Era il 1995 quando la prima BMW Z3, la prima con accento americano, usciva dalle linee di produzione dello stabilimento di Spartanburg, in South Carolina. Era l’auto dei primati: la prima della Casa made in Usa, la prima interpretazione del marchio bavarese nel campo delle roadster di grande serie e la prima BMW guidata da James Bond nei film della saga 007. Prima di lei, senza scomodare “sua maestà” 507 Roadster, solo la Z1 aveva deliziato i patiti del marchio amanti delle due posti e del vento tra i capelli, ma in numero così ridotto da considerarla, oggi, quasi una fuoriserie, anche quanto a reperibilità e quotazioni.
Inizialmente solo quattro cilindri
Oggi una parte significativa della produzione BMW avviene negli stabilimenti Oltreoceano, ai quali, talvolta, è deputata l’intera realizzazione di un modello: e non molti sanno che a inaugurare la prassi è stata la Z3. Cofano lungo, posizione di guida arretrata e coda corta, queste erano le proporzioni della piccola nuova nata, frutto della matita di Joji Nagashima. Sul frontale il classico doppio rene richiamava lo stilema della Casa e sulle fiancate gli sfoghi dell’aria a forma di “branchie” ricordavano la bellissima 507 del 1955. Inizialmente i propulsori disponibili erano due: un 1.8 e un 1.9, entrambi quattro cilindri. Si dovette aspettare il 1997 per vedere il primo sei in linea, nello specifico nella cubatura da 2.8 litri per 192 CV, riconoscibile esternamente per carreggiate e passaruota posteriori allargati. Contestualmente arriva anche la versione M Roadster dotata sempre di un sei cilindri, ma da 3.2 litri e 321 cv, facilmente distinguibile per le linee muscolose della carrozzeria, le appendici frontali e i quattro terminali di scarico.
Svolta shooting brake
Nel 1998 è la volta della versione Coupé, in una inedita carrozzeria shooting brake che, ancora oggi, attira gli sguardi incuriositi di chi la incrocia. Il restyling del settembre 1999 porta lievi modifiche a esterni e interni di entrambe le versioni, mentre la gamma motori si aggiorna: resta l'1.9 e arriva un sei cilindri da 2 litri. Nel 2000 questa unità cede il passo al 2.2 da 170 cv e il 2.8 al 3.0 da 231 cv, mentre dal 2001 la versione M monta il motore S54, preso in prestito dalla coeva M3 E46. Nel 2002, infine, dopo circa 297 mila esemplari costruiti, si conclude la produzione del modello.
Sportiva di razza
Una volta dentro l’abitacolo, essenziale ma curato ed ergonomico, si è cullati dalla sonorità del motore, specie sulle versioni sei cilindri e a capote abbassata. La guida è coinvolgente e, sulle versioni più potenti, impegnativa, a causa anche dell'assenza del controllo di trazione. La tendenza al sovrasterzo, complice la seduta a ridosso delle ruote posteriori, fa della guida sporca, invece che della prestazione pulita, la sua vocazione, garantendo un divertimento “vecchia scuola”.
Al servizio di Sua Maestà
Nel 1995 usciva anche GoldenEye, il diciassettesimo film della Serie di 007 nonché il primo in cui Pierce Brosnan impersona l’agente britannico con licenza di uccidere. La spia si trova a fronteggiare un ex collega dell’MI6 che, dato per morto anni prima, intende derubare la Banca d’Inghilterra e coprire le sue tracce distruggendo Londra con un'avveniristica arma segreta, di costruzione sovietica, sottratta ai russi. Si passa dalla Siberia alle vie di San Pietroburgo, in una neonata Federazione Russa, fino alle tortuose strade sopra Monte Carlo, scenario di uno spettacolare inseguimento tra una Aston Martin DB5 e una Ferrari F355 GTS. L’avventura porta, infine, l’agente segreto a Cuba dove si muove per le strade dell’Isola insieme alla bella Natalya a bordo di una Z3 azzurra con interni di pelle beige. Non sarà l’ultima volta che una BMW accompagna James Bond nelle sue peripezie, nel film dopo, infatti, una 750iL guidabile da remoto sarà protagonista di una scena mozzafiato ne “Il domani non muore mai” e una Z8, equipaggiata con missili aria terra, farà una brutta fine ne “Il mondo non basta”, ma questa è un’altra storia.