L’ultima 2+2 Lamborghini era anche l’auto personale di Ferruccio, che la volle anche a rischio di sovrapporla all’Espada. La Jarama diventò la gran turismo di lusso per la clientela più esigente e conservatrice di Sant’Agata. Fu prodotta in 327 esemplari fino al 1976.
Jarama. Ja-Ra-Ma. Pensate che gusto a sognare un’auto con un nome così, cinquant’anni fa. Ja-Ra-Ma. Pensate che gusto a possederla e guidarla, l’ultima 2+2 di Sant’Agata Bolognese, voluta e costruita da Ferruccio Lamborghini in persona. Non per nulla era la sua auto personale, quella del suo celebre ritratto accanto al trattore con espressione tipo “ecco i miei gioielli”. La Jarama era la gran turismo per l’uomo arrivato, l’industriale che voleva godere ed esibire il proprio status con un’auto potente ed elegante. La clientela più istituzionale del marchio Lamborghini, quella immune dalla crisi di mezza età e che forse considerava la Miura una supercar da show-off, da playboy. Anche a costo di sovrapporsi all’altra 2+2 in produzione, l’Espada, Ferruccio l’aveva voluta per sostituire la Islero, che non aveva passato le nuove normative federali statunitensi antinquinamento. Ja-Ra-Ma: il nome non è dovuto al circuito, ma alla regione dov’è ubicato, culla della tauromachia.
Fastback massiccia. Certo che superare l’effetto-Miura era difficile, per quanto le tipologie d’auto fossero diverse. Lamborghini decise di andare sul sicuro affidando la progettazione al nuovo ingegnere capo Paolo Stanzani, che aveva preso il posto di quella testa calda di talento che era Gianpaolo Dallara. Meccanica consolidata: il V12 da 2.929 cc per 350 cv a 7.500 giri, alimentato da sei Weber doppio corpo. Cambio sincronizzato a cinque marce e differenziale in blocco, trazione posteriore: vai così. Come sull’elegantissima Espada e a differenza della Islero, il telaio è a scocca portante in acciaio, materiale preferito all’alluminio anche sulla carrozzeria. Pesantina quindi: nonostante questo, la Jarama era accreditata di 260 kmh di velocità massima. C’è tanta roba sul pianale della Jarama, accorciato di ben 27 centimetri rispetto alla Espada. La nuova interpretazione stilistica di Marcello Gandini per Bertone ha una forma di linguaggio più pratica rispetto alla Miura. Anche perché la conformazione 2+2 porta naturalmente a una maxi coupé con coda fastback di foggia trapezoidale. La linea del tetto scende fino al cofano bagagli formando una coda massiccia e un po’ sgraziata, rispetto al consueto frontale affilato.
Le palpebre di Gandini. A proposito di muso, anzi di sguardo, ogni riferimento all’Alfa Romeo Montreal non è puramente casuale. Sulla Jarama lo stilista ne ripropone la carenatura dei fanali a palpebra, evitando di “copiancollare” le lamelle. Oltre a dare grande omogeneità estetica, contribuisce all’efficacia aerodinamica del muso. A luci accese, un movimento a depressione alza le palpebre dei fanali che hanno anche funzione di deportanza. È un’alternativa meno sportiva al tema delle luci a scomparsa, che sulle Lamborghini vediamo già a partire dalla Urraco P250 dello stesso anno. Il decennio è appena iniziato, ma le linee sono già più protese alle nuove tendenze dei primi Settanta. Estetica più funzionalità dalla scelta dei cerchi in magnesio Campagnolo, morsi dai freni a disco Girling autoventilanti sulle quattro ruote. Nonostante lo spazio ridotto per i “+2”, cioè i passeggeri preferibilmente bambini e possibilmente piccoli, gli interni sono eleganti: pelle e moquette soffice su sedili, pavimento e cielo; legno per il volante, il pomello della leva del cambio e il cruscotto. L’ampia vetratura garantisce molta luminosità, senza temere il caldo: l’allestimento comprende l’aria condizionata di serie. In aggiunta, su 21 esemplari è montato il tetto panoramico che si apre in due sezioni separate longitudinali: un dettaglio che aggiunge valore all’esemplare da collezione. Già piuttosto ricercato di suo, perché in fondo di Jarama ne hanno fatte pochine, meno del previsto.
Due serie, più la Rally. Dopo 177 esemplari costruiti in tre anni, la vendita – un po’ a sorpresa – della maggioranza del pacchetto azionario Lamborghini all’imprenditore svizzero George Henri Rossetti coincide con l’arrivo della seconda serie. La nuova Jarama acquisisce una “S” nel nome e ben 15 cavalli nel cofano, ora sono 365. Rispetto alla precedente, la Jarama S si riconosce dall’estesa presa d’aria orizzontale sul cofano fra la coppia di NACA preesistenti; oltre che dalle griglie di sfogo dell’aria laterali, sui parafanghi anteriori. Purtroppo la tipologia della 2+2 di lusso non era più riconosciuta dalla clientela di Sant’Agata, già sotto effetto Countach. Solo 150 esemplari fino al 1976, nessun’erede: senza Ferruccio Lamborghini in azienda, non era più cosa. L’unica “figliastra” fu la versione Rally approntata da Bob Wallace, l’ingegnere e test driver neozelandese già responsabile delle “Jota”. In piena esplosione della specialità, Wallace pensò di spogliarla del superfluo, rinforzarla nel telaio dov’era il caso e armarla di roll bar di protezione. Utilizzando l’alluminio al posto dell’acciaio, la Jarama Rally SVR-1 pesava 300 chili in meno rispetto alla versione di serie. Era pronto-gara, ma gareggiò unicamente in un’esibizione a Misano Adratico. Oggi è custodita nel Museo Ferruccio Lamborghini di Funo di Argelato, appena fuori Bologna, che riaprirà il prossimo settembre.