Nel 2005 la più iconica fra le sportive “Stars and Stripes” si rinnova completamente, vivendo una seconda giovinezza. Le linee fortemente ispirate ai model year 1966-67-68 tornano a far battere il cuore a milioni di fan.
“Nel disegnare la nuova FordMustang, sei responsabile di quarant’anni di storia automobilistica. Se non lo fai bene, devi rispondere a otto milioni di appassionati di questo modello”. Con queste poche parole J Mays, dal 1997 al 2013 direttore del centro stile del gruppo Ford, riassume l’impegno nello sviluppo della quinta generazione della Mustang, evidenziando al contempo l’importanza per il marchio di questa autentica icona del motorismo americano. La nuova “Stang” (identificata dal codice S197) debutta nel 2004, in occasione dei quarant’anni del modello, svelato nell’aprile del 1964; per gli estimatori è una boccata d’aria fresca, l’auspicato ritorno ai fasti di un tempo ormai troppo lontano.
Nel corso dei decenni infatti la sportiva di Dearborn ha perso smalto, appeal, diventando piuttosto anonima. La chiave del successo della nuova generazione risiede in una sapiente rivisitazione stilistica dei primi modelli degli anni Sessanta, in particolare dei model year 1966-67-68, i più amati. Reinterpretare il passato in chiave moderna è del resto un vero e proprio credo per J Mays: non a caso a lui si devono per esempio l’Audi Avus Quattro (1991), la Volkswagen Concept 1, il prototipo del 1994 dal quale nacque la New Beetle, la Ford Thunderbird del 2002 e la Ford GT del 2003.
Osservando la Mustang fastback è impossibile non cogliere un “sapore” rétro, anche per coloro che non conoscono la storia di questa sportiva. Al di là dei volumi (cofano spropositatamente lungo, abitacolo spostato all’indietro e coda corta), sono numerosi gli elementi che rimandano indietro nel tempo: il piccolo finestrino posteriore fisso (che evoca la Shelby GT350 del 1966), la rientranza sulla fiancata, i gruppi ottici posteriori “divisi” in tre elementi, lo stemma con la serratura per il cofano bagagli sul lamierato posteriore che richiama il bocchettone di rifornimento del serbatoio in uso dal 1964 al 1973. Anche l’abitacolo è all’insegna del “vintage”: plancia ampia, semplice, dal disegno simmetrico tra metà sinistra e destra, con cornici lucide attorno agli strumenti e alle bocchette d’aerazione. Dal punto di vista meccanico niente di trascendentale.
La piattaforma, derivata dalla DEW98 impiegata sulla Lincoln LS del 2000 e sulla Ford Thunderbird del 2002, prevede all’avantreno uno schema tipo MacPherson, mentre dietro viene mantenuto il classico ponte rigido con puntoni longitudinali, braccio centrale e barra Panhard. Una soluzione certo non innovativa, ma richiesta a gran voce dagli appassionati nel corso di un’indagine condotta durante la fase di sviluppo della vettura perché l’unica in grado di garantire il temperamento duro e puro da vera muscle car. Non a caso la sesta generazione della Mustang, arrivata nel 2015, riceverà inizialmente molte critiche dai fan d’Oltreoceano proprio per la presenza della sospensione posteriore a ruote indipendenti!
I motori sono il V6 di 4.0 litri da 210 CV e il ben più interessante V8 di 4.6 litri da 304 CV, con blocco in lega leggera, tre valvole per cilindro (due di aspirazione) e controllo elettronico dell’acceleratore. Tale propulsore equipaggia l’allestimento GT. Due le trasmissioni disponibili: un’automatica a cinque rapporti o una manuale Tremec a cinque marce. Col model year 2010 viene introdotto un lieve restyling che riguarda sia la parte frontale sia il profilo del parafango posteriore, che diventa più muscoloso. Ben più rilevante è l’arrivo per il 2011 del motore Coyote 5.0, un 5 litri a 4 valvole per cilindro capace di erogare ben 412 CV: un altro andare rispetto al precedente. Un passo avanti anche il cambio manuale Getrag a sei marce. Nuovo anche il V6 di 3.7 litri da 304 CV. Poco prima del pensionamento, la S197 riceve un ulteriore aggiornamento del frontale, che diviene ancora più aggressivo. La S197 è ancora molto “Old America”: stile deciso, a volte un po’ rozzo, finiture e materiali dei rivestimenti non proprio al top, scarsa insonorizzazione, meccanica affidabile ma certo non sofisticata, poca elettronica (ABS e controllo della trazione a parte), tenuta di strada sui generis. Per molti sono difetti, o meglio peculiarità, irrinunciabili.
Per chi volesse mettersi in garage una S197, oltre alle versioni Shelby GT500 (magari quella del 2013 col 5.8 litri da 662 CV), da ricercare è la Boss 302 (un tributo all’omonima versione del 1969-70): proposta nel 2012-13, si differenzia per l’allestimento specifico (livree di carrozzeria, appendici aerodinamiche, griglia frontale, decal laterali e sul cofano anteriore, contagiri con limite a 7500 giri/minuto, rivestimenti interni etc.), per la potenza del Coyote 5.0 portata a 444 CV, per le sospensioni regolabili manualmente e per il particolare impianto di scarico con due “uscite” supplementari davanti alle ruote posteriori da “aprire” per l’impiego in pista. Se il budget è limitato, il consiglio è quello di rivolgersi alle “normali” GT (rigorosamente con cambio manuale) fino al 2008 per avere un superbollo ridotto (la tassa decresce progressivamente dopo 5, 10, 15 anni dall’anno di costruzione del veicolo, fino a “scomparire” al compimento del ventesimo anno); con somme variabili tra i 15 e i 20.000 euro è possibile portarsi in garage un esemplare in splendida forma, con pochi km. Certo i 304 CV del V8 non sono moltissimi, ma la sonorità inebriante fa dimenticare tutto.
Girare per le nostre strade con una “Stang” non è molto agevole, in particolar modo nei centri storici: le dimensioni sono notevoli (lunghezza oltre i 4,7 metri e larghezza intorno a 1,9 metri) e la visibilità è a dir poco scarsa, soprattutto in avanti; l’assetto di guida infatti, molto disteso, non consente di percepire il notevole ingombro del cofano motore. Nell’abitacolo lo spazio della zona anteriore è notevole: la plancia non incombe, non si protende verso il guidatore: è là, lontana, non toglie spazio vitale, non ci si sente per nulla calati nell’angusto abitacolo di un jet, come invece accade nella stragrande maggioranza delle sportive moderne. La strumentazione è analogica, a parte il piccolo display del computer di bordo dove vengono visualizzate informazioni quali il consumo medio/istantaneo, la velocità media, l’autonomia, il contachilometri, la pressione dei pneumatici e così via. Non è previsto alcun complesso sistema di infotainment. L’impianto stereo ovviamente fa parte della dotazione, ma la sua presenza è pressoché superflua: il motore non è per nulla discreto già a velocità modeste, ma aumentando l’andatura la sua voce impedisce di fatto di poter ascoltare un qualsiasi brano musicale a un volume che non danneggi permanentemente l’udito.
Ma diamine, è una Mustang non una compassata berlina. Per i passeggeri posteriori la vita è difficile: le due poltroncine sono ben sagomate, ma è lo spazio per le gambe a rivelarsi assolutamente insufficiente: per avere un minimo di confort i sedili anteriori devono spostarsi molto in avanti. L’accesso però è buono grazie alle porte molto lunghe; irritante invece è il meccanismo per ribaltare lo schienale del sedile anteriore, che non consente di mantenere la regolazione impostata. Se la selleria è in pelle di discreta qualità, lo stesso non si può dire per le plastiche, dure, sensibili ai graffi e soprattutto rumorose. La guida risulta comoda e rilassante; il ricorso al cambio è sporadico visto che il V8 ha coppia da vendere fin dai regimi più bassi: in città praticamente si viaggia in seconda. Su fondi viscidi occorre invece un pochino di attenzione e mai dimenticare che il ponte rigido posteriore, se si esagera col gas, ha l’antipatica tendenza a scappare verso l’esterno: su una vettura con un peso nell’ordine dei 1600 kg correggere non sempre è agevole.
Ma diciamo la verità: chi ama le sportive facili da guidare, alla portata di tutti, anche dei più sprovveduti tra i guidatori? Ecco il fascino della S197 risiede proprio in questa sua schiettezza: una muscle car vecchia maniera, diretta, essenziale, senza fronzoli, di carattere. Non promette nulla che non possa mantenere. Una sorpresa però c’è e riguarda il consumo. In città, sempre che non si facciano burnout a ogni semaforo e non si guidi costantemente col volante fra i denti, il V8 si accontenta di circa 12 litri per 100 km, che scendono a meno di dieci mantenendo i 130 km/h in autostrada. Difficile però essere così virtuosi…