Al Salone di Ginevra del 1976, faceva il suo debutto la Lancia Gamma berlina: un’ammiraglia dalla linea insolita, foriera, come da tradizione Lancia, di importanti novità tecniche e di una grande attenzione per il confort di bordo.
Che la Gamma non fosse un’ammiraglia come le altre, lo si capiva al primo sguardo. Il suo profilo fastback si dissociava dal conformismo tipico delle berline di prestigio, accomunate dall’architettura classica a tre volumi. La nuova vettura segnava un taglio netto con il passato, prendendo le distanze dal rigore formale degli altri modelli Lancia. I volumi barocchi dell’Aurelia erano un lontano ricordo e anche l’eleganza neoclassica della Flaminia, risultava ormai anacronistica. La Lancia Gamma parlava di modernità in un segmento molto “conservatore” e con linee tese e meno imperiose, stemperava l’alterigia borghese che ha caretterizzato le blasonate ammiraglie che l’hanno preceduta. Tutto questo, non bastò per assicurarle il futuro roseo che avrebbe meritato.
La tecnica. Anche sotto il cofano, la nuova Lancia celava grosse novità: innanzitutto faceva a meno del motore a V previsto in origine, in favore di uno schema "tutto avanti", con un propulsore a quattro cilindri contrapposti. Il motore boxer era già stato sperimentato sulle Lancia di classe media, ma era una scelta inusitata su una berlina dell'alto di gamma.
All’interno della Lancia Gamma dominava lo spazio, una sensazione accentuata dagli ampi sedili e dalla plancia a sviluppo orizzontale, che accoglieva una strumentazione, dal caratteristico color ambra, completa e ben leggibile. Curata anche la sicurezza passiva: la scocca prevedeva sezioni ad assorbimento differenziato, mentre all’interno il volante era collassabile.
Molto piacevole l’ambiente a bordo, con rivestimenti di pregio e diverse “attenzioni” per guidatore e passeggeri: i fari allo iodio, gli alzacristalli elettrici, il servosterzo (a doppia azione) e i poggiatesta erano di serie. Tutte dotazioni che, in quegli anni, molte concorrenti offrivano soltanto su richiesta. Le sospensioni prevedevano uno schema MacPherson, con barre stabilizzatrici che assicuravano alla Lancia Gamma una tenuta di strada sicura. La sua maneggevolezza era coadiuvata dal motore boxer che abbassava il baricentro della vettura e da un potente impianto frenante servoassistito di tipo “Superduplex”, con dischi anteriori e posteriori.
La genesi. Negli uffici Lancia di Borgo San Paolo a Torino, già a fine anni 60 si discuteva della sostituta della Lancia Flaminia, ormai obsoleta, essendo in commercio dal 1959. Secondo le prime ipotesi, il nuovo modello, indicato in seguito come “Tipo 830” avrebbe avuto una cilindrata ben superiore ai due litri. Passata sotto l’egida Fiat nel 1969, Lancia valutò inizialmente il sei cilindri che equipaggiava modelli di alta gamma del Gruppo Fiat, come le Dino e le 130.
Intanto, nel 1973, la crisi petrolifera aveva cambiato le carte in tavola e tutti i costruttori, bene o male, dovettero affrontare una tempesta inattesa. Anche la Fiat 130 era uscita di scena, penalizzata in primis da consumi stratosferici e dalla cilindrata troppo “impegnativa” per una vettura Made in Torino. Si optò quindi per un motore più compatto leggero, di nuova concezione. Con queste prerogative, nel 1976, la Lancia Gamma si poneva al vertice dell’offerta Fiat nel segmento delle berline di prestigio.
L’Iva pesante. Il motore impiegato sulla nuova ammiraglia era un raffinato boxer con il basamento e le teste in lega leggera e gli alberi a camme in testa. L’unità era disponibile nelle cilindrate “2.000” e “2.500”, con potenze di 120 e 140 CV, accoppiato in entrambi i casi a un cambio manuale a cinque marce.
La Gamma “duemila” venne realizzata in primo luogo per il mercato italiano, vessato dall’Iva al 38% per le cilindrate superiori ai 2000 cc. Questa versione, per ovvie ragioni fiscali, finì per attrarre la maggior parte della clientela nostrana ma, con un rapporto peso-potenza non proprio da primato e maggiormente penalizzato dalla mole della vettura, si rivelò più assetato e delicato del 2,5 litri.
Tempi difficili. La Lancia Gamma non ebbe vita facile. Il progetto venne avviato in un momento di crisi e ci furono varie battute d’arresto prima che venisse individuata la strada giusta da percorrere per la nuova “Tipo 830”. Lo stile venne affidato alla Pininfarina che definì la sua particolare silhouette.
Le incertezze iniziali portarono, a ridosso della presentazione, ad uno sviluppo frettoloso della parte meccanica, caratterizzata, peraltro, da una notevole complessità. Tutto ciò ebbe gravi ripercussioni sull’affidabilità della nuova ammiraglia Lancia. Gli interventi correttivi arrivarono soltanto con la seconda serie: troppo tardi e perciò la sua immagine rimase irrimediabilmente compromessa per tutto il ciclo produttivo.
Il momento storico non aiutò, la gestazione e la produzione della Gamma avvenne nei primi anni 70, un periodo di tensioni e conflitti sociali, con Torino, la capitale dell’auto, che fu una delle piazze più calde degli “Anni di piombo”. In fabbrica non mancarono scioperi e boicottaggi: alcune “disattenzioni” nelle finiture e negli assemblaggi vennero commesse di proposito, per screditare il Gruppo Fiat e ledere l’immagine di un prodotto pensato per la classe dirigente.
Battito irregolare. Al netto di qualche pecca nelle finiture, i clienti lamentarono soprattutto gravi (e numerosi) guasti, di natura meccanica ed elettrica. Gran parte delle problematiche legate al motore partivano dalla distribuzione: la cinghia dentata aveva una lunghezza eccessiva e la dentellatura su un solo lato. A ciò, si sommava anche la fragilità dei cuscinetti tendicinghia, che originavano frequenti e disastrose rotture. Altri malfunzionamenti derivavano invece dal sottodimensionamento della pompa dell'olio, che non assicurando la corretta lubrificazione, contribuiva all’usura precoce degli organi meccanici. Gli alberi a camme, usurandosi in modo anomalo, non riuscivano più a garantire l’alzata completa delle valvole, generando a loro volta dei cali di rendimento.
L’inusuale collocazione del termostato e la sua mancata interazione col circuito di raffreddamento causava invece la bruciatura delle guarnizioni della testata. Senza contare anche le irregolarità nell’alimentazione dovute al carburatore, installato in mezzo alle bancate, con collettori d’aspirazione molto lunghi.
Occhio al parcheggio! La Lancia Gamma risentì, in maniera ancora maggiore, di un grosso errore progettuale, ovvero la pompa del servosterzo azionata da una puleggia collegata all’albero a camme e non all’albero motore. Per questo motivo, ai possessori della vettura si consigliava di non parcheggiare con le ruote sterzate, per evitare, all’avviamento successivo, sforzi gravosi sulla distribuzione: non era infrequente che la cinghia di distribuzione uscisse dalla sua sede portando a danni irreversibili alle bielle e alle valvole. Nonostante le raccomandazioni, bastava una piccola distrazione e il disastro era dietro l’angolo.
Le noie elettriche che affliggevano la Lancia Gamma erano originate, invece, dalla scatola dei fusibili, soggetta a infiltrazioni d' acqua. Anche la scelta di una componentistica di qualità mediocre, se non infima, non migliorava la situazione. Questi fattori portarono a guasti agli alzacristalli elettrici che, tra l’altro, erano caratterizzati da una esacerbante lentezza di funzionamento: la stessa che caratterizzava anche i tergicristalli a due velocità, dotati di motorini sottodimensionati. La Lancia Gamma, perciò, venne dotata di un dispositivo di emergenza che consentiva di operare manualmente l’apertura o la chiusura del finestrino.
La maturità. La Lancia Gamma si guadagnò una pessima reputazione, che ne limitò il successo a fronte di una qualità globale molto buona e di una grande attenzione per il confort di bordo. L’abitabilità era invidiabile e, secondo la più pura tradizione Lancia, la vettura faceva sfoggio di finezze progettuali. Tra queste, ricordiamo il vano portaombrelli separato nella parte alta del baule e una dotazione di serie molto completa. Di grande eleganza anche i (delicati) rivestimenti interni.
Tra visione e razionalità, la Lancia Gamma con il suo profilo fastback e la sua coda tronca poteva vantare anche un eccellente Cx, pari a 0,30. Il coefficiente aerodinamico aiutava a muoversi con un certo brio, anche a fronte di una potenza non elevata e contribuì a mantenere i consumi entro limiti accettabili.
Nel 1980, la Lancia Gamma ricevette un aggiornamento stilistico in occasione del restyling di “mezza età”. Venne montata nuova calandra, più grande e simile a quella della Lancia Delta, oltre a nuovi cerchi in lega forati, che sottolineavano l’immagine importante della vettura. Dulcis in fundo, l’impianto di iniezione elettronica Bosch L-Jetronic, che però venne riservato soltanto al modello di punta, la Gamma 2500 I.E..
Un toccasana. L’iniezione elettronica fu vero e proprio toccasana per la Lancia Gamma, la nuova alimentazione risolse parte delle problematiche che affliggevano il modello, soggiogato da una meccanica tanto innovativa quanto “cervellotica”. La Gamma 2500 I.E. pur mantenendo le stesse prestazioni, beneficiò di consumi inferiori e di un’erogazione più fluida e regolare, garantendo un piacere di guida superiore per il guidatore e maggiore comodità per gli occupanti.
Per la sua particolare linea a due volumi, la Lancia Gamma berlina rimase “incompresa” e non riuscì ad affermarsi tra le auto di prestigio. Soltanto la Citroen CX e la Rover SD1 (in misura minore), esulando dalla convenzione delle tre volumi, conquistarono una buona fetta di mercato, strizzando l’occhio ad una clientela raffinata e anticonformista: quello stesso bacino di utenza “esasperato” o spaventato dai capricci dell’ammiraglia torinese.
Le speciali. Sulla base della Lancia Gamma berlina, vennero realizzati diversimodelli speciali, che purtroppo non giunsero alla produzione in serie.
Nel 1978, il pianale della Lancia Gamma venne impiegato per la “Megagamma”, una interessante concept car sviluppata da Giugiaro che prefigurava le moderne monovolume. La dirigenza tentennò, ripetendo il cliché in cui veniva lasciato ad altri i l’onore di progettare un modello innovativo capace, tra le altre cose, di rivoluzionare il mercato.
Nel 1980 Pininfarina tornò sulla "Tipo 830" realizzando la Lancia “Scala”, una berlina tradizionale dalle proporzioni scultoree. La parte più grintosa era il posteriore, simile a quello della Gamma Coupé. Un’altra variazione sul tema era l’elaborazione “3 Vi”, una berlina tre volumi con tre luci laterali: un modello relativamente semplice da realizzare, in quanto sfruttava l’impostazione architettonica esistente, differendo solo per la coda lunga in luogo del profilo spiovente della Lancia Gamma di produzione. Col senno di poi, questa alternativa avrebbe potuto risollevare un po' le sorti del modello, ma i vertici Fiat, anche stavolta preferirono dirottare le risorse su altri progetti, condannando la Lancia Gamma ad una lenta agonia.
Una specie in via d’estinzione. Alla luce di questo vero e proprio calvario, la Lancia Gamma non raggiunse volumi commerciali degni di nota: venne prodotta in circa 15.000 esemplari, molti dei quali finiti alla pressa per la messe di sventure che accompagnò il loro servizio. Questo spiega perché la Lancia Gamma berlina sia oggi un’auto piuttosto difficile da reperire, come vi abbiamo indicato nellaGuida al Collezionismo Lanciache trovate in allegato con Ruoteclassiche di marzo.
Anche l’interesse “mediatico” è sempre rimasto basso: la berlina fastback venne offuscata, sin da subito, dall’elegantissima Gamma Coupé del 1978, disegnata da Aldo Brovarone per Pininfarina e che tutt’oggi gode di quotazioni più elevate e una platea di estimatori molto più vasta.
Se qualche connoisseur volesse valutarne l’acquisto, il modello su puntare è sicuramente la seconda serie con il 2500 a iniezione, che portò la Gamma a piena maturazione. In verità, al giorno d'oggi, tutte le Lancia Gamma meriterebbero attenzione: per la loro rarità costituiscono una specie in via d’estinzione, da riscoprire e, soprattutto, da salvaguardare.