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Automobili nella tempesta: donne e motori ai tempi del Boom

L’8 marzo è passato, ma non è mai troppo tardi per ripercorrere la lunga marcia delle donne nell’immaginario dell’automobilista. Stereotipi  oggi imbarazzanti  a cui il femminile era relagato nelle pubblicità degli anni del boom. E non solo.

Viviamo in tempi di incertezze. Sul palco di Sanremo Beatrice Venezi ci ha ammonito a chiamarla direttore d’orchestra e non “direttrice”. Come forse solo al Festival potevano fare. Ha risposto a stretto giro Samantha Cristoforetti, che qualche anno fa pensò anche lei di collegarsi con l’Ariston, dallo spazio: “Chiamatemi astronauto”. Ma poi è venuto fuori che era l’ennesima trovata di Lercio.
Nel gran mondo – dall’arte alla scienza, solo per fare due esempi – le donne hanno ormai poco da rivendicare. Persino nello stretto giro delle quattro ruote, dove un po’ di maschilismo ancora si trascina, abbiamo donne progettiste, designer, ovviamente manager, veri plotoncini di pubbliche relazioni e valide colleghe. In Formula Uno la quota rosa è di là da venire, ma pare che alla Ferrari si stiano impegnando. Insomma, di strada se n’è fatta.

Sogni proibiti. Chi dubita, non ricorda il passato o ha voglia di ridere (ma a denti stretti) può andare a sfogliare qualche numero di Quattroruote di mezzo secolo fa e capacitarsi del ruolo in cui era imprigionata la donna, per esempio, nelle campagne pubblicitarie del settore.  Si era dopo il ’68, con tutte le consapevolezze del caso. Ma solo un passo prima degli inserti per camionisti. Guardare per credere.
“Come le zampe del gatto” promette lo slogan delle catene da neve “Ice Master”, mentre la modella di turno si appiattisce al passaruota con sguardo felino. Di peggio fa “l’antiscivolante per pneumatici” (ma davvero qualcuno ci credeva?) Dow, con una signorina senza reggiseno letteralmente abbracciata al copertone.
Una presenza più castigata, in tartan scozzese, fa da specchietto alla Triumph 1300. “Se vi piace economica ma perfetta” allude la headline e per chi ignora la spilorceria di Paperone, la ragazza, ha un salvadanaio in mano. Un passetto in più lo fanno le cinture di sicurezza “Bang”, che segnano il prosperoso petto della passeggera mentre il titolo assicura “Vi faranno apprezzare tutti i viaggi”.
Il primo premio assoluto va comunque alla pagina per le trombe Stebel. Capelli biondi a mezza schiena, gomiti sul petto nudo e, a scanso di equivoci, un doppio flicorno che scende fino alle cosce. “E tu fa’ sentire che ci sei!”
Questo è solo un veloce panorama della donna-oggetto (o anche meno), offerto dal mensile, in un solo numero. Si dirà che la réclame, particolarmente quella delle trombe e delle catene, poteva pescare nel torbido, con facili ironie e allusioni forti. Ma esempi un po’ equivoci li lanciava tutto il mondo dell’auto, a cominciare dalle copertine delle riviste (che adattavano opportunamente le regole dei rotocalchi), i riflettori dei saloni (che illuminavano auto e presenze da night club) e un po’ tutto lo stile dei servizi fotografici, soprattutto quelli dei prototipi, dove più che dream-car c’erano sogni proibiti.

La storia di Vanessa. Abbiamo festeggiato i cinquant’anni della Lamborghini Countach pochi giorni fa. Da chi era accompagnata la muscolosa vettura tra i ficus e le chenzie dello stand Bertone? E’ nota la simpatia con cui il “ragioniere” che guardava le fotomodelle, e infatti anche alla presentazione della Stratos Zero, sei mesi dopo a Torino… Ma da Pininfarina le cose non andavano diversamente, magari con un fotografo pagato di più.
Chiudiamo con un’avventura toccata a Giugiaro, il terzo grande, che sconfina nel nonsense. Si era alla fine del 1966 e Giorgetto, in attesa di varare la sua azienda, stava transitando velocemente alla Ghia (dove avrebbe lasciato, tra l’altro, le meravigliose Ghibli e Mangusta). Proprio accanto alla grintosa De Tomaso, a Torino Esposizioni, era parcheggiata una piccola utilitaria, su base Fiat 850, che aveva una farfallina sul cofano e si chiamava dolcemente Vanessa. “Avevamo fatto di tutto – ricorda il designer del secolo – per pensare a un’auto cittadina che semplificasse la vita alle signore: fossero professioniste, mamme o massaie che andavano a fare la spesa. C’era un bagagliaio “ad ala di gabbiano” per caricare facilmente le borse, un sedile che ruotava verso la portiera per entrare bene anche in gonna, un seggiolino speciale per i bebè. E poi il cruscotto di facile lettura, senza lancette e con sole luci di allarme, immaginato per il pubblico femminile, allora poco portato per la tecnica.
“Non arrivarono ad accusarci di sessismo – sorride oggi Giugiaro – ma ci mancò poco. E pochi si fermarono a pensare, di fronte a quella provocazione, anche se noi facevamo sul serio.”

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