Cinquant’anni fa iniziava una nuova era per la Lancia: debuttava il primo modello nato sotto l’egida della Fiat. Il colosso torinese infatti aveva acquisito l'azienda conterranea nel 1969 e la rivoluzionaria Lancia Beta dette inizio ad una nuova era per il brand, vincolato a doppio filo con le dinamiche di Fiat Auto.
Alla fine degli anni 60 Lancia Automobili era ancora un marchio indipendente e, in quel periodo, venne avviato il progetto per un modello inedito: completamente nuovo nel look e nell’arrangiamento tecnico. L’idea era quella di proporre una berlina, innovativa e ben rifinita, come da tradizione Lancia per competere nell’agguerrito segmento medio-superiore, in Europa ma anche all’estero.
Nel fatidico 1969, dopo un momento di grande incertezza per il futuro dell'azienda, gli studi continuarono con le ingerenze della Fiat e il progetto prese il nome di “Y1”, configurandosi come il primo atto del nuovo assetto industriale. Per i lancisti di vecchia data, considerato l’ampio uso di componentistica di origine Fiat, fu l’inizio della fine.
Profilo arcuato. La Lancia Beta venne presentata al Salone di Torino del 1972 accompagnata da pareri discordanti, in primis per le linee anticonvenzionali ma, soprattutto, per le politiche sul contenimento dei costi di produzione: un approccio poco consono agli standard della Lancia.
Lo stile della Beta berlina, definito da Gianpaolo Boano (figlio del noto designer Felice Mario Boano), si caratterizzava per il profilo fastback, simile a quello di altri modelli del periodo. Si pensi all’ammiraglia Lancia Gamma, alle Citroen GS e CX o alla Rover SD1. Ciò risultava in una linea personale ma fortemente divisiva. La clientela storica era affezionata alle linee tipicamente sabaude, conservatrici e un po’ fané, delle vetture precedenti e un’altra criticità derivava dall’assenza del portellone: al suo posto c’era uno sportello di dimensioni ridotte, simile a quello dell’Alfasud, che rendeva meno agevoli le operazioni di carico del baule. Ciò, tuttavia, non inficiò il volume del bagagliaio, capiente e ben sfruttabile.
Luci e ombre. A bordo la Lancia Beta si faceva apprezzare per lo spazio e il comfort, aiutata dalle dimensioni: 4,29 m in lunghezza, 1,69 m in larghezza e passo di 2,54 m. L'altezza di quasi 1,40 m, unitamente alla conformazione del padiglione, agevolava l'accessibilità.
L’abitacolo era caratterizzato da una plancia simmetrica, studiata per facilitare lo spostamento del volante e della strumentazione nei mercati con guida a destra.
Il grande pubblico si schierò in due fazioni distinte, tra denigratori ed estimatori che accompagnarono l’intera carriera della Lancia Beta berlina. All’estero, dove le vetture due volumi iniziavano a diffondersi anche nei segmenti più alti, la Beta incontrò minori rimostranze. Il nuovo modello venne visto con interesse e fu commercializzata anche Oltreoceano, a partire dal 1975. Piacque molto nel Regno Unito (all’epoca il secondo mercato dopo l’Italia) ma in poco tempo la sua reputazione crollò per via della corrosione, un problema diffuso sulle Beta e su molte altre vetture nostrane.
Una nota dolente frutto di concause, come l’utilizzo di acciai di bassa qualità ma anche di veri e propri sabotaggi sulle linee di montaggio, atti a screditare il gruppo Fiat sullo sfondo degli aspri conflitti sociali in corso. Dinamiche in cui, anche le vetture si trovarono ad essere vittime inconsapevoli della cosiddetta “Strategia della Tensione”.
La famiglia Beta. Per oltre 10 anni, tra il 1972 e il 1984, il nome “Beta”, proprio della berlina fastback, accompagnò un’intera famiglia di modelli declinati come la Coupé, la berlina tre volumi Trevi; la sportiva Montecarlo, venduta anche come Scorpion; la shooting brake HPE e la Spider, realizzata dalla Zagato.
La berlina venne equipaggiata con propulsori bialbero di origine Fiat, disponibili inizialmente nelle cilindrate 1.4, 1.6 e 1.8 litri, con potenze comprese tra 90 e 110 CV. Dal punto di vista meccanico invece la Beta prevedeva uno schema “tutto avanti” con motore e trazione anteriori, sebbene montasse motori di derivazione Fiat adottati fino a quel momento su modelli a trazione posteriore. Le unità, abbinate al cambio a cinque marce (cosa non scontata a quei tempi) vennero disposte in posizione trasversale, consentendo di ridurre gli ingombri nell’abitacolo. Le sospensioni, indipendenti, prevedevano un inedito schema McPherson al retrotreno con due bracci oscillanti a triangolo, poi ripreso su molti altri modelli Fiat fino ai primi anni 2000. Molto avanzato per l’epoca l’impianto frenante a doppio circuito “Superduplex” con freni a disco su tutte le ruote: un brevetto Lancia, già apprezzato dai guidatori delle precedenti Fulvia e Flavia.
Dotazione di livello. Al momento del lancio erano disponibili due allestimenti: Standard e il più completo LX, non disponibile con la motorizzazione d’ingresso. Rispetto alle versioni base, le LX offrivano “lussi” come i vetri atermici, i cerchi in lega leggera e il servosterzo. Inoltre, si distinguevano per la mascherina anteriore specifica con finitura cromata. A due anni dal lancio venne introdotto un nuovo modello entry level, spinto dalla stessa unità di base della Beta “1400” ma con cilindrata ridotta a 1.297 cc e capace di erogare 82 CV.
Nuovo look. Nel corso della produzione, la Lancia Beta venne aggiornata nello stile e nella tecnica. Nel 1975 vi fu il primo restyling, operato con la collaborazione del Centro Stile Pininfarina: su tutte le versioni venne montata la mascherina cromata e debuttarono nuovi fari rettangolari con carenatura. Anche la zona posteriore beneficiò di importanti modifiche: l’ampliamento del lunotto comportò l’adozione di un nuovo cofano e lo spostamento delle griglie di areazione sul montante C, margini della cornice del terzo finestrino. Parallelamente, la fanaleria venne rivista con una diversa disposizione dei gruppi ottici. Nell’abitacolo venne aggiornato il disegno del volante, dei pannelli porta e della plancia.
Intanto, anche il motore 1.8 venne rimaneggiato e la cilindrata passava così da 1.756 cc a 1.995 cc, mentre la potenza passò da 110 a 119 CV. Il 1.6 litri vide un leggero decremento della cubatura, da 1.592 a 1.585, pur mantenendo la potenza di 102 CV. Invariata la Beta 1.3, riconoscibile per l’assenza della carenatura sui gruppi ottici anteriori. Dal 1978, la Beta venne proposta anche con cambio automatico.
Lo zampino di Bellini. Con l’ultimo restyling, datato 1979, il frontale venne completamente ridisegnato adottando una nuova mascherina e grandi fari rettangolari con gli indicatori di direzione ai lati, non più inseriti nella parte bassa del paraurti, a loro volta più robusti e avvolgenti. All’interno, spiccavano nuovi sedili, dal look geometrico e la strumentazione, del tutto inedita: la monolitica plancia, disegnata dall’architetto Mario Bellini, venne presto ribattezzata “groviera” per la particolare conformazione circolare degli indicatori e dei comandi, non proprio intuitivi ma tant’è…
Con l’ultimo aggiornamento uscì di scena la Beta 1300, mentre sulla 2.000 la potenza venne limitata 115 CV: un semplice intervento, che consentì di ridurre i consumi migliorando l'elasticità. La stessa unità venne proposta anche con l’iniezione elettronica, in questo modo poteva erogare fino a 122 CV.
Ultimi fuochi. Dall’impostazione tecnica e stilistica della Lancia Beta terza serie derivò la “Trevi”, con la classica coda e il profilo tre volumi: un tentativo tardivo e, complessivamente poco armonico, per rendere l’atipica Beta più consona ai gusti dell’utenza media di questo segmento. La Beta Trevi, dal 1980, sul modello “VX” beneficiò del compressore volumetrico, toccando quota 135 CV. Dall’anno seguente, la Trevi divenne l’unica variante berlina della discendenza Lancia Beta: il modello originale terminò la sua carriera nel 1981.
Il massiccio impiego di materiali plastici, meno raffinati rispetto ai modelli precedenti, portò a nuove critiche da parte della clientela. L’evanescenza del blasone Lancia era ormai lampante.