravanzi nettamente l’indice S&P Global Luxury che, sulla stessa scala temporale decennale, dal 2006 ha fatto registrare un comunque ottimo +84%. Semplificando, si potrebbe dire che le auto storiche crescono il doppio della media del mercato dei beni da collezione e che chi avesse investito 100.000 euro dieci anni fa in una storica ora avrebbe quasi triplicato.
Uscendo dai freddi numeri, il report Axa Art fornisce altri spunti e campi di analisi di cui occorre tenere conto. A cominciare dal fatto che ovviamente le auto classiche non sono tutte uguali, sia per valore che per rivalutazione. Come non è uguale il contributo che danno ai valori complessivi quando si guardano le storiche suddivise per le varie categorie.
Alcuni esempi? In un’asta chiave come Peeble Beach le auto con valore superiore al milione di dollari, le cosiddette “top lots” hanno raggiunto quota 70 unità, incrementando la propria presenza del 25% rispetto all’anno precedente. In generale le “top lots”, quindi le auto con maggior valore e – se vogliamo dirla tutta – quelle più rare e dei marchi più prestigiosi che “bucano” anche in comunicazione guadagnando prime pagine e spazi anche sui media generalisti, coprono il 40% del valore complessivo di mercato pur raggiungendo, su fredda base numerica, solo il 2% del volume complessivo delle transazioni.
Al contrario le “small cap”, ovvero le auto da collezione che passano di mano a valori inferiori ai 100.000 euro, sono in forte crescita per numero di transazioni e coprono oltre il 75% del mercato. Non è un caso che dietro questo numero si inizi a vedere l’effetto delle giovani generazioni che si affacciano al mercato delle auto da collezione più recenti e di valore più basso. Per ora.
La categoria delle “mid cap”, ovvero le auto passate di mano nella forchetta tra 100.000 e 1 milione euro, è invece l’unica a far segnare crescita sia per transazioni complessive che per valore complessivo. L’apprezzamento impressionante delle Porsche 911 non è estraneo alla performance di questa categoria.
Ma volendo ancora di più spaccare il capello, come sempre, anche all’interno di ogni categoria ci sono storie particolari e fenomeni legati a fattori moda o apprezzamento del singolo modello. Una sempreverde del collezionismo come la MG A ha fatto segnare un “modesto” +47% di crescita negli ultimi dieci anni. Nella categoria “mid cap” la Corvette Stingray del 1967 passa di mano in media per 190.000 euro quando dieci anni fa il valore era intorno ai 100.000. Ma, quel che più conta, tutte quelle messe all’asta sono andate vendute.
Ritornando alla categoria delle “vecchiette milionarie” una Lancia Aurelia B24 Spider America nello stesso periodo ha cambiato categoria ed è passata da un prezzo medio di assegnazione 200.000 euro del 2008 al 1.428.000 del 2017. Non servono percentuali per capire quale sia stato il migliore affare e che, similmente, tra dieci anni qualcuno brinderà per aver scelto oggi il modello giusto.
Luca Pezzoni