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Addio a Lele Pinto

Non pago di tanti lutti, il 2020 si è portato via anche Lele Pinto, campione dei rally degli anni Settanta. Corse per vent’anni e riuscì a vincere l’Europeo nel 1972 e il Rally del Portogallo del 1974, in un decennio dominato dai mostri sacri della disciplina.

Salite e discese, curve (molte le cieche) e sterrati, dossi e salti, a pedale tutto giù. Nella sua carriera di pilota, Lele Pinto è riuscito a uscire vincente dalle situazioni più difficili e impegnative. Si è arreso solo alla malattia che lo affliggeva da tempo spegnendosi a Cecina, in provincia di Livorno, a 75 anni. Pinto è stato uno dei primi professionisti dei rally italiani e riuscì a conquistarsi un ruolo importante, nonostante si misurasse con i mostri sacri del decennio, a partire da Sandro Munari. E poi Waldegard, Rörhl, Andersson, Mäkinen, Terier, Andruet… Fedele al ruolo di uomo-squadra, a volte forzoso, Pinto riuscì a primeggiare nel Campionato Europeo e nella Mitropa Cup di rally nel 1972 su Fiat Abarth 124 Sport Spider; e a conquistare il Rally del Portogallo del 1974, prova valevole per il Campionato del mondo. Fu il suo capolavoro, portato a casa grazie con Arnaldo Bernacchini a dargli le note e senza la terza marcia, rotta a metà gara. Altre due annate da ricordare furono il 1976 (quando arrivò terzo al Sanremo e in Portogallo su Lancia Stratos) e il 1977, che lo vide ottimo secondo e “vincitore morale” del Tour de Corse, sempre con il fedele Bernacchini sul sedile del passeggero. Fu uno dei piloti che portarono il titolo Costruttori alla Lancia nel 1975 e ’76.

Dalla velocità alla terra.  Raffaele Pinto era nato a Casnate con Bernate (Como) nel 1945 e cominciò a farsi notare alla metà degli anni Sessanta come stradista. Quando nel 1968 fu ingaggiato dalla Lancia per correre nei rally, si era già distinto nelle gare in salita e in circuito sulla 595 Abarth preparata da Ferraris a Milano. Sempre nel ’68 aveva disputato la prima delle sue otto Targa Florio su una Lancia HF comprata da Cesare Fiorio e preparata da Bosato. Era un pilota eclettico e molto veloce, che si trovava a proprio agio sia sull’asfalto, sia su terra. Di sé, ha detto di amare la velocità, lo spazio, le traiettorie. Al debutto da ufficiale era ancora troppo veloce per i rally: al suo primo Montecarlo, si cappottò quando era davanti alle Porsche. Negli anni, avrebbe guidato di tutto, purché italiano: dalle Lancia Fulvia Coupé 1.3, 1.6 e Barchetta alla Stratos; la ASA 1000 e la Fiat 124 Spider prototipo. Nell’orbita del gruppo Fiat, la Ferrari gli affidò l’evoluzione e il collaudo della Ferrari 288 GTO. Il suo anno di gloria fu appunto il 1972, nel quale vinse l’Europeo aggiudicandosi ben sei rally: Costa Brava, Hessen, Semperit, Polonia, Jugoslavia e Mille minuti.

Un grande uomo squadra. Il suo cursus honorum parla chiaro in fatto di consistenza: 21 podi in 62 gare disputate. Dopo il ritiro ufficiale dalle corse nel 1977, ebbe ancora la grinta di disputare il Rally di Sanremo ’78 sulla Ferrari 308 GTB preparata da Michielotto. Ormai si era trasferito all’Isola d’Elba e alternava l’attività di gestore di camping a quella di collaudatore (fra le tante, della Delta HF), contrappuntata da qualche gara occasionale fino all’84. Negli anni successivi, allestì una pista sul ghiaccio al Sestriere e la gestì per tre anni per conto della Fiat addestrando, oltre ai migliori piloti italiani di quegli anni, anche autisti e guardie del corpo dell’azienda torinese. “Addio Lele, grande Campione e grande Uomo. Grazie per aver contribuito in modo determinante ai successi miei e della Lancia, sarai sempre nel mio cuore”: così l’ha salutato Miki Biasion, suo allievo e due volte campione del mondo nel 1988 e nel ‘89.

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