L’hanno sepolta e dimenticata in fretta, ma la Fiat Duna è un pezzetto di storia dell’auto italiana, nel bene e soprattutto nel male. La berlina media costruita in Sud America fu un flop epocale e proprio per questo è diventata un pezzo raro.
È arrivato il momento di tirare un respiro di sollievo nella mascherina. Dicembre sta per tirare una riga su un 2020 da dimenticare, ma non tutto è stato ancora detto e fatto. Per esempio, siamo ancora in tempo per storicizzare la Fiat Duna. Presentata nel 1985, con un paio di restyling resistette in produzione fino al 2000 sul mercato del Sud America dov’era fabbricata. Qualcuno a Torino pensò incautamente di importarla in Italia. Totale: 91.560 esemplari venduti fra il 1987 e il ‘91. Una cifra che può sorprendere, visto che parliamo della Fiat più derisa e vituperata di sempre. In termini alfistici è stata l’equivalente dell’Arna, sua coetanea. Sulla Duna, gli italiani hanno infierito in ogni modo possibile. Leggenda vuole che la popolare espressione “magna tranquillo” sia dovuta al classico cartello “vendesi” di una “Duna 98.000 km uniproprietario”, sul quale un coraggioso Maurizio specificava di telefonare a ore pasti… E poi, i titoli. Ispirati, impietosi. Da sganasciarsi: stregata dalla Duna (il film con Cher), e la Duna bussò (come il reggae della Berté), la maledizione della Duna piena, Ufo allarme Duna. Non aprite quella portiera. La vera apoteosi, l’elezione a terrificante oggetto pop fu celebrata dal settimanale satirico “Cuore”, che le dedicò il calendario illustrato 1993, oggi gelosamente conservato dai cultori.
Ineffabile, ma indimenticabile. Forse qualcuno ne ricorda ancora lo spiritoso spot tv con il claim: “Troppo bella, non è papà”. La cruda verità è che in quegli anni, gli studenti di ogni ordine e grado si facevano venire a prendere a duecento metri da scuola, pur di non farsi avvistare dai compagni di classe in una Duna. Ed è strano, quasi paradossale, perché gli Ottanta furono il decennio dello stile e della moda. Segnarono il ritorno degli status symbol, dell’aspirazione alla bellezza attraverso il design e la moda, di cui l’Italia è maestra. In quel periodo la stessa Fiat aveva proposto modelli di successo come la Uno, la Regata, la (ehm) Tipo. C’è da non credere che fosse stata sua eminenza Giorgetto Giugiaro a firmarne il progetto per il Centro Stile Fiat. Tempo dopo, dichiarò che gli fu imposto. Pur avendo costituito un’imperdonabile caduta di immagine per il marchio Fiat, è innegabile che la Duna avesse senso, soprattutto per l’economia di scala nella produzione e nella gestione dei ricambi. La berlina del segmento B era stata sviluppata sulla piattaforma Fiat 146 della Uno e fabbricata negli stabilimenti di Palomar in Argentina e di Betim in Brasile dov’era stata ribattezzata Prêmio. “Di consolazione” è una battuta fin troppo facile.
La Uno con la coda. L’economica tre volumi fu importata in Italia a partire dal 23 gennaio 1987 nel solo allestimento CSL, Comfort Super Lusso. Nell’attraversare l’Atlantico, evidentemente qualcosa si è perso nella traduzione. Tuttavia lo studio degli interni la rendeva insospettabilmente spaziosa. E con lo stesso passo della Uno, la berlina poteva vantare un bagagliaio di 500 litri. La Duna costava poco (soprattutto alla Fiat), era pratica e abbastanza robusta per qualsiasi ragioniere. Il CX aerodinamico di 0,34 era fra i migliori del segmento B. Le motorizzazioni? Da padre di famiglia: 1.116 benzina e 58 cv per la Duna 60, 1.301 e 67 cv per la Duna 70, più la Duna DS a gasolio 1.7. Per tutte queste ragioni la Duna era stata designata a rilevare il testimone della Fiat 128, mentre alla Duna Weekend, la versione familiare, toccava di succedere alla 127/147 Panorama. Sapete già che non andò così. Quattro anni dopo la Duna fu ritirata dal mercato, dopo aver consegnato una nuova definizione al concetto di sfiga. Solo la Weekend ebbe un certo successo in Europa resistendo fino al 1997: venduta con il nome Elba, segnò la fine del marchio Innocenti, di proprietà Fiat dal ’90. La Duna avrebbe trovato degne eredi nelle Palio e Palio Weekend, le (second) world car inizialmente costruite in Argentina.
È stata oggetto di rimozione collettiva. Nomen omen, l’hanno insabbiata, ma il tempo è stato galantuomo persino con questo incolpevole ordigno. Perché? Un po’ per la simpatia che si riserva agli sfortunati, un po’ per la sua estinzione quasi totale: dati PRA alla mano, nel 2013 l’ACI ha dovuto inserirla nella lista delle vetture d’interesse storico. Come ogni auto con una storia alle spalle, la Duna ha aggrumato un ristretto seguito di affezionati. È addirittura tornata a fare notizia quando, nel raduno 2019 di Milano AutoClassica, la redazione di Ruoteclassiche ha assegnato a una rara Duna Diesel il premio per l’auto proveniente da più lontano. Le quotazioni sono rasoterra, è una Youngtimer da portare a casa per non più di 1.500 euro in condizioni… da concorso e l’Arbre Magique appeso al retrovisore. Diventerà un’utilitaria per radical chic come la Panda 4×4? Si potrebbe lanciare il trend per il 2021. Se non proprio Villa d’Este, la Duna è pronta ad affrontare il XXI secolo con lo stesso slogan orgoglioso della Multipla, altra presenza fissa Fiat nelle varie liste delle dieci auto più infelici di tutti i tempi: “Sarete belli voi”.